Il 30 agosto 2022 all’età di 91 anni è morto in un ospedale moscovita l’ultimo leader sovietico: Michail Sergeevic Gorbaciov. Insignito nel 1990 del premio Nobel per la pace, il ruolo di Gorbaciov è stato determinante per la fine pacifica della Guerra fredda e la riunificazione tedesca. Tra i partner del cancelliere tedesco Helmut Kohl, egli è stato il più disponibile nel favorire l’unità della Germania.

Fu quello, del resto, il punto di arrivo di una riflessione interna al gruppo dirigente della perestrojka durata anni.

Il dialogo con Bonn

Dopo un periodo di incertezza, in cui non era mancata la tensione con Kohl, Gorbaciov inizia a elaborare una strategia, seppure non priva di ambiguità e pressapochismo, in cui la prospettiva dell’unità della Germania viene presa seriamente in considerazione.

A fondamento di ciò c’era la consapevolezza a Mosca dell’insostenibilità economica e militare dell’impero esterno sovietico, nonché dell’impossibilità nel lungo periodo di sorreggere il peso della Repubblica democratica tedesca.

Erich Honecker, il dittatore della Germania Est, dal 1987 era un aperto oppositore della perestrojka e per questo detestato da Gorbaciov, mentre gli altri dirigenti di spicco della Sed (il partito al potere in Germania Est) erano ritenuti inaffidabili dal Cremlino. Fin dal 1988, quindi, i collaboratori di Gorbaciov legano la soluzione della “questione tedesca” al riavvicinamento con Bonn e alla simultanea costruzione di una casa comune europea in cui il rapporto Germania-Urss sarebbe stato il fulcro del ricongiungimento tra est e ovest al di fuori delle vecchie alleanze militari.

Che i tedeschi dovessero essere gli alleati europei privilegiati non era una novità per il Cremlino. Esisteva in Urss una lunga tradizione di stretti rapporti con la Germania fin dagli anni immediatamente successivi alla Rivoluzione d’ottobre, quando si instaurò il cosiddetto “spirito di Rapallo”; una tradizione che ha avuto un certo peso pure nel determinare l’alleanza con Hitler nel settembre 1939 per la divisione in sfere di influenza dell’Europa orientale.

Nonostante lo shock legato alla Seconda guerra mondiale, i rapporti con Bonn durante la Guerra fredda migliorano gradualmente grazie soprattutto alla Ostpolitik del cancelliere socialdemocratico tedesco Willy Brandt.

Nel contesto della perestrojka i dirigenti sovietici rinnovano la tradizione “filo-tedesca” convinti del ruolo guida ormai giocato dalla Germania Ovest nel continente europeo da un punto di vista politico ed economico-finanziario.

In altre parole, grazie alla riunificazione tedesca Mosca sperava di trovare un alleato per sostenere i costi della perestrojka interna e attuare i propri progetti in Europa.

Lo spartiacque 1989

Dopo l’abbattimento del Muro di Berlino, Gorbaciov tenta di legare con ancora più forza la disponibilità sull’unità della Germania al riavvicinamento est-ovest, nonché alla richiesta di sostegno economico e finanziario all’occidente.

L’irritazione provata dal Cremlino il 28 novembre 1989, quando Kohl lesse i suoi “dieci punti” sulla riunificazione di fronte al Bundestag, era dovuta principalmente al fatto che il cancelliere non aveva consultato Mosca e aveva così messo i sovietici di fronte al fatto compiuto.

Del resto, il vertice sovietico non pensava ci fossero alternative alla riunificazione. Il 26 gennaio 1990, in una riunione dell’ufficio politico del Pcus, Gorbaciov sostiene l’impossibilità di fare affidamento sulla dirigenza della Germania Est, dove i successori di Honecker tentavano di accreditarsi come i nuovi “riformatori”. L’unico modo per condizionare gli sviluppi futuri sarebbe stato attraverso la Germania federale e collegando la “questione tedesca” all’integrazione pan-europea.

