Il 2023 che sta per chiudersi ha visto un ulteriore avanzamento dell’infinito cantiere giudiziario sulla strage di Bologna. E l’anno che verrà ne porterà diversi altri, a partire dall’avvio del processo in Corte d’assise d’appello a Paolo Bellini, il neofascista di Avanguardia nazionale (e pluriassassino per conto della ’ndrangheta) condannato all’ergastolo nell’aprile 2022.

La prima udienza è ormai prossima, essendo stata fissata per mercoledì 31 gennaio, e si prevedono 3-4 mesi di dibattimento: i tempi dipenderanno da quante rinnovazioni istruttorie saranno accolte. I motivi d’appello sono stati formulati ancora a metà maggio dalla difesa di Bellini, dopo che il 6 aprile (a un anno dalla condanna) il presidente della Corte d’assise Francesco Maria Caruso aveva depositato le motivazioni della sentenza.

E nel documento degli avvocati Antonio Capitella e Manfredo Fiormonti (oltre 400 pagine) non vi è alcun riferimento alla cosiddetta pista palestinese, tormentone che pure Bellini, nel corso dell’estate, è tornato in qualche modo ad agitare in una serie di interviste dagli arresti domiciliari diffuse anche su YouTube, prima che i giudici bolognesi ne decidessero l’incarcerazione per motivi di cui si dirà più avanti.

Le “rinnovazioni”

Sono comunque diverse e importanti le richieste di rinnovazione dibattimentale, le principali delle quali incentrate sulle testimonianze che hanno “incastrato” Bellini: a partire da quella della ex moglie (di cui si chiede il ritorno in aula), che lo ha riconosciuto nell’ormai celebre filmato amatoriale realizzato da un turista svizzero il 2 agosto del 1980 alla stazione di Bologna la mattina dell’attentato. E su quel filmato, in particolare, la difesa chiede alla Corte d’assise d’appello di effettuare una perizia antropometrica.

Nel mirino anche l’intercettazione del leader di Ordine Nuovo del Triveneto Carlo Maria Maggi, che tanto aveva fatto discutere in primo grado, dopo che una consulenza di uomini della polizia scientifica aveva inaspettatamente (e improvvidamente) mutato le parole che pronunciava, con «il padre di ’sto aviere» (lo era Bellini) divenuto «lo sbaglio di un corriere». E va detto che la deposizione in aula di quei tre tecnici aveva fruttato loro il rinvio degli atti dalla Corte alla Procura, affinché valutasse se procedere nei loro confronti.

I mandanti

Come noto, il processo Bellini era stato originato dalla cosiddetta “inchiesta mandanti”, con la Corte d’assise che ha sostanzialmente accolto in sentenza la tesi della Procura generale, la quale indicava a vario titolo come organizzatori, finanziatori e mandanti della strage i vertici della P2 (Licio Gelli e Umberto Ortolani), l’ex prefetto Federico Umberto D’Amato e l’allora senatore del Msi Mario Tedeschi.

Tutti comunque non più processabili perché da tempo deceduti. Anche di loro comunque si occupa la difesa Bellini che, parlando di violazione della «regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio», chiede «di ritenere conseguentemente insussistente e non provato il mandato ed il finanziamento della strage a carico di Licio Gelli e Umberto Ortolani», così come «la percezione della somma di 850mila dollari e l’organizzazione della strage a carico di Federico Umberto D’Amato e di 20mila dollari per collaborare ad organizzare la strage a carico di Mario Tedeschi».

Ovviamente «non provata e insussistente», secondo Capitella e Fiormonti, anche la presenza dell’imputato alla stazione di Bologna e la sua partecipazione alla strage: e se ne chiede l’assoluzione con formula ampia. Peraltro, in via subordinata, la difesa Bellini chiede che gli vengano riconosciute le attenuanti generiche, con questa formulazione: «In ragione del tempo trascorso e della lontananza dai fatti, nonché della condotta di vita tenuta negli ultimi 24 anni, in cui ha operato la scelta di collaborare, manifestando in tal modo segni tangibili di resipiscenza rispetto al passato e alle scelte di vita e conseguentemente riformare la sentenza sul capo relativo alla pena irrogata, sostituendo l’ergastolo con altra pena detentiva temporanea».

Si tratta di un passaggio di prassi, ma che suona comunque singolare («segni tangibili di resipiscenza») alla luce dell’ultimo provvedimento che la giustizia ha adottato nei confronti di Bellini, tornato appunto in carcere a fine giugno dopo che era stato intercettato ancora nel dicembre 2022 dalla Dda di Caltanissetta, che indaga sulle stragi mafiose del 1992, e sentito pronunciare pesanti minacce nei confronti della ex moglie e del figlio del giudice Caruso. Chissà se nel deposito finale dei motivi d’appello la difesa Bellini ha poi almeno sfumato quel passaggio.

