Il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha rappresentato la summa delle caratteristiche positive richieste al capo dello Stato. Misurato, composto, sobrio, rispettoso della forma, della sostanza e nella sostanza, delle regole, della consuetudine degli attori in campo, dei cittadini e della Costituzione. Contenuto nelle esternazioni se comparato ad alcuni suoi predecessori, sempre attento all’azione indefessa di diplomazia con il parlamento e il governo, ma inflessibile sul rispetto dei valori e dei principi istituzionali e democratici e dei conseguenti atti da adottare.

Lo stile Mattarella è emerso da sùbito in forma cristallina nei rapporti con parlamento e governo. La saggezza nelle consultazioni è stata immediatamente palese quanto l’impeccabile rispetto delle forme. Il settennato è stato segnato da una significativa presenza nel processo di nomina del presidente del Consiglio. L’azione di Mattarella si è inserita in un contesto politico e partitico mutato significativamente rispetto al lustro precedente. L’incertezza emersa nel post-elezioni 2018 ha portato a un quadro di sostanziale ingovernabilità del parlamento.

L’intervento di Mattarella è stato incisivo e significativo in almeno in due dei quattro casi di nomina e formazione del governo, nel Conte II e per Draghi. Ma già dopo il momento elettorale del 2018 il capo dello Stato aveva chiaramente marcato la statura di incondizionato rispetto della collocazione europea dell’Italia. Mattarella non procedette alla nomina di Paolo Savona quale ministro dell’economia in virtù delle posizioni contro l’Europa e l’euro.

Ne derivò una grave tensione politica culminata con la richiesta di Luigi Di Maio di attivare la procedura per messa in accusa del presidente per alto tradimento, per non ben specificati reati. Per il resto Mattarella prese atto con imparzialità dell’alleanza “sovranista”. Nelle consultazioni per la formazione del governo Draghi, come in altri casi in passato, Mattarella ha tarato l’ampiezza e la profondità dei suoi interventi nel rapporto con l’asse parlamento/governo in base alla solidità, stabilità e chiarezza del sistema partitico.

Messaggi chiari

Tra tutti gli interventi presidenziali, quello che maggiormente rappresenta l’alfa e l’omega della visione presidenziale di Mattarella è la dichiarazione successiva alla rinuncia di Conte a formare il governo. Parlando della proposta di Savona come ministro, Mattarella segnalò l’opportunità di scegliere «un esponente che non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente, o, addirittura, inevitabilmente, la fuoruscita dell'Italia dall'euro. Cosa ben diversa da un atteggiamento vigoroso, nell'ambito dell'Unione europea, per cambiarla in meglio dal punto di vista italiano».

Dall’immigrazione, alla disoccupazione, alla violenza, alla lotta alla mafia, i messaggi di Mattarella sono stati un compendio di efficacia, chiarezza e puntualità. Mitezza, e un tratto austero, quasi calvinista. Con una dolcezza canuta che mai è stata debolezza, ma anzi ferma rigidità repubblicana. Come quando parlando delle proteste contro il vaccino anti-Covid ha espresso l’«esigenza di contrastare la deriva antiscientifica».

O ancora, l’intimità rubata del capo dello Stato che con candida semplicità riferì al suo portavoce che a causa della pandemia e del confinamento «nemmeno io vado dal barbiere», a richiamare il rispetto delle regole.

L’orizzonte europeo

Nel discorso di insediamento Mattarella sottolineò la «responsabilità di rappresentare l'unità nazionale innanzitutto». In particolare, il neopresidente pose l’accento sul rischio che la crisi economica potesse intaccare i valori su cui «si fonda il patto sociale sancito dalla Costituzione». Con tremenda modernità di quel messaggio.

E indicò nell’Europa l’inevitabile, oltre che auspicabile, prospettiva strategica per consolidare la pace, le conquiste istituzionali di cooperazione e i traguardi sociali raggiunti. Importante il riferimento all’articolo 3 della Costituzione al fine di confermare il patto costituzionale «che mantiene unito il paese».

La cui democrazia rimanda alle radici del processo di liberazione dal nazifascismo, alla lotta di Resistenza. Con la identica efficacia retorica, chiarezza concettuale e fermezza istituzionale, il capo dello Stato è intervenuto a seguito dell’assalto di Forza Nuova alla sede nazionale della Cgil: «Turbamento, ma non preoccupazione», ossia istituzioni forti che reagiscono con misure adeguate e vigilano.

La carriera politica

La politica ha sempre albergato nella famiglia Mattarella: il padre, Bernardo, fu eminente esponente democristiano in Sicilia, e più volte ministro. La Sicilia e la Dc hanno segnato inevitabilmente il percorso, e il destino, del futuro capo dello Stato.

L’immagine di Mattarella che prese in braccio un altro uomo, morto ucciso dalla mafia, suo fratello, segnalò forza, consapevolezza, determinazione e dignità. Non molto è cambiato in Italia da quel maledetto giorno di gennaio del 1980 quando Sergio Mattarella si caricò sulle braccia non solo il fratello amato, Piersanti presidente della regione, ma la sua storia e il suo futuro. La Dc nazionale gli chiese un impegno diretto, che assunse e diventò deputato nel 1983, rieletto ininterrottamente sino al 2008.

