A mettere uno stop, almeno temporaneo, all’infinita dinastia dei Bongo in Gabon – al potere, tra padre e figlio, da oltre 55 anni – ha pensato un inaspettato golpe, il settimo in Africa in solo sette anni, consumatosi lo scorso 30 agosto.

Ma proprio mentre la popolazione festeggia la possibile fine di un’era e si cominciano a delineare i contorni di un primo governo di transizione, si fa strada l’ipotesi che dietro al colpo di stato ci sia la volontà di perpetrare, con altri uomini, la saga di famiglia.

Il principale leader dell’opposizione del paese, Albert Ondo Ossa, in un’intervista rilasciata il 31 agosto scorso all’emittente francese Tv5 Monde, ha descritto il golpe come un ennesimo «affare di famiglia» e come prova schiacciante circa il fatto che «Brice Oligui Nguema (il generale pronto a prestare giuramento come “presidente della transizione”, ndr) è cugino di Ali Bongo».

Il colpo di stato, quindi, secondo Ossa, non sarebbe altro che una manovra interna e sempre famigliare, per rimuovere dal potere un personaggio probabilmente ingombrante. Il 64enne, oltre che rappresentare la continuità dinastica, infatti, è stato colpito da un gravissimo ictus sul finire del 2018 che ne ha minato le facoltà fisiche e, qualcuno sostiene, anche mentali.

Un presidente malato

Per circa dieci mesi, dopo il grave episodio clinico, Bongo è letteralmente scomparso per riapparire solo nell’agosto successivo in pessime condizioni. Da allora la situazione è certamente migliorata, anche se permangono limiti fisici e nell’eloquio. «I Bongo – riprende Ossa – hanno deciso di mettere da parte il presidente e di continuare il loro sistema mettendone in piedi uno nuovo. Ma così il sistema Bongo continua».

I soldati hanno preso il potere il 30 agosto poche ore dopo che il presidente Ali Bongo, ora agli arresti domiciliari assieme al figlio maggiore e consigliere e prominenti elementi del governo e del partito, era stato annunciato come vincitore delle elezioni per un terzo mandato. L’accusa degli ufficiali che hanno preso il potere era di aver truccato i risultati delle elezioni dello scorso fine settimana.

«Dietro Oligui Nguema – ha rincarato Ondo Ossa – c’è Pascaline Bongo (sorella di Ali Bongo), non c’è bisogno di guardare oltre. È evidente che così il clan Bongo continuerà a essere al potere. È una rivoluzione di palazzo, non c’è nessun colpo di stato militare. La prova è che è stata la guardia pretoriana a compiere l’opera. Gli altri soldati non sono stati coinvolti».

L’opposizione e Ossa, sotto di Bongo al voto di oltre il 30 per cento, avevano denunciato lo svolgimento clientelare e fraudolento della tornata elettorale e quindi salutato con entusiasmo la scelta dell’esercito, che si era opposto a quello che il blocco anti-esecutivo aveva definito «un colpo di stato elettorale» e aveva esortato gli ufficiali a lanciare un riconteggio delle schede.

Ma ora che è stato nominato presidente di transizione Brice Oligui Nguema, quello che Ossa denuncia essere un cugino del presidente, fortemente sponsorizzato dalla sorella, le speranze che qualcosa cambi realmente scemano in modo netto.

Il summit sul clima

Intanto, è iniziato il 4 settembre a Nairobi l’Africa Climate Summit, il vertice africano sul clima che andrà avanti fino al 6 e vedrà coinvolti leader del continente e internazionali. Le intenzioni degli organizzatori sono di uscirne con una posizione unitaria dell'Africa sulla crisi climatica in vista della Cop28 a Dubai e trovare una strategia tutta africana per liberarsi definitivamente di tentativi neo-coloniali di sfruttamento.

Secondo le Nazioni Unite, l'Africa rappresenta solo il 2-3 percento delle emissioni di carbonio del mondo, ma è il continente più colpito dal riscaldamento globale: come sostiene Science Direct, dall'inizio del 2022, almeno 4.000 persone sono state uccise e 19 milioni colpite da eventi meteorologici estremi. Il vertice di Nairobi, organizzato dal governo keniota e dall'Unione Africana, si svolge in parallelo alla Settimana del clima in Africa.

I paesi del continente continuano a ricevere rassicurazioni da quelli del Global Nord riguardo a impegni e fondi, ma un rapporto dell’Onu del 2022, che ha quantificato in un numero tra i 7 e i 15 miliardi di dollari all'anno le perdite a causa dei cambiamenti climatici, denuncia che dei 124 miliardi di dollari all'anno necessari per drenare il fenomeno, sono arrivati solo 28. Almeno 20 capi di Stato hanno confermato la loro presenza e 18.500 partecipanti da tutto il mondo si sono registrati. Si prevede inoltre la partecipazione di circa 30.000 delegati.

Alla tre giorni sarà presente anche il presidente della Cop28, Sultan Al Jaber, che ricopre la carica di amministratore delegato della compagnia petrolifera statale Abu Dhabi National Oil Co. Come è noto la crescita della produzione di petrolio e gas negli Emirati Arabi Uniti è destinata a essere tra le maggiori al mondo nei prossimi anni.

Le attese sono molte. Ma anche i timori. «Le proiezioni di ReconAfrica – spiegano in un articolo ospitato da Al Jazeera esponenti di varie sigle ambientaliste in rappresentanza di 500 organizzazioni della società civile – parlano di 120 miliardi di barili di petrolio recuperabili in Africa. Ciò potrebbe produrre una "gigabomba di carbonio" di 51,6 gigatonnellate di emissioni di anidride carbonica, pari a un sesto del bilancio mondiale di carbonio rimanente - una quantità che non possiamo permetterci… Il modello neocoloniale di estrazione e sfruttamento delle risorse africane ad ogni costo deve finire».

Ad evitare che il vertice si traduca in uno spot e poco altro gli attivisti lanciano l’allarme: «L'attenzione del summit sembra essere stata dirottata verso la promozione dei combustibili fossili invece che sulle soluzioni energetiche pulite e sui crediti di carbonio invece che su una giusta transizione verso le energie rinnovabili».

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