Bisogna prendere in prestito le parole del boss romano, Massimo Carminati, per capire il sistema Genova, il grumo di potere costruito attorno a Giovanni Toti, presidente della regione, ora ai domiciliari per corruzione (ha fatto scena muta davanti al giudice). Sopra ci sono i politici e gli imprenditori, in mezzo ci sono i portatori di voti e gli uomini sospettati di vicinanza ai clan e sotto gli elettori che chiedono il rispetto dei patti e il mantenimento delle promesse, a volte, senza riuscirsi mostrando risentimento e sofferenza. In questo incrocio di mondi ora spunta anche la massoneria.

Partiamo dagli ultimi, gli elettori che hanno svenduto la preferenza in cambio di un favore o posto di lavoro. All’esito delle regionali del 2020, viziate da una corruttela elettorale diffusa secondo la procura di Genova, alcuni votanti lamentano il mancato rispetto dei patti.

«Tu ti sei rivolto a me di aiutarti a votarti ed io e parenti e amici ti abbiamo sostenuto perché ti considero un amico (32 voti sicuri) non pochi!!!! (...) mi servirebbe un posto sicuro per stare tranquillo e avere un salario dignitoso, credo di meritarmelo (...) ti imploro in ginocchio», scrive l’elettore al consigliere regionale, Stefano Anzalone, eletto nella lista Toti e oggi al misto.

Nel mondo di mezzo, invece, ci sono i portatori di voto, i capibastone e loro usano altri modi per dirsi delusi. I fratelli Testa, Toti li chiama i «bulldozer» dei consensi, sono due politici vicini a Forza Italia, ora il partito li ha sospesi. Da Bergamo arrivano a Genova per mobilitare la comunità di appartenenza, i siciliani di Riesi in Liguria, per votare in massa Toti e i consiglieri amici. Anche due fratelli, dopo il voto, si lamentano di Anzalone. «Io se volessi Anzalone dopo un'ora si deve dimettere, perché basta andare da un procuratore e dirgli questo qua mi ha promesso 10.000 euro e non me li ha dati, e m'ha pagato solo l'albergo, no, e basta questo qui, lo, lo, si dimette dopo un'ora.

Lui ha solo sputato sui Testa, no, è venuto ad una cena con 250 persone, pagata da altri, dunque ha fatto una campagna elettorale gratis, no, e questa te la dice tutta». Un’intercettazione che racconta una politica ricattabile e in mano ai signori dei voti, signori in grado di garantire posti di lavoro in cambio di pacchetti di consensi. Matteo Cozzani coordina la lista Toti e poi, dopo le regionali, diventa capo di gabinetto del presidente e si preoccupa di mantenere i patti elettorali con i Testa, «la parola vale più di un contratto», diceva al telefono. I due fratelli si servono anche di altri referenti.

Uno è sicuramente il sindacalista, Venanzio Maurici, prima in Fillea e poi in Spi, il sindacato dei pensionati della Cgil. «Venanzio Maurici e Lorenzo D'Antona sarebbero accomunati dall'appartenenza ad una medesima congrega massonica», scrivono gli inquirenti. In particolare è proprio Testa, collezionista di voti, a riferire di aver notato un anello sulle dita di Maurici: «Gli dissi minchia Ezio (Maurici, ndr) adesso sei massone non lo sapevo che eri massone (...) gli dissi però ricordati che i massoni generalmente non sono di sinistra».

Ma chi è Maurici? Secondo gli inquirenti è il referente del clan Cammarata a Genova e attivo nell’associazione ‘Amici di Riesi’, fondata dal boss Giacomo Maurici e nella quale i Testa hanno, negli anni, assunto un ruolo importante. I mondi si incrociano pericolosamente anche in un’altra vicenda quella riguardante l’ascesa di un altro politico, il consigliere regionale Domenico Cianci, che ha ottenuto, nella lista del presidente Toti, un enorme successo merito anche del supporto dei calabresi, in particolare gli imprenditori Mamone, considerati vicini a una cosca calabrese. C’è una telefonata che racconta la vicinanza tra i mondi, dopo le elezioni Carmelo Griffo, vicino a una cosca di ‘ndrangheta, i Tratraculo, e destinatario di diverse misure di prevenzione, chiama Cianci al telefono. Finisce malissimo la conversazione: «Sei un pagliaccio di merda», dice Griffo dopo aver chiesto il mantenimento delle promesse elettorali.

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