Per il leader del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte, anche sotto la guida di Elly Schlein il Pd resta «il partito dell’establishment», mentre Carlo Calenda parla di una «distanza siderale» tra democratici e Azione. Il capogruppo Pd al Senato, Francesco Boccia, gli risponde definendo «folli» le sue proposte sul salario minimo.

Divisi e confusi

A sei mesi dall’inizio del governo più a destra nella storia repubblicana, questo è il triste stato dell’opposizione, dove le divisioni interne sono quasi altrettanto pronunciate di quelle tra i vari partiti. La questione del termovalorizzatore, ad esempio, fa litigare M5s e Pd, ma anche gli stessi democratici. Il Terzo polo si è spezzato sullo scontro personale e politico tra Calenda e Matteo Renzi e anche il monolitico M5s contiano mostra le prime crepe: ieri l’ex pg di Palermo Roberto Scarpinato ha attaccato direttamente Conte durante un’assemblea dei senatori M5s per via delle sue aperture a Meloni in occasione del 25 aprile.

L’opposizione appare frammentata e inefficacie. Il Pd si comporta da “adulto nella stanza”, ma è facile essere magnanimi con i sondaggi favorevoli. I centristi nel frattempo pensano a distinguersi dagli ex alleati e ad attirare voti dal centrodestra e il Movimento 5 stelle soffre la concorrenza del nuovo Pd guidato da Elly Schlein. Nel frattempo si avvicinano le europee, con il loro sistema proporzionale che mette tutti contro tutti. Ma la maggioranza è tutto meno che unita. Proprio ieri ha mancato l’approvazione del Def. Se la situazione dovesse precipitare, l’opposizione deve farsi trovare pronta. Dal salario minimo ai diritti civili, passando per sanità ed immigrazione, ci sono temi sui cui, se ci fosse la volontà politica, una convergenza sarebbe possibile.

Economia

Pd e Movimento 5 stelle sono già ben avviati su questa strada. Ieri pomeriggio, avrebbero dovuto votare insieme ai parlamentari dell’Alleanza verdi-sinistra una risoluzione comune sul Def approvato dal governo – voto saltato solo perché la maggioranza non è riuscita a far passare il Def.

La risoluzione inizia con una critica alla mancanza di «idee di sviluppo» e ai «preoccupanti tagli alla spesa pubblica» contenuti nel documento del governo, ma prosegue come un vero e proprio programma di coalizione. Sette pagine di proposte che vanno dalla decontribuzione a favore dei lavoratori all’introduzione del salario minimo; dal rafforzamento del welfare, con reddito di cittadinanza, assegno unico e congedi parentali, alla protezione della progressività del sistema fiscale. Il documento arriva fino alla proposta di sperimentare una riduzione dell’orario di lavoro a parità di retribuzione.

Si tratta di temi «prioritari» per il Movimento 5 stelle su cui si è «istaurato un dialogo concreto tra le opposizioni», dice Alessandra Todde, deputata e vicepresidente del M5s. «È un primo passo per la costruzione di un perimetro condiviso – dice il responsabile economico della segreteria Pd, Antonio Misiani – Si parte dall’economia politica e sociale, lavoriamo per costruire coalizione».

Sanità

Misiani si rammarica solo del mancato accordo con Azione e Italia viva sul documento. Dovuto, spiega, alla mancanza di accordo su reddito di cittadinanza, che i centristi vorrebbero cancellare, e sugli extraprofitti per le società energetiche. Giulia Pastorella, deputata e vicepresidente di Azione, dice però che lo spazio per una maggiore collaborazione tra le opposizioni rispetto a quella vista fino ad ora esiste: «I temi su cui possiamo convergere non sono tanti, ma sono importanti».

La tutela della sanità pubblica è il tema più trasversale tra le forze di opposizione. «Durante la discussione sul Def abbiamo tutti sottolineato che la spesa cala, invece che salire, pur rimanendo sotto la media europea – dice Pastorella – Anche per noi, che sulla disciplina di bilancio siamo molto attenti, questo è inaccettabile».

«Sulla sanità c’è spazio per una convergenza di tutte le forze di opposizione – dice Misiani – Tutti siamo molto preoccupati per il futuro della sanità pubblica». È un tema centrale anche per l’elettorato. Secondo un sondaggio Ipsos pubblicato a gennaio, per il 55 per cento degli italiani dovrebbe essere la prima priorità del governo.

Diritti e immigrazione

Ci sono margini per unirsi anche sui temi dei diritti civili. «Sulle proposte irricevibili della maggioranza, come rendere la gravidanza per altri un reato universale, abbiamo tutti battuto un colpo all’unisono – dice Pastorella – Così come sulla rivolta dei sindaci per il divieto di trascrizione dei figli di coppie dello stesso sesso. C’è stata una levata di scudi comune, anche se con modi e toni diversi».

Anche in altre occasioni l’opposizione si è coordinata e ha lavorato in modo unitario, dice Ivan Scalfarotto, senatore di Italia viva. «Penso in particolare ai temi dell’immigrazione. Sul decreto Ong e sul decreto Cutro abbiamo votato in modo compatto contro le norme miopi, ideologiche e direi anche autolesioniste del governo, che fa il contrario di quello che tutte le associazioni imprenditoriali del paese stanno chiedendo: creare integrazione non solo per inderogabili ragioni umanitarie ma anche per evidenti motivi di sostenibilità del nostro sistema economico».

Salario minimo

L’istituzione di un salario minimo è il caso più emblatico delle divisioni che affliggono l’opposizione. L’Italia, insieme ad Austria, Danimarcia, Svezia e Finlandia, è l’unico paese dell’Ue a non averlo. Sulla carta, tutti i partiti di minoranza sono favorevoli alla sua introduzione, ma in sei mesi non sono riusciti a trovare un accordo su un testo comune.

Al momento ci sono in parlamento ben sei proposte differenti, avanzate da Pd, M5s, Azione e dall’Alleanza verdi sinistra. I dettagli su cui differiscono sono trascurabili. Il più importante è, ovviamente, l’importo. Al netto di contributi, Tfr e addizionali varie, quello di Calenda e quello del Pd, differiscono per tre euro l’ora. Tre euro che, da sei mesi, tengono divisa l’opposizione.
 

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