«Fango». Parola di Karoline Leavitt, la portavoce della Casa Bianca, dinnanzi all’incubo di una nuova slavina potenzialmente devastante per Donald Trump. La miccia è in una manciata di mail, finora inedite, che tornano ad inchiodare il presidente americano sulla figura di Jeffrey Epstein, il miliardario finito suicida in una carcere federale nel 2019 dopo esser stato travolto da quello che forse è il più grande scandalo di traffico di minorenni della storia americana.

In particolare, nella tranche di scritti diffusi dai democratici della Commissione di vigilanza della Camera e pubblicati da Cnn e New York Times, è una mail dello stesso Epstein a far tremare i palazzi di Washington. Scriveva il finanziere che Trump trascorse «ore» a casa Epstein con una donna descritta come una vittima del suo traffico sessuale. Non solo: il tycoon, così il miliardario, «sapeva delle ragazze» del suo giro.

Ebbene, per Leavitt, ossia la Casa Bianca, si tratterebbe solo di una «narrazione» ad uso politico dei democratici, una versione dei fatti che Trump ha sempre categoricamente negato, affermando invece che il finanziere un tempo erano stati amici, ma che poi avevano «litigato».

«Interrogativi lampanti»

Ovviamente i democratici della commissione vigilanza la pensano diversamente: dicono che le mail, selezionate tra migliaia di pagine di documenti ricevuti, sollevano nuovi interrogativi sul rapporto Trump-Epstein. Il dubbio è, come minimo, che il tycoon sapesse più di quanto avesse mai ammesso riguardo agli abusi di Epstein. E che le mail smentiscano il medesimo Trump, che ha sempre negato qualsivoglia coinvolgimento o conoscenza del traffico sessuale.

Ancora. In un altro messaggio, Epstein si chiede come rispondere alle domande dei media sui rapporti con il tycoon, che in quegli anni stava assurgendo ad occupare una posizione di primo piano nella politica nazionale. «Queste mail sollevano interrogativi lampanti su cos’altro la Casa Bianca stia nascondendo e sulla natura del rapporto tra Epstein e il presidente», attacca il deputato californiano Robert Garcia, principale esponente dem della commissione di vigilanza.

È ad almeno due ore dalla pubblicazione delle mail che la fedele portavoce Leavitt consegna ai media la sua versione: «I democratici hanno consegnato in modo selettivo le mail ai media liberal per creare una falsa narrativa tesa a infangare il presidente». Aggiunge Leavitt che «la vittima anonima a cui si fa riferimento in queste mail è la scomparsa Virginia Giuffre».

Un nome che non cade a caso: tra le principali accusatrici di Epstein, la donna morta per mano propria lo scorso aprile, non può confutare la ricostruzione della Casa Bianca. In più, a detta di Leavitt, Giuffre avrebbe «più volte affermato che il presidente non è stato coinvolto in alcuna azione illegale e non sarebbe potuto essere più amichevole con lei nelle loro limitate interazioni». A quanto afferma il sito Axios (in base a fonti repubblicane), il nome di Giuffre non era coperto dagli omissis nei documenti forniti alla commissione di vigilanza.

Nella variante Trump la versione della vicenda Giuffre è che Epstein l’aveva «rubata» dalla sua spa a Mar-a-Lago, e in queste ore i repubblicani si affrettano a ricordare che Virginia nelle sue memorie descriveva il tycoon come «amichevole» e che non l’aveva accusato di alcun illecito. La famiglia della donna, tuttavia, ha avuto modo di dichiarare a The Atlantic che il commento di Trump «ci fa chiedere se fosse a conoscenza delle azioni criminali di Jeffrey Epstein e Ghislaine Maxwell».

Com’è come non è, per il presidente la nuova escalation del caso Epstein è di difficilissima gestione, come minimo. In una delle mail pubblicate dal New York Times, provenienti da uno scambio del 2018 con l’ex segretario al Tesoro Lawrence Summers, Epstein definisce Trump «al limite della follia» (borderline insane, in inglese).

Per ore, dopo la diffusione delle mail, il tycoon ha preferito il silenzio: non gli capita spesso, questo è sicuro. Restano le parole di Karoline Leavitt, quella storia delle «mail diffuse selettivamente ai media liberali», «una frode» messa in campo per oscurare la votazione volta a porre fine al più lungo shutdown della storia. Somma offesa, dato che la riapertura delle finanze federali nella rappresentazione trumpiana viene bombasticamente rivendicata come un trionfo repubblicano.

Nelle ore precedenti alla nuova deflagrazione del caso Epstein, era la battaglia legale contro la Bbc a tenere banco, nella solita trumpitudine quotidiana e rutilante: il presidente aveva fatto sapere di sentirsi «obbligato» ad agire contro l’emittente britannica, per aver manipolato il suo discorso del 6 gennaio 2021, facendo apparire le sue parole come un diretto incitamento alla violenza dei manifestanti al Congresso. In un’intervista a Fox News, il presidente aveva detto che «non può permettere che si facciano cose del genere». I giornalisti «hanno ingannato il pubblico e lo hanno ammesso».

Il presidente ha poi definito la vicenda «un evento triste», sostenendo che la Bbc «ha cambiato il mio discorso del 6 gennaio, che era bellissimo, molto pacato, e l’hanno fatto sembrare radicale. È stato molto disonesto e il capo si è dimesso, così come molte altre persone».

La vendetta di Donald

Il riferimento è al direttore generale della Bbc, Tim Davie, che ha lasciato l’incarico insieme la responsabile delle news, Deborah Turness. Formalmente le dimissioni sono arrivate in seguito a un’indagine interna che sollevava dubbi sull’imparzialità della copertura della Bbc su diversi fronti, ma è chiaro che al centro della bufera c’è il caso che ha portato Trump a minacciare una richiesta di danni da 1 miliardo di dollari.

La Casa Bianca chiede di ritirare il documentario incriminato e pretende scuse pubbliche, e ha fissato per venerdì la scadenza per ricevere una risposta dell’emittente Bbc, altrimenti procederà con la denuncia. Sperando di creare nuove distrazioni del pubblico dai suoi guai, quelli seri.

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