Giurista raffinato, professore di diritto parlamentare a Palermo dopo la laurea conseguita in Sapienza. L’esperienza politica, la competenza e l’appartenenza a una corrente di peso (la sinistra interna) gli valsero l’accesso al governo.

Tuttavia, Mattarella si dimise da ministro in dissenso con la fiducia posta dal governo Andreotti sul disegno di legge che normava il sistema radiotelevisivo (legge Mammì) e che secondo gli oppositori poneva una garanzia seria al duopolio (Rai e Mediaset) lasciando l’unico operatore privato di rilievo a dominare il mercato. Una scelta coraggiosa, certamente inusuale in Italia, condivisa con altri esponenti della sua corrente.

Era il 1990, ben prima che Silvio Berlusconi monopolizzasse il mercato televisivo privato e conquistasse l’egemonia del centrodestra guidandolo al governo. Nella fase di transizione dal primo sistema dei partiti al secondo, Mattarella fu artefice del nuovo sistema elettorale che interpretò il cambiamento spinto dai referendari guidati da Mariotto Segni, dall’indignazione popolare e dai mutamenti internazionali. Nonché dall’azione giudiziaria.

Collegi plurinominali (ampi) e voto di preferenza, e sistema proporzionale indicati da Mattarella come elementi «ormai superati», anche alla luce del contributo che questi fattori avevano fornito alla instabilità dei governi (in media undici mesi), alla lotta correntizia, alla proliferazione del voto di scambio, e al non contenimento della corruzione e della spesa per le campagne elettorali.

Dello stesso tenore le perplessità, da accademico prima che da politico, espresse allorché taluni avanzarono la proposta dell’elezione diretta del primo ministro. Fu membro della commissione bicamerale D’Alema, e approvò una proposta di doppio turno di coalizione, ossia una formula majority assuring.

L’elezione

Eletto dodicesimo capo dello Stato al quarto scrutinio con il sostegno del Pd, di Sel e Scelta civica con 665 voti (come Saragat e Scalfaro) e la benevolenza di Forza Italia, imbarazzata su eventualità rigettare una figura tanto autorevole; circa 50 franchi tiratori del centrodestra sostenettero Mattarella in palese contrasto con l’indicazione di votare scheda bianca.

Con un chiaro percorso politico nella Dc e nel centrosinistra, Mattarella a 74 anni è eletto come “indipendente”, giudice costituzionale in carica al momento del voto. Eletto al primo scrutinio in cui non era più necessaria la maggioranza qualificata, ha comunque quasi raggiunto i due terzi dei consensi anche grazie alla sovrabbondante rappresentanza del Pd che pur con un quarto dei consensi raccolse il 55 per cento dei seggi nel 2013.

«L’arbitro deve essere imparziale»

La terzietà, o meglio l’imparzialità sono state la cifra dell’intero settennato. Condividendo l’indicazione del capo dello Stato nel ruolo di un arbitro, del garante della Costituzione, Mattarella sottolineò da subito che a questi compete «la puntuale applicazione delle regole», imparziale. Che però svolgendo un ruolo di garanzia «non ha mai subìto, né può subire, imposizioni» come ribadì durante le travagliate settimane post elezioni 2018.

Sebbene il plurality si prestasse a negoziati ex ante e a frammentazione partitica in parlamento. Il presidente Mattarella ha però spesso richiamato i doveri civici senza delegare, e l’impegno per applicare effettivamente la Costituzione, nel «viverla giorno per giorno», garantendone la vitalità, e il richiamo ai vari diritti

riecheggiò Piero Calamandrei sulla Costituzione da attuare, da applicare in ogni sua parte, non solo formalmente, ma anche e soprattutto nella costanza e sostanza dei princìpi. Se dunque, «la democrazia non è una conquista definitiva, ma va inverata continuamente», uno degli atti formali di Mattarella è stato pregno di significato. La nomina di Liliana Segre a senatrice a vita dopo la scomparsa del maestro Claudio Abbado, e dunque utilizzando l’unico seggio disponibile per la nomina presidenziale, per ribadire l’impegno contro l’antisemitismo.

L’incertezza del futuro

Nella fase finale del suo mandato ha segnalato la propria indisponibilità a ricandidarsi nonché l’opportunità di una riforma costituzionale per l’abolizione del semestre bianco per evitare che nessuno possa essere accusato di favorire la propria successione. Nonché il rischio di instabilità nel parlamento: «Il semestre bianco potenzialmente può consentire un periodo di irresponsabilità politica».

Ha sintetizzato il rischio assai grave di un periodo di grande tensione, confusione e palude parlamentare. L’horror vacui che attraversa i gruppi parlamentari, e la necessità di condurre in porto le riforme economiche, potrebbe ricondurlo a considerare la possibilità della rielezione, che sarebbe un buon segnale.

Tutte le azioni e gli interventi hanno marcato un lucido disegno di simbolismo civico curato con certosina e chirurgica abilità. La prima uscita fu nel pomeriggio dell’elezione, recandosi alle Fosse Ardeatine, poi il magnifico discorso di insediamento, compendio di educazione civica e politica.

E i lunghi silenzi loquaci delle prime settimane lasciarono costernati i giornalisti assiepati smaniosi di un commento su tutto e tutti. Una figura politica e istituzionale che ha rappresentato una rarità nel panorama del paese.

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