Otto puntate, ogni domenica dalle 20.30 su Rai3, in versione più ampia – esattamente come Report – da quando il programma è stato spostato alla domenica. Riparte Presa Diretta di Riccardo Iacona, che inizia la nuova stagione con un approfondimento sui femminicidi

È appena passato l’8 marzo. Da che parte avete preso la questione?

Ci siamo dedicati alla violenza di genere che colpisce le ragazze molto giovani. Partiamo da alcuni fatti di cronaca, per esempio quello della storia di Aurora, la ragazza di 13 anni a Piacenza. Tra pochi mesi partirà il processo e rischia di trattarsi del femminicidio con la più bassa età della donna uccisa. Aurora era in una relazione tossica e questo caso ci ha spinto a dare un'occhiata alle prime relazioni sentimentali che si hanno a 14, a 15 anni, 16 anni. Abbiamo scoperto che questi comportamenti in quel tipo di storie sono molto frequenti, lo dimostrano anche le risposte che danno le donne che stanno intorno alle vittime. Ma c’è anche l'ultimo rapporto di Differenza donna sulla differenza di genere che tratta questo argomento. Il quadro che è emerso dall’inchiesta è uno schiaffo in faccio e ci mette di fronte al nostro fallimento. 

Perché? 

Se ogni volta gli stereotipi che alimentano la cultura di violenza si riproducono tra i giovanissimi senza un tipo di contrasto vuol dire che è una battaglia persa in partenza, no?

Quali sono gli strumenti per intervenire?

Abbiamo parlato di cosa potrebbe essere l’educazione sessuale, cioè un intervento strutturale nelle scuole per costruire uno spazio dove parlare di questi temi. Da noi il percorso per istituirla è stato bruscamente interrotto nel 2017 quando ministra dell’Istruzione era Valeria Fedeli, ma ora torna attuale anche con il protocollo firmato da Gino Cecchettin per conto della Fondazione Giulia con il ministro Valditara.

Sono tornati all’attacco anche i Pro vita che da sempre bloccano ogni iniziativa di questo tipo perché ritengono che di sesso e affettività si debba parlare solo in famiglia, mentre parlarne a scuola significa aprire le porte alle cosiddette teorie gender. 

E le persone che stanno attorno a chi si trova in queste situazioni? 

In queste storie spesso c’è una sorta di complicità: le amiche conoscono spesso la natura della relazione, ma poi a loro volta finiscono in rapporti simili. 

Al centro delle vostre inchieste mettete spesso quelli che proponete come «valori condivisi». C’è ancora qualcosa di condivisibile in un mondo che appare sempre più in preda alle divisioni?

Non tutti la pensano allo stesso modo, ma ci sono alcuni valori che hanno a che fare con la democrazia, con lo stare assieme che sono fortemente messi in discussione di questi tempi. È molto complicato ritrovare la strada e vediamo essere messo in discussione tutto quel che sembrava acquisito, compresa la libertà delle donne, no?

Cosa c’è di più scioccante se non il fatto che proprio tra i giovanissimi la libertà della donna è sotto attacco? Anche la sostanza democratica del paese in cui viviamo noi e dell'Europa non è acquisita, quindi bisogna tornare a rimettere in campo questi valori, spiegarli e eventualmente combattere perché tornino a essere fondativi.

Proprio per discutere un valore letto da tanti in maniera diversa vi siete occupati della cittadinanza “all’italiana”, divisa tra chi può detenerla nonostante un legame fragilissimo con l’Italia e chi non la ottiene nonostante anni di vita in questo paese. 

Le cose dividono se uno costruisce delle politiche divisive, la gente di per sé non si porrebbe nemmeno il problema. Se lo pone Salvini, scattato appena Tajani ha proposto lo ius scholae. 

Non è che l’Italia è un paese di razzisti, ma lo sta diventando perché una buona parte della classe politica soffia sul fuoco e fa campagne assurde contro le persone che lavorano da noi. E quindi non ha nessuna intenzione di aggiustare la legge sulla cittadinanza, così come di mettere mano alle leggi che regolano i flussi migratori. Motivo per cui promuove progetti come i cpr in Albania e mantiene in piedi una legge sulla cittadinanza che fa fare i salti degli ostacoli con un principio punitivo nei confronti di chi invece ama il nostro paese. Mentre invece ai milioni di oriundi italiani il passaporto si dà perché hanno un pizzico di sangue italiano nelle loro vene. Eppure i loro antenati hanno a loro volta visto l’inferno. È l’altra faccia della medaglia, quando eravamo “poveracci” noi. 

E poi è un controsenso per chi va a scuola da no: a diciotto anni gli si toglie un’identità importante. “Tutto quello che ti abbiamo insegnato, che siamo fratelli, che siamo tutti cittadini, non è vero. Da adesso in poi incomincia il tuo calvario”.

Discuterete anche di «nuovo ordine mondiale». C’è solo una strada, tra la strada al riarmo e il bullismo di Trump e l’aggressione economica della Cina?

Il contributo che possiamo anche dare noi come mondo dell'informazione per far vedere la complessità che c'è dietro i tassi e dietro le relazioni commerciali interrotte. Sono appena tornato dalla Cina dove abbiamo approfondito l'innovazione cinese nell'ambito dell'eolico, del fotovoltaico e della mobilità elettrica. Vedrete tutto nella terza puntata.

La dimensione del vantaggio commerciale o la metti nei binari delle relazioni commerciali che ridistribuiscono la ricchezza e portano la pace. Il protezionismo porta la guerra. Eppure l'Europa un ruolo potrebbe averlo proprio come pontiere economico. Del resto è la cosa che sappiamo fare bene noi: se riuscissimo a metterlo sul tavolo di nuove relazioni commerciali, si potrebbero costruire nuovi percorsi di pace. Altrimenti la vedo molto dura.

In questo panorama desolante, nel promo avete voluto inserire un passaggio importante dell’ultimo discorso di fine anno del presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Noi siamo la speranza». In che modo possiamo essere speranza?

Il “noi” di Mattarella riguarda noi cittadini organizzati, pensanti, che non schifiamo la politica, ma ci siamo. È un noi che richiama la sostanza della democrazia del nostro paese. Mi sono commosso quando ho sentito questa frase: richiama una nostra responsabilità contenuta nel nostro essere cittadini con spessore e che invece deleghiamo. Smettiamo di delegare tutto, a partire dall’attività del nostro cervello, e teniamolo aperto.

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