Hossam al Astal, Yasser Abu Shabab, Rami Halas e Ashraf al Mansi. Sono i leader delle milizie che agiscono nella Striscia con il consenso dell’esercito israeliano anche in alcune aree sotto il loro diretto controllo
La strategia è chiara. Disarmare Hamas o sconfiggerlo sul campo con gruppi armati attivi nella Striscia di Gaza e sostenuti dall’esercito israeliano. Questa strategia era già nota nei mesi scorsi dopo inchieste giornalistiche e testimonianze di funzionari anonimi israeliani rilasciate a diversi media dello stato ebraico e internazionali. Ma l’ultima inchiesta di Sky News rivela dettagli importanti su chi sono i gruppi armati che combattono Hamas nella Striscia di Gaza.
L’organizzazione palestinese e il suo alleato principale, la Jihad islamica, sono fortemente indeboliti dopo due anni di guerra in cui sono stati decapitati gran parte dei loro vertici militari. E nel vuoto creato si stanno facendo spazio quattro gruppi ben definiti attivi nel nord e nel sud della Striscia, ognuno con un’organizzazione precisa e leader riconoscibili, che hanno il supporto logistico e bellico da parte dello stato ebraico.
L’obiettivo hanno riferito fonti militari israeliane citate da Sky News è «creare un nuovo ordine a Gaza», un progetto che nei ranghi dell’esercito viene chiamato “New Gaza”. In via indiretta questa strategia sarebbe stata anche dichiarata pubblicamente dallo stesso premier Benjamin Netanyahu: «Hamas non può più governare Gaza, ma non possiamo farlo neppure noi. Dobbiamo trovare palestinesi che non siano terroristi».
La milizia di al Astal
L’ultimo a parlare con i media è Hossam al Astal, a capo di una milizia attiva nel sud della Striscia a Khan Younis. Ex ufficiale dei servizi di sicurezza dell’Autorità nazionale palestinese, al Astal opera a ridosso delle linee israeliane e secondo Sky News riceverebbe costanti rifornimenti e mezzi attraverso il valico di Kerem Shalom che è sotto il controllo dell’Idf.
Il quartier generale della sua milizia è situato lungo una strada militare vicina alla linea gialla, a meno di 700 metri da un avamposto israeliano.
Lo stesso al Astal ha ammesso l’esistenza di un «canale di comunicazione» con l’esercito israeliano ma ha negato una collaborazione diretta. «Non lavoriamo per Israele. Il nostro obiettivo è liberare Gaza dal dominio di Hamas». Ma il confine tra sostegno e collaborazione è molto flebile in uno scenario di guerra.
Le popular forces
Più noto, invece, il leader Yasser Abu Shabab membro della famiglia Tarabin. A capo delle Popular Forces è accusato di aver collaborato con l’Isis negli anni fiorenti dell’organizzazione terroristica. Anche la sua milizia opera nel sud di Gaza e secondo inchieste di Reuters e Associated Press avrebbe ricevuto il sostegno logistico da Israele per muoversi all’interno delle zone di sicurezza controllate dall’Idf. Il gruppo sarebbe composto da circa 200 miliziani armati con kalashnikov e M-16.
Abu Shabab respinge accuse di collaborazionismo con lo stato ebraico ma secondo l’inchiesta di Sky News gli uomini della sua milizia pattugliano aree inaccessibili ai civili spesso insieme ai soldati israeliani.
People’s Army
Nel nord, a Beit Lahiya e Jabalia, due aree completamente devastate dai bombardamenti, agisce invece la People’s Army – Northern Forces, guidata da Ashraf al Mansi. Le immagini satellitari analizzate da Bbc Monitoring mostrano convogli armati che si spostano lungo corridoi utilizzati dalle forze israeliane, confermando la presenza del gruppo. Al Mansi sostiene di voler «creare un’amministrazione di sicurezza autonoma» per sostituire Hamas dopo la guerra.
La milizia Halas
A Gaza City, infine, la leadership di Halas – storicamente vicina a Fatah – ha dato vita alle Popular Defense Forces. Secondo Reuters, gli uomini di Rami Halas avrebbero temporaneamente preso il controllo di alcune strade nel quartiere di Shuja’iyya, ritirandosi poi con il supporto di veicoli israeliani. Hamas li considera «traditori al servizio dell’occupazione».
Le quattro milizie potrebbero rientrare tutte insieme in un unico ombrello nel prossimo futuro e magari avere un ruolo anche nella sicurezza della Striscia che sarà appaltata a una Forza internazionale di stabilizzazione (Isf), come previsto dal piano elaborato dalla Casa Bianca.
Famiglie e potere
A Gaza le famiglie hanno sempre rappresentato un potere parallelo a quello politico, spesso in competizione con Hamas e Jihad islamica palestinese. Anche per questo motivo l’esercito israeliano ha deciso di sostenere nuove fazioni che però rischiano di portare nella Striscia ulteriore caos e un conflitto civile che mette a rischio la popolazione e la consegna degli aiuti umanitari. E sarà difficile controllarne gli esiti.
Da quando è entrato in vigore il cessate il fuoco, infatti, è iniziato un regolamento di conti con le brigate al Qassam di Hamas partite alla ricerca dei miliziani antagonisti che ha portato a decine di esecuzioni. Il 13 ottobre, almeno 32 miliziani rivali sono stati uccisi in scontri diretti con i servizi interni di Hamas. Altri sono stati arrestati e accusati di cooperazione con l’occupante.
«La guerra non è più contro Israele – ha dichiarato sotto anonimato un operatore umanitario all’Associated Press – ma tra palestinesi armati».
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