In pochi minuti tutta la Striscia ha saputo che l'ambasciatore statunitense in Israele Mike Huckabee ha ordinato, per volere di Trump, l’ingresso immediato degli aiuti e che questi saranno distribuiti da personale specializzato. C’è mistero su chi gestirà l’operazione. I gazawi divisi tra speranza e scetticismo
«Arriveranno i camion, arriveranno i camion». La notizia di un possibile imminente ingresso degli aiuti umanitari risveglia Gaza dal depresso torpore in cui è precipitata negli ultimi giorni. In pochi minuti tutta la Striscia ha saputo che l’ambasciatore americano in Israele Mike Huckabee ha ordinato, per volere di Trump, l’ingresso immediato degli aiuti e che questi saranno distribuiti da personale specializzato.
«Non ci hanno ancora dato istruzioni precise – racconta il giornalista Hassan Isdodi – ma sappiamo che ci saranno quattro stazioni di distribuzione, probabilmente dislocate al sud. Questo per venire comunque incontro al piano di Israele di spostare la popolazione verso l’area di Rafah, che hanno sotto controllo».
Il piano – sia per quanto stabilito dagli Usa sia per quanto ne sanno i gazawi – non riguarderà minimamente Hamas. Il movimento, infatti, non ha rilasciato finora nessuna comunicazione, soprattutto dal momento che l’obiettivo era sfruttare il pugno duro di Netanyahu sul cibo per poter avere il coltello delle trattative dalla parte del manico.
«Alcune persone sono fiduciose sull’arrivo degli aiuti umanitari – spiega il cronista Isdodi – e sperano che una volta che i camion umanitari entreranno nella Striscia i prezzi scenderanno. Ma molti altri, più analitici, hanno la sensazione che l’ingresso degli aiuti significhi che la guerra continuerà ancora a lungo». La quantità di viveri, dicono, sarà certamente abbastanza, ma quello che i gazawi desiderano davvero è che la guerra finisca, in un modo o nell’altro.
Le notizie sul meccanismo di distribuzione, chiamato protocollo 2720, sono ancora molti discordanti. «Secondo alcune indiscrezioni – ci dice la giornalista Noor Shirzada – gli Usa stanno dialogando con diverse organizzazioni umanitarie per un supporto nella consegna dei viveri, in particolare pare stiano coinvolgendo Medici senza frontiere e il Programma alimentare mondiale. Queste dovranno solo eseguire gli ordini Usa e se diranno di no, riceveranno sanzioni».
Secondo altre notizie, invece, sarà Israele a gestire gli aiuti, utilizzando la consegna dei pacchi alimentari come esca per far andare la popolazione verso il sud della Striscia. Del resto, anche l’Ufficio Onu per il coordinamento degli affari umanitari (Ocha) ha criticato duramente il piano per la distribuzione degli aiuti.
«È incompatibile con i principi umanitari e creerà gravi rischi di insicurezza – hanno fatto sapere – il tutto non riuscendo a soddisfare gli obblighi di Israele ai sensi del diritto internazionale». Secondo l’Ocha, in base a questo piano, praticamente, l’Onu e chiunque altro accetterà consentiranno agli Usa e a Israele un ulteriore controllo sulla consegna degli aiuti, con il rischio di scegliere i beneficiari degli aiuti in modo non imparziale.
A criticare il piano, poche ore fa, è stato anche il Fronte popolare per la liberazione della Palestina. «Si tratta di un meccanismo neocoloniale per imporre il controllo sugli aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. È uno strumento di ricatto politico e un preludio all’imposizione di sfollamenti forzati e al trasferimento dei residenti in aree simili a “campi di detenzione di massa”, in flagrante violazione di tutte le norme e convenzioni internazionali». I membri del Fplp, che negli ultimi anni si sono fortemente dissociati da Hamas, hanno invitato le organizzazioni internazionali a non sottomettersi al volere di Washington e Tel Aviv ma di spingere per un «meccanismo internazionale legittimo e accettabile».
Intanto, sul campo l’Idf sta avanzando sempre più verso il centro della Striscia. «Siamo a Khan Yunis da sei mesi – racconta Samih Muhammad Abu Sal – abbiamo faticosamente ricostruito uno spazio in cui vivere, fatto metà da muri e metà da tendaggi. Non abbiamo nessuna intenzione di spostarci ancora, ma dicono saremo deportati al sud. Siamo stanchi, non credo avremo ancora la forza». La popolazione è preoccupata per i piani di espansione di Israele: sul campo i movimenti delle truppe sono diventati sempre più veloci, mentre dall’altro le bombe continuano a cadere per radere al suolo anche quel po’ che ancora è rimasto in piedi.
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