Una strage politica

Per un processo d’appello in partenza, un altro si è invece concluso lo scorso 27 settembre, con la conferma della condanna all’ergastolo già comminata a inizio 2020 all’ex Nar Gilberto Cavallini (nel suo caso addirittura il nono), con però una sostanziale modifica rispetto al primo grado: la condanna è infatti venuta per strage politica e non per strage comune, come era avvenuto per un cavillo che qui non si ripercorrerà, benché la stessa motivazione della sentenza d’assise avesse riconosciuto pienamente la finalità politica della strage, in linea peraltro con le sentenze che a suo tempo avevano riguardato gli altri ex Nar Valerio Fioravanti e Francesca Mambro (oltre a Luigi Ciavardini di Terza Posizione).

Una formula che peraltro è stata confermata anche per Bellini. In questo caso le motivazioni dell’ergastolo bis a Cavallini ancora mancano e il presidente della Corte d’assise d’appello Orazio Pescatore ha chiesto e ottenuto una proroga di 90 giorni rispetto ai tre mesi prescritti per il deposito (termine che era in scadenza proprio in questi giorni). A quel punto, quindi dopo marzo, partirà la prevedibile impugnazione in Cassazione da parte della difesa Cavallini.

Altri processi

Lo si è detto: Bologna è un cantiere giudiziario infinito. Di cui fa parte un ulteriore processo ancora in corso, quello che vede imputati nuovamente Ciavardini e l’ergastolano Vincenzo Vinciguerra, lo stragista di Peteano. La cornice in questo caso è il Tribunale e i due devono rispondere di alcune loro deposizioni nel corso del processo in assise a Cavallini, per le quali sono accusati di falsa testimonianza.

La prossima udienza è in calendario il 4 marzo, per la discussione finale. La sentenza potrebbe arrivare già quel giorno o al massimo l’8 aprile (udienza eventuale già fissata). Peraltro Vinciguerra ha in ballo un altro processo, per diffamazione nei confronti di Paolo Signorelli, ex dirigente di Ordine Nuovo scomparso nel 2010: la denuncia era partita dalla figlia Silvia, dopo la testimonianza di Vinciguerra nell’udienza del 4 giugno 2021 al processo Bellini in Corte d’assise. Pochi giorni fa il pm Antonello Gustapane ha chiesto la condanna a un anno, la sentenza è prevista a gennaio, quindi a breve.

Il caso De Angelis

La strage di Bologna promette dunque di tornare a fare discutere, come era avvenuto la scorsa estate proprio nei giorni del 2 agosto: da sempre infatti la ricorrenza del massacro alla stazione (85 morti e oltre 200 feriti, l’episodio terroristico più grave della storia repubblicana) scatena polemiche, mosse dal mai domo fronte innocentista, secondo cui i neofascisti nulla c’entrerebbero.

Come si ricorderà, era stato un post su Facebook di Marcello De Angelis (già dirigente di Terza Posizione, in anni più recenti deputato di Alleanza nazionale e in quel momento responsabile della comunicazione della Regione Lazio) a dare il fuoco alle polveri: si era detto appunto certo dell’innocenza dei condannati con sentenza definitiva Fioravanti, Mambro e Ciavardini, quest’ultimo tra l’altro suo cognato.

E in un secondo post si era detto addirittura pronto «ad andare sul rogo come Giordano Bruno» per le proprie idee. Salvo poi chiedere scusa a tutti. E a stretto giro dimettersi dal proprio incarico, visto l’imbarazzo creato nella destra oggi al governo.

Il silenzio di Meloni

E d’altra parte lo scorso 2 agosto aveva fatto sentire la propria voce “istituzionale” in maniera ben diversa rispetto al 2021, quando da semplice leader di un partito di opposizione aveva “twittato” così: «A oltre 40 anni dalla strage di Bologna, tra ombre e depistaggi, continuiamo a ricordare tutte le vittime e a chiedere verità e giustizia. Lo dobbiamo alla loro memoria e ai loro cari».

Come dire insomma che le sentenze che indicano come colpevoli i neofascisti (sentenze che ormai non si contano più) non hanno valore. Nella prima ricorrenza della strage con l’ultra destra al governo, Meloni ha invece cambiato tono, con un messaggio di vicinanza ai familiari delle vittime e di ringraziamento «per la tenacia e la determinazione che hanno messo al servizio della ricerca della verità».

Ancora si attende comunque un suo pronunciamento nel merito. Chissà se il prossimo 2 agosto, dopo la condanna all’ergastolo anche in appello per Cavallini (e, chissà, magari la conferma di quella per Bellini), la presidente del Consiglio si deciderà a compiere un passo diverso.


Aggiornamento del 9 gennaio, ore 8.58: in una prima versione di questo articolo riportavamo che Meloni non aveva rilasciato dichiarazioni in occasione del primo anniversario della strage con lei alla guida del governo. In realtà, aveva condiviso un messaggio di vicinanza ai familiari, come riportato ora dopo la correzione.

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