La Turchia ha ritirato il veto all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, ma a pagare il prezzo del compromesso raggiunto in occasione del summit di Madrid sono la democrazia e i diritti umani, soprattutto quelli dei curdi e dei dissidenti turchi che pensavano di aver trovato nei paesi scandinavi un rifugio dalle politiche persecutorie del governo di Recep Tayyip Erdogan.

In cambio del suo via libera, non ancora definitivo, il presidente turco ha ottenuto importanti concessioni da Stoccolma ed Helsinki, riuscendo a imporre il proprio volere su quei due paesi europei da sempre considerati paladini della difesa dei valori democratici e dei diritti umani, ma pronti invece a sacrificare una parte della loro popolazione pur di entrare nella Nato.

Il terrorismo

Punto centrale del memorandum firmato in occasione del summit di Madrid è la lotta al terrorismo. Per la Turchia, sia il Partito dei lavoratori curdo (Pkk) sia l’amministrazione autonoma del Rojava, sia le milizie curdo-arabe (Ypg/Ypj) sono considerate delle organizzazioni terroristiche, ma a livello europeo solo il primo rientra in questa categoria. Ciò ha permesso all’occidente di sostenere i curdi siriani nella lotta all’Isis e di instaurare delle relazioni anche diplomatiche con l’amministrazione del Rojava, ignorando le rimostranze della Turchia. Almeno fino a questo momento.

Con il memorandum infatti Svezia e Finlandia si impegnano a sostenere la Turchia contro le minacce alla propria sicurezza nazionale, aderendo pertanto alla definizione di terrorismo vigente nel paese anatolico. Una definizione particolarmente ampia e vaga, usata indiscriminatamente per mettere a tacere ogni forma di opposizione tanto in patria quanto all’estero.

Nello specifico, Helsinki e Stoccolma sono disposte a interrompere ogni sostegno alle Ypg/Ypj, al Pyd, il partito dell’unione democratica attivo in Rojava, e all’organizzazione guidata da Fethullah Gulen (Feto). Tutti soggetti considerati dalla Turchia una minaccia alla sicurezza nazionale ma che non rientrano nella lista delle organizzazioni terroristiche dell’Ue.

Leggi da cambiare

Per soddisfare le richieste di Ankara, i due paesi scandinavi sono anche disposti a modificare le leggi nazionali in materia di terrorismo e a collaborare con la Turchia nel contrasto a tutte le attività di soggetti legati direttamente o indirettamente al Pkk. Svezia e Finlandia però non tengono conto né della recente sentenza della Corte Ue dei diritti umani che mette in discussione l’inserimento del Pkk nella lista delle organizzazioni terroristiche, né dell’uso strumentale che viene fatto in Turchia dell’accusa di legami con il partito dei lavoratori. Il governo di Ankara, tramite la magistratura, fa ampio ricorso a questo capo di imputazione per colpire chiunque ne metta in discussione l’operato e per indurre giornalisti, politici e attivisti all’autocensura.

Ugualmente contraddittoria è la posizione adottata tramite il memorandum da Svezia e Finlandia nei confronti movimento islamico guidato da Fethullah Gulen, ex alleato dal presidente e accusato di aver guidato il fallito colpo di stato del 2016. Anche in questo caso, Erdogan ha usato l’accusa di legami con Feto per eliminare dall’apparato istituzionale e accademico turco i suoi oppositori, molti dei quali sono stati costretti a trovare rifugio all’estero per sfuggire a pesanti condanne.

Estradizione, disinformazione e armi

Ciò che curdi e dissidenti turchi adesso maggiormente temono è di essere estradati in Turchia, uno scenario impensabile fino a pochi giorni fa. Secondo quanto previsto dal memorandum, i paesi scandinavi riesamineranno le richieste di estradizione presentate da Ankara, che nelle ultime ore ha inviato ai governi di Stoccolma ed Helsinki una lunga lista di persone che vorrebbe fossero riportate in patria per essere prontamente processate. Per Erdogan, i due paesi scandinavi sono stati troppo a lungo un rifugio sicuro per coloro che in patria erano definiti dei terroristi, ma che secondo la legislazione di Svezia e Finlandia rientravano nell’ambito dei perseguitati politici. Almeno fino ad oggi.

