Molte differenze tra la dichiarazione americana e quella europea dopo l’accordo politico: divergenze sul digitale e farmaci. All’inizio del colloquio con von der Leyen il tycoon aveva rilanciato le tariffe al 30 per cento. Poi la marcia indietro al 15
«Un negoziatore duro, ma anche un dealmaker». È il modo in cui Ursula von der Leyen, all'inizio dell'incontro con Donald Trump domenica scorsa, in Scozia, aveva definito il capo della Casa Bianca. Eppure, ironia della sorte, la chiusura dell'accordo commerciale tra Unione europea e Stati Uniti sembra sempre spostarsi un passo più in là. La Casa Bianca e la Commissione europea hanno pubblicato due dichiarazioni – separate – riguardo all'accordo politico raggiunto tra le due parti a Turnberry.
E tra le due note ci sono discrepanze non da poco. Sul digitale, ad esempio: la Casa Bianca annuncia che l'Unione europea «affronterà le barriere commerciali ingiustificate» e «non adotterà né manterrà tariffe di utilizzo della rete», ma nulla di tutto ciò risulta dal comunicato europeo.
Washington sostiene anche che le due parti «collaboreranno per affrontare le barriere non tariffarie che incidono sul commercio dei prodotti alimentari e agricoli, compresa la semplificazione dei requisiti relativi ai certificati sanitari per i prodotti lattiero-caseari e suini statunitensi».
Formulazioni blande
La formulazione della Commissione è molto più blanda, e parlando alla stampa un portavoce della Commissione ha chiarito la versione europea: «Non modifichiamo le nostre regole, il nostro sistema alimentare, sanitario e di sicurezza», così come «il nostro diritto di regolamentare autonomamente lo spazio digitale».
Rebus anche sull'acciaio: l'Ue annuncia una quota per le esportazioni basata sui volumi commerciali storici, che permetterà di abbassare il 50 per cento attuale. Washington, tuttavia, nega: «Le tariffe settoriali su acciaio, alluminio e rame rimarranno invariate, l'Ue continuerà a pagare il 50 per cento». «Non abbiamo ancora tutti gli elementi necessari per farlo, fa parte della discussione in corso con gli Stati Uniti, ma l'importante è l'impegno a farlo», sostiene la Commissione.
Diverse interpretazioni, infine, anche per quanto riguarda semiconduttori e prodotti farmaceutici: per l'Ue «il limite massimo del 15 per cento si applicherà anche a eventuali dazi futuri» su tali prodotti, e «fino a quando gli Stati Uniti non decideranno se imporre dazi aggiuntivi su questi prodotti ai sensi della Sezione 232, essi rimarranno soggetti solo ai dazi Mfn (nazione più favorita) statunitensi», mentre per gli Usa anche qui si applicherà il 15 per cento base.
Prima di arrivare a un accordo che sia giuridicamente vincolante, insomma, restano ancora degli ostacoli da superare. E da Bruxelles fanno notare come anche questa «guerra degli annunci» rientri in una strategia negoziale, come tutto quando si tratta con Donald Trump: un portavoce ha perfino confermato che la richiesta iniziale del tycoon, all'incontro con von der Leyen in Scozia, era ancora del 30 per cento. Scesa poi al 15 per cento nel corso di una breve – l'incontro è durato circa un'ora – e perlopiù teatrale trattativa. Il prossimo passo sarà una dichiarazione congiunta, che dovrebbe essere pubblicata entro il 1° agosto, che contribuirà a chiarire alcuni dei nodi che persistono.
Dopodiché, arriverà il momento di tradurre il deal in atti concreti. E se la Casa Bianca opterà per l'ormai consueto ordine esecutivo, la scelta degli strumenti giuridici da parte dell'Ue avrà anche un valore politico: permetterà, infatti, di capire quanto verranno coinvolti gli Stati membri e il Parlamento europeo. Se si dovesse optare per le misure commerciali autonome, come quelle applicate nei confronti dell'Ucraina, in sede di Consiglio sarebbe necessaria una maggioranza qualificata.
Più complesso invece l'iter in caso di un accordo internazionale bilaterale Ue-Usa, che potrebbe avere bisogno dell'unanimità degli Stati membri nel caso in cui alcuni capitoli interessassero materie non commerciali, il via libera del Parlamento europeo e una ratifica da alcuni Stati, se previsto dalle rispettive Costituzioni.
L’appello di 11 paesi
Stati che, intanto, continuano a muoversi per ripararsi dal prevedibile impatto dell'accordo. Un gruppo di undici paesi, guidati dalla Francia e tra cui figura anche l'Italia, ha diffuso una proposta per «un nuovo quadro di protezione commerciale contro gli effetti dannosi delle sovracapacità siderurgiche», che la Commissione europea dovrebbe mettere in atto già dal 1° gennaio 2026.
E sempre dalla Francia, il ministro dell'Economia, Éric Lombard, ha annunciato che con tutta probabilità tra le esenzioni alla tariffa del 15 per cento rientreranno anche i liquori, una delle richieste principali di Parigi. Resta da capire la sorte dei vini, con Francia e Italia ovviamente in prima linea per ottenere esenzioni ma con una trattativa più arretrata rispetto a quella sui superalcolici.
Intanto, un primo possibile sospiro di sollievo è arrivato dal Fondo monetario internazionale, secondo cui la crescita globale, nonostante uno scenario di «incertezza che rimane elevata», dovrebbe raggiungere il 3,0 per cento nel 2025, in rialzo dello 0,2 per cento rispetto alla precedente previsione di aprile ma ancora in calo rispetto al 2024 (3,3 per cento).
Previsioni positive anche per l'Italia, per la quale la crescita dovrebbe attestarsi allo 0,5 per cento (era allo 0,4 per cento ad aprile).
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