«È la Sicilia che non abbassa la testa, ché ormai siamo diventati terra di leghisti che ci devono venire a raccontare a noi siciliani come funziona il mondo». Si esprimeva così a maggio 2019 Luca Sammartino, il vicepresidente della regione siciliana dimessosi dal governo guidato da Renato Schifani dopo il coinvolgimento nell’inchiesta che oggi, a Catania, ha portato all’esecuzione di 17 misure cautelari.

Sammartino è accusato di corruzione in vicende in cui avrebbe fatto valere il proprio peso per condizionare gli equilibri politici, tanto su scala locale, garantendo a Santi Rando – poliziotto con un passato da assessore a Catania e da oggi in carcere con l’accusa di voto di scambio politico-mafioso – di diventare sindaco di Tremestieri Etneo, quanto fuori regione, fornendo un contributo all’elezione a Bruxelles di Caterina Chinnici.

Ed è proprio facendo riferimento alla figlia del giudice ammazzato da Cosa nostra nel 1983 che Sammartino nella primavera di cinque anni fa parlava di una Sicilia che sapeva resistere ai venti leghisti che ormai da tempo spiravano anche nell’isola. Nulla di strano se si considera che Sammartino e Chinnici (non indagata) all’epoca militavano nello stesso partito: il Pd.

L’aneddoto, che fa parte delle intercettazioni riportate nelle quasi ottocento pagine di ordinanza siglate dalla gip Carla Aurora Valenti, acquisisce un altro sapore se si considera che due anni dopo – era l’estate 2021 – Sammartino passò proprio alla Lega, di cui fino a oggi rappresentava uno dei big del partito.

Corruzione

Un potere che Sammartino, nel cui curriculum c’è anche l’Udc, secondo i magistrati avrebbe utilizzato e rafforzato con azioni che tracimano il territorio della politica, sconfinando nella corruzione. È il caso, per esempio, delle pressioni che sarebbero state attuate affinché la regione revocasse l’apertura di una nuova farmacia a Tremestieri, con l’obiettivo di favorire un farmacista-consigliere comunale e ottenerne in cambio l’appoggio elettorale nel 2015.

Un tipo di accusa che Sammartino in questi anni ha già ricevuto in più di un caso: sono due i processi per corruzione elettorale in cui il deputato regionale figura tra gli imputati. In un caso è accusato di avere dato la disponibilità ad andare incontro ai desiderata dei familiari di un mafioso di un clan del Catanese.

«Tengo a sottolineare che non sono coinvolto in ipotesi di reati di mafia né di voto di scambio. Sono sereno e certo che emergerà la mia totale estraneità ai fatti, risalenti a cinque anni fa, che con stupore leggo mi vengono contestati», ha detto Sammartino annunciando le dimissioni dalla giunta Schifani.

«L’incontro con il boss»

Il passo indietro, tuttavia, difficilmente basterà per sedare le polemiche, che inevitabilmente saranno alimentate dal clima di campagna elettorale e che potrebbero avere eco nazionale, considerate le posizioni che il centrodestra ha preso nei confronti di quanto accaduto a Bari con i rapporti tra il sindaco Antonio Decaro ed esponenti locali della criminalità organizzata. Il paragone non è frutto di suggestioni.

Per quanto Sammartino non sia indagato per fatti di mafia, nelle carte dell’inchiesta viene citato come partecipante a incontri che si sarebbero tenuti a casa di un esponente della famiglia Santapaola-Ercolano e alla presenza del futuro sindaco di Tremestieri Etneo. A fare il suo nome è Silvio Corra, oggi collaboratore di giustizia e in passato braccio destro dell’ex capo provinciale di Cosa nostra. Di Sammartino, Corra non avrebbe ricordato il nome bensì il viso. «Aggiungeva che in un paio di occasioni a tali riunioni aveva visto arrivare anche un altro soggetto che, nell’album fotografico esibitogli, riconosceva nella fotografia raffigurante l’effigie di Sammartino», si legge nell’ordinanza.

In questa storia, quindi, a ritagliarsi uno spazio per nulla secondario è anche Cosa nostra. La famiglia etnea Santapaola-Ercolano avrebbe infatti sostenuto attivamente l’elezione a sindaco di Santi Rando. Il primo cittadino, negli ultimi anni tra i fedelissimi di Sammartino, è accusato di voto di scambio politico-mafioso. A parlare di lui sono stati due collaboratori di giustizia: «L’attuale sindaco di Tremestieri Etneo», ha messo a verbale il collaboratore Salvatore Bonanno, «è stato eletto, nel periodo in cui io ero detenuto, con l’appoggio di Ciccio Santapaola e Vito Romeo che hanno trovato i voti in suo favore».

La bonifica dalle microspie

Secondo gli inquirenti Sammartino cercava di tutelare provando ad anticipare anche le eventuali mosse degli investigatori. «Ti volevo dire una cosa, io necessariamente ho bisogno...», è la frase pronunciata da Sammartino che a gennaio 2020 intercettano i carabinieri. Dall’altra parte c’è una persona che avrebbe fatto da tramite tra Sammartino e Antonio Battiato, 56enne carabiniere in servizio alla sezione di polizia giudiziaria. «Vuoi di nuovo?», chiede l’intermediario. Al che Sammartino chiosa: «Sì, necessariamente, necessariamente». Al centro del dialogo ci sarebbe stata l’esigenza di rinnovare la bonifica dei locali che ospitano la segreteria politica del politico leghista. Un servizio che il carabiniere avrebbe svolto a ripetizione, con impegno e attenzione ma non con i risultati sperati. «Il sistema antibonifica attivato dalla polizia giudiziaria riusciva a impedire il rinvenimento delle microspie», si legge in un passaggio dell’ordinanza.

Sospetti

Il nome del politico e nei giorni scorsi era apparso anche nelle carte di un’altra inchiesta su mafia e politica in provincia di Catania. A Paternò – la città di cui è originario il presidente del Senato Ignazio La Russa – il sindaco Nino Naso è finito indagato per presunti accordi elettorali con il clan Laudani, anche se il gip non ha ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza.

Sammartino, che per questi fatti non è indagato, pochi mesi prima delle comunali del 2022 avrebbe partecipato a un pranzo sedendosi al tavolo con il futuro primo cittadino di Paternò e Pietro Cirino, soggetto ritenuto legato alla cosca Laudani.

Quanto accaduto a Paternò e Tremestieri Etneo non dimostra soltanto come la politica continui a non avere anticorpi sufficienti per difendersi dalla criminalità organizzata, ma rischia anche di trasformarsi in una fonte di imbarazzo all’interno di Fratelli d’Italia in Sicilia: il partito di Giorgia Meloni che ha la propria punta di diamante in Gaetano Galvagno – presidente dell’Ars – nei giorni scorsi ha chiesto le dimissioni del sindaco di Paternò, città di cui è originario anche Galvagno.

Qui, alle comunali del 2022, FdI si presentò al voto proponendo un proprio candidato. Scelta diversa da quella fatta a Tremestieri nel 2021, quando Rando ha ottenuto la riconferma: in quel caso FdI si riunì attorno al nome di Rando, sostenuto anche da Sammartino tramite una lista civica. Lecito dunque chiedersi se FdI chiederà anche le dimissioni del primo cittadino tremestierese, da oggi in carcere. «Nei prossimi giorni valuteremo il da farsi, verificando le posizioni di ognuno. Al momento non possiamo dichiarare nulla», chiosa il presidente provinciale di FdI Alberto Cardillo.

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