Elly Schlein è arrivata al vertice del Partito democratico in modo abbastanza inatteso. Un percorso che di sicuro condivide con diverse altre donne leader prima di lei. Basti fare due nomi autorevoli, Margaret Thatcher e Angela Merkel, per le quali la finestra di opportunità si aprì in circostanze speciali ed entrambe furono abili a coglierla.

La vicenda di Schlein può ricordare soprattutto quella di un’altra donna che è entrata nella storia in quanto la prima ad andare al ballottaggio per le elezioni presidenziali in Francia. Ségolène Royal, socialista, in politica da tempo e non priva di appoggi influenti (all’epoca era la compagna di François Hollande, segretario del partito), non apparteneva tuttavia al ristretto gruppo dirigente all’interno del quale ci si attendeva venisse scelto il candidato alla presidenza.

Ciò nonostante, Royal non esitò a sfidare alle primarie candidati ben più noti e graditi alla base tradizionale del partito. Attraverso una campagna innovativa e digitale, la candidata inattesa suscitò interesse e entusiasmo nell’opinione pubblica anche al di fuori degli ambienti di partito più tradizionali. Alla fine Royal riuscì ad apparire presidenziabile e a prevalere alle elezioni primarie. Quel successo non fu comunque sufficiente a bloccare l’ascesa alla presidenza di Nicolas Sarkozy, ma indubbiamente il caso Royal rimane un esempio di come sparigliare il campo e produrre esiti imprevisti.

Le differenze

Al tempo stesso, colei che fu la candidata socialista all’Eliseo nel 2007 può essere anche vista come un termine di paragone di monito a Schlein, che è stata eletta nel ballottaggio aperto, ma non era stata la favorita tra gli iscritti. Royal, infatti, ha velocemente “consumato” il consenso ottenuto e non è mai davvero riuscita a consolidare il suo seguito all’interno del Partito socialista al punto che quando, l’anno successivo alle elezioni presidenziali, cercò di diventarne segretaria fu sconfitta da Martine Aubry.

Fatte le dovute differenze, il banco di prova della neoleader Schlein è quella di risolvere il nodo di un’elezione che ha visto divergere il voto degli iscritti e quello dei gazebo. Certo dovrà provare a conquistare l’appoggio di chi non la ha sostenuta, obiettivo non impossibile se sarà in grado di dimostrare di poter estendere il consenso tra gli elettori. Il Pd ha bisogno di credere di poter vincere di nuovo e l’apparato non avrebbe interesse ad affossare chi mostra di poter rilanciare le sorti elettorali del partito.  

Il progetto

Ma chiaramente per la nuova segretaria la sfida vera è portare gradualmente il partito e la sua base a convergere su un progetto politico che le corrisponda. Solo quest’ultima evoluzione potrebbe garantirle un consenso stabile, ma si tratta ovviamente di un’impresa più impegnativa che richiede spiccate capacità di leadership. Come ci ha insegnato James McGregor Burns, i leader o sono transazionali o sono trasformativi. Possono cioè gestire il potere assai efficacemente negoziando e offrendo incentivi alle parti, o nel caso di un partito alle varie correnti.

Possono, ad esempio, spartire le cariche in modo da garantire un equilibrio nel quale prosperare. Oppure possono essere molto più ambiziosi e appunto trasformativi, quindi proporre una visione alla quale il gruppo dovrebbe aderire per convinzione e non per sola convenienza. Il che ovviamente si basa su due presupposti: primo, avere una visione; secondo, avere anche quel tanto di capacità persuasiva per portare dalla propria parte. Saprà Elly Schlein fornire ispirazione? Del suo programma delle primarie quanto saprà far diventare un progetto condiviso?

Esordio all’opposizione

Va osservato che Schlein esordisce come leader di opposizione, ruolo che, a meno di quelli che al momento sembrano poco probabili sviluppi che portino a crisi di governo, dovrebbe mantenere per un po’ di tempo. Non discuto se questo sia o meno un vantaggio (si potrebbe argomentare che è più facile controllare il partito da vincitori e stando al governo), ma comunque questo è ciò che la aspetta.

