A capo della delegazione Hamas c’è Khalil al-Hayya, sopravvissuto al raid su Doha. Il presidente americano manda al tavolo Witkoff e il suo genero, Jared Kushner
A una settimana di distanza dalla presentazione del piano di pace per Gaza da parte di Donald Trump, le delegazioni di Israele e Hamas sono arrivate in Egitto per riprendere le trattative ferme da mesi. E i colloqui indiretti sono iniziati soltanto nel tardo pomeriggio di lunedì 6.
Finora è questo l’unico reale risultato raggiunto dal presidente degli Stati Uniti che nella Casa Bianca aveva annunciato di fronte al premier israeliano Benjamin Netanyahu il suo progetto.
Venerdì Hamas ha aperto al piano con delle riserve. Una risposta che Trump ha accolto con favore chiedendo a Israele di «cessare immediatamente i bombardamenti». Ciò nonostante l’Idf ha eseguito più di 130 attacchi nelle 72 ore successive, uccidendo almeno 104 palestinesi nella Striscia. Solo lunedì 6 sono morti altri sette gazawi, di cui tre mentre erano in coda per ricevere gli aiuti umanitari.
Per il momento, Trump mantiene l’ottimismo. In un post ha provato a bruciare le tappe: «La prima fase dovrebbe essere completata questa settimana», ha scritto, aggiungendo che bisogna «agire in fretta per evitare un enorme spargimento di sangue». Ma alla Reuters alcuni funzionari hanno fatto sapere che questa tornata di negoziazioni non sarà rapida, ci vorrà qualche giorno.
L’obiettivo di Hamas è quello di raggiungere un accordo ben definito e completo prima che entri in vigore un cessate il fuoco. Vuole evitare cosa è accaduto lo scorso marzo, quando Israele ha interrotto in maniera unilaterale la tregua riprendendo i bombardamenti una volta consegnati parte degli ostaggi. Da quel momento, la guerra è ripresa senza sosta con l’offensiva a Gaza City iniziata ad agosto che ha causato centinaia di migliaia di sfollati.
I nodi da sciogliere
I famigliari dei 48 ostaggi ancora nelle mani di Hamas speravano in un accordo lampo e di riportare a casa i casa entro il secondo anniversario dal 7 ottobre. Ma sono diverse le questioni che dovranno essere discusse a Sharm el Sheikh.
Da una parte Hamas ha accettato la liberazione di tutti gli ostaggi in un’unica fase, anche se ha sollevato questioni sulle tempistiche: troppo poche 72 ore per contattare i gruppi che detengono i prigionieri israeliani e consegnarli alla Croce rossa internazionale. Dall’altra ha sollevato una serie di modifiche al piano: no al disarmo completo, più garanzie sul ritiro dell’Idf da Gaza, la certezza del riconoscimento di un futuro Stato palestinese e un ruolo sulla futura governance della Striscia da parte di un organo tecnocratico formato da palestinesi.
Altro nodo è la lista dei prigionieri da liberare dalle carceri israeliane. Hamas vuole chiedere il rilascio di sei detenuti di peso: Marwan Barghouti, Ahmed Saadat, Hassan Salama Abdullah, Ibrahim Hamed, Abdullah Barghouti e Abbas al-Sayed.
Per il momento, Tel Aviv non vuole cedere. Soprattutto su Marwan Barghouti, che sta scontando cinque ergastoli ed è uno dei pochi nomi che riesce a riunire tutto il popolo palestinese. Una sua liberazione appare al momento difficile, anche per via dell’opposizione degli alleati dell’ultradestra del premier Netanyahu.
Il tempo stringe
A guidare la delegazione di Hamas c’è Khalil al-Hayya, capo negoziatore sopravvissuto all’attacco aereo dell’Idf su Doha dello scorso 9 settembre. Gli israeliani, invece, sono guidati dal ministro per gli Affari strategici Ron Dermer, uno degli uomini più di fidati del premier Benjamin Netanyahu che lunedì 6 ha avuto un colloquio con il presidente russo Vladimir Putin per discutere del piano. Oltre a Dermer ci sono anche il coordinatore per gli affari dei prigionieri e dei dispersi, Gal Hirsch e alcuni funzionari dello Shin Bet e del Mossad.
Per conto di Washington al Cairo arriveranno l’inviato per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero del presidente degli Stati Uniti, Jared Kushner. Entrambi rimarranno in Egitto fino a quando non sarà firmato l’accordo. Questo l’ordine che viene da Washington.
I paesi arabi sperano in Trump. Il ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdelatty, ha detto che il tycoon è «la prima garanzia per l’attuazione del piano di pace nella Striscia di Gaza». «Ha chiaramente confermato il suo impegno e la promessa di attuarlo per raggiungere sicurezza, stabilita e pace in Medio Oriente», ha aggiunto. I leader di Turchia e Qatar stanno intensificando le interlocuzioni per fare maggiori pressioni su Hamas, una volta definiti i punti cruciali del piano della Casa Bianca.
Il tempo inizia a scadere. «Hamas rischierà il completo annientamento se rifiuterà di cedere il potere e il controllo di Gaza», è tornato a minacciare Trump. Nel pomeriggio il portavoce della Casa Bianca ha detto che «l’amministrazione sta lavorando duro per far andare avanti le cose il più velocemente possibile, ora sono in corso colloqui tecnici».
Il presidente egiziano Abdel Fattah al Sisi ha sottolineato che «un cessate il fuoco a Gaza e l'avvio di un percorso per uno Stato palestinese significano procedere verso una pace permanente». E poi ha rassicurato il suo popolo: «L’esercito è saldo nella sua missione di proteggere il paese e i suoi confini, e non teme le sfide. La situazione regionale non tollera più negligenze, richiedendo un alto senso di responsabilità».
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