Il 3 febbraio 2022 sarà un giovedì e quel giorno Sergio Mattarella terminerà formalmente il suo settennato da presidente della Repubblica. All’appuntamento mancano 78 giorni. Ognuno dei quali trascorrerà, presumibilmente, con il rincorrersi di ipotesi, analisi, indiscrezioni su chi potrebbe essere il suo successore.

Negli ultimi giorni si è tornati a parlare anche della possibilità che Mattarella accetti, per responsabilità nei confronti del paese e per incapacità dei partiti di trovare una soluzione alternativa, di rimanere al Quirinale imitando il suo predecessore Giorgio Napolitano.

I precedenti non sono garanzia di nulla, ma spesso aiutano a orientarsi. Soprattutto quando si parla dell’elezione del capo dello stato.

Mattarella non ha mai nascosto la sua indisponibilità a un secondo mandato. L’ultima volta, lo scorso 11 novembre al Quirinale, ricordando Giovanni Leone, ha sottolineato come l’ex presidente della Repubblica avesse riproposto nel 1975 «la sollecitazione (già sottolineata dal presidente Segni), di introdurre la non rieleggibilità del presidente della Repubblica, con la conseguente eliminazione del semestre bianco».

Non ci sono dubbi sul fatto che la «sollecitazione» di Leone rappresenti per Mattarella l’approdo ottimale della sua esperienza presidenziale. Ma non basta certo questo per togliere dal novero delle possibilità quella di un mandato bis.

Detto e non detto

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Il deputato-costituzionalista Stefano Ceccanti (Pd) lo ha detto più volte negli ultimi giorni. E la sua posizione è condivisa anche da altri, dentro e fuori dal partito: Mattarella ha detto no, ma potrebbe cambiare opinione. Meglio quindi non dare nulla per scontato.

Dopotutto, quella di presidente della Repubblica non è una carica a cui ci si candida. E chi lo ha fatto, più o meno ufficialmente, alla fine è rimasto una figurina nell’album dei papabili.

Quindi se Mario Draghi, in maniera costituzionalmente ineccepibile, continua a evitare di autoproporsi per la poltrona di capo dello stato, perché dovrebbe farlo il presidente uscente? Soprattutto perché dovrebbe farlo un ex giudice costituzionale come Mattarella rilanciando un’idea, quella del bis, finora relegata a eccezione della Repubblica?

Il precedente

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In questo la posizione dell’attuale presidente non è diversa da quella di chi lo ha preceduto.

Basta una rapida ricerca. Il 21 febbraio 2013, ad esempio, a pochi giorni dalle elezioni che avrebbero dato vita a un parlamento privo di una maggioranza chiara e quindi ingovernabile, una nota del Quirinale informava che «il presidente Napolitano ha da tempo indicato le ragioni per cui ritiene non sia ipotizzabile una riproposizione del suo nome per la presidenza della Repubblica». «Posizioni già espresse – era la conclusione – nel modo più limpido e netto».

Ancora il primo marzo, rispondendo a delle domande dei giornalisti: «La carta di identità conta. L’ho già detto tante volte. Non credo sarebbe onesto dire “state tranquilli io posso fare il capo dello stato fino a 95 anni”. Sono convinto che i padri costituenti concepirono il ruolo del presidente della Repubblica sulla misura dei sette anni, infatti non è un caso che nessun presidente della Repubblica abbia fatto un secondo mandato».

«Alla vigilia della conclusione del mio mandato – ripeteva meno di una settimana dopo, il 7 marzo – voglio sottolineare come la conclusione corrisponda pienamente alla concezione che i padri costituenti ebbero della figura del presidente della Repubblica».

Mentre il 24 marzo, durante la commemorazione dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema, con una battuta rivolta a una signora e rubata dai microfoni di RaiNews 24, ironicamente chiosava: «A 88 anni gli straordinari non sono ammessi». «Non mi convinceranno a restare» le sue parole pronunciate il 14 aprile in un’intervista alla Stampa.

Come è terminata quella vicenda è cosa nota. Nel giro di pochi giorni, incapaci di trovare una soluzione allo stallo che loro stessi avevano creato, i leader dei principali partiti avevano chiesto al presidente il sacrificio di una rielezione. Che era arrivata il 20 aprile.

L’ostinato tentativo di Mattarella di evitare un secondo mandato non è quindi una novità. Così come non è una novità il fatto che l’attuale parlamento, un po’ come nel 2013, sia troppo frammentato per pensare che i partiti riescano a mettersi d’accordo sul nome di un candidato comune.

Draghi potrebbe esserlo, ma a quel punto si aprirebbe una battaglia per decidere chi debba succedergli a palazzo Chigi o, in alternativa, per andare a elezioni anticipate. Mattarella, al contrario, permetterebbe il mantenimento dello status quo. E difficilmente potrebbe dire di no alla richiesta disperata della maggioranza delle forze politiche.

Ma mancano ancora 78 giorni e i precedenti insegnano che l’elezione del Quirinale porta spesso con sé novità inattese. Dopotutto nel 2013, interrogato sulla possibilità che Napolitano restasse presidente della Repubblica, Silvio Berlusconi rispondeva: «Dicono a me che sono anziano, ma lui è più anziano di me. Ha esternato di non volersi ricandidare, lo ha detto anche a me».

Oggi il leader di Forza Italia ha 85 anni e spera di poter essere lui a conquistare quella manciata di voti che, aggiunti ai grandi elettori del centrodestra, gli consentano di succedere a Mattarella. Dimenticando che di solito, chi si autocandida al Quirinale, rimane autocandidato.

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