Ogni estate, con l’avvicinarsi delle vendemmie di agosto e settembre, un taxi carico di grappoli d’uva accuratamente classificati parte dalla Siria occidentale nella zona di Latakia, il cui porto è presidiato dai russi, si lascia alle spalle i territori controllati da Bashar Assad e varca il confine libanese. Poi continua attraverso la regione di Hakkar, la più povera del paese dei Cedri, lambisce le località marittime alla moda nelle cittadine cristiane di Batroun e Byblos, e infine approda nella capitale Beirut. Dove si inizia a pensare il processo di lavorazione del vino più pregiato di Siria.

Qui infatti i proprietari di Domaine de Bargylus, l’unica azienda agricola siriana a produrre vino di alto livello e a commercializzarlo nel mondo (piccole produzioni locali esistono perlopiù a scopi religiosi nelle comunità cristiane), assaggiano i campioni di uva e mandano istruzioni alla casa madre.

Il Syrah è pronto per la vendemmia. Il Cabernet Sauvignon meglio aspettare. E così via. Poi, sugli altipiani a circa cento metri di altezza storicamente denominati appunto “Bargylus”, a sud di Latakia, il processo va avanti, rimanendo «strettamente siriano», spiegano dall’azienda.

Colpi di mortaio

«Fin dall’inizio Bargylus si è data l’obiettivo di competere sui mercati internazionali», dice seduto in un albergo di Sassine in centro a Beirut Ayman Khoury, un rappresentante dell’azienda della famiglia di imprenditori siro-libanesi greco-ortodossi Saadé.

«Questo significa grande attenzione ai tempi di raccolta di ogni vitigno e una resa bassa di grappoli per ogni vite, per massimizzare la qualità dell’uva. La produzione siriana è limitata a 40mila bottiglie», spiega. Dalla primavera 2022 l’azienda bergamasca Ghilardi Selezioni distribuisce il vino, sia bianco che rosso, anche in Italia.

«Dall’inizio della guerra civile Johnny Saadè e i suoi figli Karim e Sandro non sono mai tornati in Siria per ragioni di sicurezza, ma tengono tutto sotto controllo da Beirut», racconta sempre Khoury. «Sono attentissimi a evitare questioni politiche, amano parlare solo di vino». Oggi la zona di Latakia è saldamente sotto il controllo del regime, ma i Saadé temono azioni di brigantaggio, il che spiega anche perché mandano subito i prodotti finiti in dei magazzini a Bruxelles, in Belgio, prima della distribuzione secondo le direttrici di export internazionali.

Trattandosi di cibo e bevande il prodotto non è soggetto a sanzioni internazionali.

In passato i combattimenti fra le forze del regime di Assad e le opposizioni sono arrivati pericolosamente vicino alle vigne. Come nell’estate 2014, quando dei bombardamenti hanno distrutto 15 viti di Chardonnay. Anche rifugiandosi a Beirut, tuttavia, i fratelli Saadè, nati uno un anno prima e l’altro un anno dopo la sanguinosa guerra civile libanese del 1975-1990, hanno continuato a fare i conti con gli aspetti più spinosi del contesto medio-orientale.

L’esplosione del porto

Nell’estate di due anni fa, il 4 agosto 2020, l’esplosione del porto di Beirut ha fatto quasi 250 morti e danni incalcolabili al paesaggio urbano, in particolare nei quartieri cristiani benestanti di Gemmayze e Mar Mikhael.

L’incendio che ha causato i due botti – rimasti ancora senza colpevoli – era visibile dagli uffici dell’azienda vinicola, che sono rimasti distrutti. Johnny Saadè, il fondatore, è finito in ospedale per un mese e da lì ha assaggiato i grappoli d’uva della nuova annata. Diversi dipendenti sono rimasti feriti.

«A parte guerre ed esplosioni, il contesto siriano presenta ostacoli nel lavoro di tutti i giorni», racconta Khoury, che in quell’occasione ha rimediato tagli sul viso e diverse contusioni.

«Manca la cultura del vino, che veniva prodotto nella regione in epoca antica ma poi è andato sparendo con l’avvento dell’Islam. Questo significa che la manodopera va sempre istruita quasi da zero. C’è poi il fatto che, con il collasso delle valute di Siria e Libano, importare tappi, bottiglie, etichette e altri prodotti è diventato parecchio caro».

Per questo è fondamentale la proiezione internazionale. «In Siria il mercato è quasi inesistente, non solo perché la popolazione musulmana non beve, ma anche perché la geografia frammentata del paese rende i trasporti complicati. E poi c’è il prezzo (in Italia il rosso costa 36,70 euro, il bianco 30 euro, ndr): il vino è di alto livello ed è disponibile solo in un paio di alberghi e ristoranti di lusso a Damasco, perlopiù frequentati da stranieri».

Il fascino della Siria

Ma l’origine inusitata è anche la forza del marchio: quasi nessuno lo ostracizza associandolo al regime siriano. Bargylus ha sedotto distributori in 30 paesi nel mondo, da Francia e Regno Unito in Europa fino a Canada, Australia, Giappone e Dubai. «Per noi è stata una vera sorpresa», spiega Marianna Mazzoleni del distributore Ghilardi Selezioni, specializzato costruzione di brand poco conosciuti, che ha l’esclusiva in Italia.

«Riteniamo che Domaine de Bargylus sia un progetto molto interessante, un vino di qualità prodotto in un terroir insolito, in cui è difficile fare qualsiasi tipologie di business, ancora di più produrre vino», ha detto. I Saade, che hanno iniziato a piantare barbatelle di vite nei primi anni Duemila, si sono accreditati anche assoldando Stéphane Derenoncourt, rinomato enologo di Bordeaux, come consulente per la produzione vinicola. E hanno incassato la luce verde di critici internazionali.

Jancis Robinson, la settantaduenne scrittrice di vini britannica, ha descritto il rosso come «una sapiente miscela di syrah, cabernet sauvignon e merlot con un aroma di carattere e profondità di sapore». In un articolo del 2012 il New York Times gli attribuiva addirittura «il gusto della vegetazione del Mediterraneo orientale, del cedro e dell’eucalipto», ma poi chiosava: «Forse era solo una suggestione».

Conflitti di famiglia

Durante la guerra civile libanese Johnny Saadé si era spostato per un periodo in Francia e, insieme al fratello Jacques, aveva investito nel settore del trasporto navale. Oggi il ramo della famiglia rimasto in Europa è proprietario di Cma Cgm, una delle multinazionali del trasporto navale più grandi del mondo.

Johnny ne rivendica una parte della proprietà, il che ha causato anni di conflitti legali, ora ereditati dal figlio del fratello, l’amministrazione delegato Rodolphe Saadé. Il vino, ça va sans dire, dal punto di vista finanziario non vale nulla rispetto al colosso del trasporto navale. Ma Karim e Sandro, che hanno anche una seconda produzione in Libano nella valle della Beqà, «vivono l’impresa con passione, come un modo di riconnettersi con le proprie terre», spiegano dall’azienda a Beirut.

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