Alla fine non c’è stato nessun passo indietro. Nella sua memoria difensiva, Giovanni Toti ha rivendicato il proprio operato e ha chiamato alle proprie responsabilità tutto il centrodestra. «Ho sempre perseguito l’interesse pubblico – si legge nelle 17 pagine consegnate prima ai giornali che ai magistrati, quasi fossero un manifesto politico prima che una difesa giudiziaria – come costantemente rivendicato dal programma politico della maggioranza che mi sostiene».

Sulle eventuali dimissioni la palla passa ai partiti di governo. «Non può prendere lui la decisione sulla base del suo interesse personale, dev'essere presa dopo un confronto e un accordo con le altre parti politiche», ha spiegato l’avvocato di Toti Stefano Savi, ormai veicolo delle scelte politiche del suo assistito.

Il rebus successione

L’eventuale revoca dei domiciliari, che il legale di Toti richiederà nei prossimi giorni, sarebbe il primo step per continuare a rimanere in sella. O almeno per non dimettersi immediatamente. Antonio Tajani gli ha fatto scudo: «Se dovessero essere revocati gli arresti domiciliari si andrebbe nella direzione di una permanenza alla guida della regione».

Una cautela che, dietro al coro sulla presunzione d’innocenza, nasconde l’intenzione del centrodestra di prendere tempo e di non aprire altri fronti interni. Perché la richiesta di un passo indietro significherebbe anticipare di qualche mese le discussioni sul dopo-Toti, e per ora non si vede nessun successore naturale all’orizzonte. Salvini ha tutto l’interesse affinché il governatore non si dimetta: perché la Lega è il primo partito in regione ed esprime anche il presidente pro tempore Alessandro Piana, e perché da un ritorno alle urne rischierebbe di uscire ridimensionata rispetto al 2020, quando ha superato di sette punti percentuali Fratelli d’Italia.

Giorgia Meloni per ora ha scelto una linea attendista, ma nel partito il voto anticipato non è più una possibilità remota. Anche perché Fratelli d’Italia vorrebbe imporre in Liguria un proprio candidato e un passo di lato di Toti potrebbe essere sfruttato per iniziare a riequilibrare da qui i rapporti di forza tra le regioni, anche se con le indagini in corso una vittoria della maggioranza di governo non è affatto scontata. Pur essendo ampiamente il partito egemone della coalizione, il partito di Meloni controlla solo Abruzzo, Marche e Lazio, su un totale di tredici regioni governate dal centrodestra.

Il nome che circola come possibile candidato meloniano è il capogruppo in regione Stefano Balleari. Un’intenzione – quella di prendersi la Liguria – che fa il paio con gli scontri in corso da settimane con la Lega per il dopo-Zaia in Veneto.

Per ora tutto è rimandato a dopo le europee, a meno che gli sviluppi giudiziari o la conferma a oltranza dei domiciliari costringano il centrodestra per opportunità politica a scaricare Toti e a chiedergli di dimettersi. Il weekend dell’8 e 9 giugno è uno snodo fondamentale per due ragioni. Perché chiedere al governatore ligure un passo indietro prima di quella data potrebbe equivalere a un’ammissione di colpa. E perché dal risultato che uscirà dalle urne si definiranno i nuovi rapporti di forza all’interno della coalizione, con Meloni pronta a incassare i dividendi, partendo innanzitutto dalle prossime regioni al voto: nel mirino ci sono, appunto, Liguria e Veneto.

Intanto la posizione delle opposizioni continua a rimanere la stessa: Toti deve dimettersi. «Il centrodestra ha votato contro l'audizione di Anac e Libera nella commissione antimafia del consiglio regionale della Liguria dove volevamo capire gli strumenti utili a combattere la corruzione. Come pensano di governare se non sanno affrontare temi come la legalità e la trasparenza?», ha denunciato il capogruppo del Partito democratico Luca Garibaldi con il presidente della commissione Roberto Centi, della lista Sansa.

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