Le circostanze le daranno occasione – direi che la obbligheranno – a perfezionare il proprio stile di leadership su un doppio livello, dentro al partito, sul piano organizzativo, ma anche come costruttrice di un’identità militante, e fuori dal partito, come comunicatrice e costruttrice di un consenso più ampio, ma più effimero, proveniente da un elettorato conquistabile di volta in volta, ma meno fideizzabile.

Benché la massima attenzione, come è logico, si indirizzi soprattutto verso la guida dell’esecutivo, e quindi verso la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il sistema politico-mediatico italiano garantisce visibilità anche ai leader dei principali partiti di opposizione. Pertanto Schlein potrà giocarsi le sue carte senza timore di essere oscurata dall’altra donna oggi sotto i riflettori.

Ed è proprio l’esperienza pregressa di Meloni, rimasta a lungo all’opposizione, che può rappresentare l’esempio di una leadership cresciuta nel tempo e proprio per questo più solida di altre che hanno conosciuto successi rapidi, ma di breve durata. L’opposizione è una palestra importante e anche un tempo per costruire. Oggi è il turno di Elly Schlein per utilizzarla al meglio.

Anche qui però nulla è predeterminato. La luna di miele che ora, almeno dai sondaggi, sembra premiare il Pd con un balzo in avanti, sappiamo per esperienza che non durerà per sempre. A quel punto la vera sfida sarà non far invertire la tendenza e mantenere un trend positivo quando l’effetto novità della leader si sarà esaurito.

Leadership personale 

LaPresse

Come ha fatto Meloni, anche Schlein potrà senz’altro permettersi di puntare sulla sua personalità per rafforzare la sua posizione e costruire consenso. Ciò comporta uscire dagli schemi formali e accettare una politicizzazione della propria persona. Questo la neosegretaria sembra averlo capito bene ed eccola, infatti, che si mette a suonare Imagine nel programma di Cattelan.

Da questi esordi, possiamo aspettarci uno stile molto più pop dai suoi immediati predecessori, Nicola Zingaretti ed Enrico Letta, con buona pace di chi vorrebbe mantenere confini più netti tra la sfera pubblica e quella personale. D’altra parte, come aveva già mostrato Matteo Renzi a un Partito democratico che all’epoca era ancora un po’ recalcitrante, non si può andare controcorrente rispetto alle tendenze della comunicazione contemporanea. Sul piano comunicativo il processo di leaderizzazione ha le sue regole e la campagna ibrida, quella che si gioca sulle diverse arene – tradizionali e digitali, piazza e social, formali o di intrattenimento – si impone a prescindere dalle preferenze dei politici.

La dimensione performativa della politica c’è sempre stata, oggi però si sono moltiplicati i palcoscenici. Negarsi questi spazi è una scelta legittima, ma è uno svantaggio perché limita il campo d’azione, soprattutto se il problema è trovare nuovi elettori tra quelli che ormai sono lontani dalle arene pubbliche più tradizionali.

La tentazione per Schlein può essere quella di puntare un po’ troppo sul personaggio che si è venuto a delineare nella continua interazione tra l’immagine di sé proiettata intenzionalmente dai politici e la rappresentazione di quell’immagine che danno i media. Nel caso della neosegretaria del Pd, il personaggio che è emerso e va perfezionandosi è quello di una donna giovane e spigliata, un’outsider che sconfigge l’apparato, una che, volente o nolente, è già sulla via di diventare celebrity (e, infatti, iniziano a comparire i primi servizi sui settimanali di gossip che si interessano alla sua vita privata). 

Sulla carta Schlein ha i requisiti giusti per piacere all’industria dell’infotainment e dell’intrattenimento. Deciderà lei come e in che misura spingersi in questa direzione. Puntare sull’attrattività delle leadership personali funziona, e anche qui il caso Renzi ha dimostrato qualcosa, ma soprattutto nel breve periodo, mentre nel medio-lungo periodo può non bastare. In questo senso, Schlein farebbe bene a porsi come priorità quella di ancorare la sua leadership a un’identità politica ben delineata.

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