Helsinki e Stoccolma hanno anche promesso ad Ankara di impegnarsi nella lotta alla disinformazione, un termine al momento molto vago e la cui definizione avrà importanti risvolti per la stessa libertà di informazione ed espressione nei due paesi. In Turchia tale concetto ha una portata molto ampia ed è usato frequentemente per condannare al carcere non solo giornalisti ma anche semplici cittadini che si lamentano sui social della crisi economica, inducendo ancora una volta le persone all’autocensura per evitare il carcere. Come è facile immaginare, Erdogan non si accontenterà della definizione di disinformazione vigente in Europa, pertanto il rischio è che anche all’estero criticare il governo turco possa ben presto trasformarsi in reato.

Grazie alla firma del memorandum di Madrid, Ankara ha anche ottenuto la fine dell’embargo sulle armi imposto da Svezia e Finlandia nel 2019 a seguito dell’operazione militare turca contro il Rojava. L’export bellico dei due paesi verso la Turchia non è in realtà particolarmente rilevante, ma per Erdogan non era possibile ammettere all’interno della Nato due paesi così apertamente schierati in difesa del nord est della Siria. La ripresa delle esportazioni dunque non fa che confermare la fine del sostegno scandinavo ai curdi siriani e arriva tra l’altro nel momento in cui Erdogan minaccia una nuova operazione militare nel Rojava. Senza contare gli attacchi che vanno avanti da tempo contro il nord dell’Iraq e che hanno mietuto vittime civili tra curdi e yezidi, la minoranza maggiormente perseguitata dall’Isis e ora nel mirino anche della Turchia.

Più sicurezza

L’intesa tra Svezia, Finlandia e Turchia è stata definita un successo dal segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, che fin dall’inizio aveva invitato i paesi scandinavi a prendere in considerazione le richieste turche, di fatto legittimando il ricatto imposto dal presidente Erdogan.

Secondo il numero uno dell’Alleanza, l’ingresso - ancora non ufficiale - di Stoccolma e Helsinki nella Nato corrisponde a un aumento della sicurezza generale degli alleati, ma nel suo discorso Stoltenberg dimentica un dettaglio importante. Proprio la Turchia, che accusa i due paesi scandinavi di essere un santuario del terrorismo a causa della presenza di curdi e dissidenti politici, è quello stesso membro della Nato che ha consentito ai jihadisti di attraversare senza problemi il confine turco-siriano per andare ad ingrossare la file dell’Isis, garantendo ad alcuni di loro anche assistenza medica nel proprio territorio.

Sempre la Turchia è attualmente alleata dei gruppi jihadisti che controllano la cosiddetta zona sicura nel nord-est e la regione di Idlib. Quest’ultima è una spina nel fianco per il regime di Bashar al Assad, ma rappresenta un problema per la sicurezza anche per gli Stati Uniti: le ultime operazioni condotte dagli Usa contro la galassia jihadista ancora attiva in Siria – e che comprende tanto Isis quanto al Qaida e le sue diramazioni – hanno interessato proprio l’area di Idlib, una delle ultime roccaforti dell’estremismo.

L’Italia

Ma legare la maggiore sicurezza degli alleati Nato alle richieste della Turchia è un precedente pericoloso anche per i curdi che vivono nel resto d’Europa, Italia compresa. Emblematico è a questo proposito il comportamento della questura di Roma, che in occasione della manifestazione di inizio giugno ha cercato di vietare le bandiere del Pkk, da sempre presenti durante i cortei organizzati dal movimento curdo in Italia.

Alla fine il simbolo del partito, che rappresenta più in generale il popolo curdo, è stato esposto durante il corteo ma questo tentativo di vietarne l’utilizzo è il primo segnale di un aumento del controllo sulla minoranza presenza in Italia. Soprattutto dopo le concessioni fatte da paesi come Svezia e Finlandia al “dittatore” turco.

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