Tuttavia, i termini del confronto erano irrimediabilmente cambiati alla fine del 1989 e, a prescindere dalle intenzioni sovietiche, ottenere un accordo alla “pari” con l’occidente era diventato una chimera. Il Cremlino aveva poco o nulla in mano e l’unico strumento di pressione verso gli occidentali era la presenza dell’Armata rossa in Germania Est e nel resto dell’Europa centro-orientale.

Gorbaciov decide di assecondare i cambiamenti in corso, peccando di ingenuità ma seguendo coerentemente il principio dell’autodeterminazione dei popoli nella speranza – costruendo una Europa di pace e collaborazione – di agevolare il successo interno della perestrojka.

La strada verso la Nato

Qualsiasi opposizione all’entrata della futura Germania unita nella Nato cade definitivamente durante il 1990 per due motivi. Per primo, gli elettori della Repubblica democratica tedesca il 18 marzo votano in massa i cristiano-democratici di Kohl, bocciando sostanzialmente qualsiasi soluzione che non fosse quella di una rapida integrazione delle due Germanie nel contesto della Comunità europea e della Nato.

Secondo, nella primavera estate dello stesso anno la situazione economica dell’Urss continua a precipitare alla luce delle fallimentari e inconcludenti riforme degli anni precedenti. Mentre i cambiamenti auspicati da Gorbaciov richiedevano tempi lunghi per la loro maturazione, gli avvenimenti incalzanti del 1989-1990 finiscono rapidamente per cambiare il volto geopolitico dell’Europa e invalidare i progetti sovietici.

Il 29 aprile 1990 a Mosca il primo capo di governo non comunista della Germania Est, Lothar de Maizière, sostiene che la mancata nascita di una struttura paneuropea non poteva bloccare la soluzione della “questione tedesca”.

Era grazie alla richiesta di viaggiare con celerità verso la riunificazione che la coalizione guidata dalla Cdu aveva vinto le elezioni: proseguire su quella strada sarebbe stato legittimo e inevitabile. In ottemperanza al principio della non ingerenza e dell’autodeterminazione dei popoli, Gorbaciov non cerca argomentazioni con cui controbattere.

È così che nel luglio 1990 Gorbaciov e Kohl si incontrano nel Caucaso e il leader sovietico acconsente all’ingresso della Germania riunificata nella Nato: il capo del Cremlino agisce pensando di difendere il diritto di scelta del popolo tedesco. Contemporaneamente egli spera di stringere una più stretta collaborazione con Bonn e di ottenere una serie di aiuti per sostenere lo sforzo riformista della perestrojka.

Il fallimento del piano

In realtà, Gorbaciov non può avvantaggiarsi in nessun modo di quei risultati. I disastri della politica interna e la dissoluzione del socialismo reale nell’Europa dell’Est avevano prodotto in Urss un montante malcontento verso il Pcus, unico partito comunista ancora al potere in Europa, e un generalizzato scoramento nella classe dirigente sovietica. Nel giro di poco più di un anno Gorbaciov è costretto a dimettersi dalla carica di presidente, ammettendo il fallimento di un progetto politico ormai naufragato.

Il piano di una Germania riunificata alleata dell’Urss capace di fungere da ponte tra est e ovest in una Europa fuori dai blocchi, già difficile da realizzare negli anni precedenti, non ha avuto alcuna possibilità di concretizzarsi dopo l’abbattimento del Muro di Berlino.

Dall’inizio del 1990 il presidente americano George H.W. Bush aveva, infatti, cominciato a premere per una Germania unita all’interno del Patto atlantico, compromettendo gli obiettivi europei di Gorbaciov. Allo stesso tempo, la casa comune europea desiderata dal leader sovietico non entrò mai nell’agenda politica dell’Europa comunitaria che, al contrario, proprio con il benestare di Bonn, decise di convocare una conferenza che avrebbe portato di lì a poco alla firma del Trattato di Maastricht.

In questo senso, nel 1990 la riunificazione tedesca voluta e favorita da Gorbaciov anziché essere lo strumento per rilanciare il paese e la sua politica europea ha certificato la perdita di legittimità storica dell’alterità sovietica e ha svuotato di senso l’esistenza dell’Urss nell’Europa post-comunista e post-guerra Fredda che era ormai nata.

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