Di fronte ai giornalisti e ai loro riflettori, sulla soglia della porta nera e dorata della sua villa di Mar-a-Lago, Donald Trump ha assicurato al mondo che Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, e i loro due popoli, vogliono vedere la fine della guerra: mancano solo «alcuni passi finali» per un accordo per mettere fine al conflitto in Ucraina.

Se non verrà trovato, «se questa guerra non finirà subito, andrà avanti per molto tempo». Kiev – ha assicurato il tycoon prima di rientrare in casa per scomparire in una delle sue sale marmoree – avrà «forti» garanzie di sicurezza, anche dall'Ue.

Zelensky sotto il sole cocente della Florida è arrivato con un'idea precisa: spostare anche di poco la posizione dell'omologo Usa, ammorbidirne la linea a favore dell'Ucraina. Ora la geometria variabile dei negoziati potrebbe produrre una nuova forma di compromesso: sulla scacchiera di Palm Beach potrà delinearsi un arrocco che congela la guerra, uno stallo nei colloqui che la fa continuare o un'apertura che fa intravedere una soluzione per mettervi fine.

Poi, al termine dell’incontro, in conferenza stampa, i due leader hanno parlato di «grandi progressi» di cui hanno informato i leader Ue. Per Trump, «fiducioso e positivo», oggi siamo «molto più vicini alla pace». Ma la questione del Donbass «resta irrisolta». Sulla cessione ai russi e su un eventuale referendum per deciderla, Zelensky ha risposto: «Dobbiamo rispettare la nostra legge e il nostro Popolo». Un incontro trilaterale con Zelensky e Putin secondo Trump «è ancora possibile, al momento giusto».

Il piano in 20 punti elaborato da Usa, Ucraina ed Ue nelle ultime settimane, è stato già rigettato dal Cremlino, che pretende il controllo di tutto il Donbasss, e ora attende da Kiev una decisione «coraggiosa» sulla regione contesa (cioè, il ritiro). Trump e Zelensky parleranno con i Volenterosi al termine dell'incontro che potrebbe rivelarsi – temono, in particolare, i giornalisti Usa – come i precedenti: incongruente, inutile.

La chiamata con Putin

Prima di Zelensky, Trump è stato raggiunto da una «una telefonata molto buona, costruttiva» di Putin, durata un'ora. L'omologo russo, ha assicurato il repubblicano, è «molto serio» sulla pace.

I due leader non parlavano da ottobre scorso, quando in ballo c'era il vertice di Budapest, poi annullato, e si riparleranno alla fine dell'incontro con la delegazione ucraina, ha assicurato il consigliere di Putin, Ushakov.

Trump e Putin hanno già detto no al cessate il fuoco temporaneo che farebbe prolungare il conflitto e il secondo ha detto sì alla proposta del primo: creare «appositamente» due gruppi di lavoro sulla crisi.

Anche Zelensky – che ha iniziato la giornata con un pubblico «Grazie Keir», il premier britannico con cui è rimasto in contatto telefonico per fare il punto sulla situazione al fronte ucraino e a quello americano – non incontrava Trump di persona da ottobre, quando ha visto respinta la sua richiesta di missili a lungo raggio Tomahawk.

Le prospettive

Kiev può tentare di congelare la mappa lungo le attuali linee di battaglia e, nel peggiore degli scenari, ha riferito di non essere contraria all'ipotesi di sottoporre a referendum la questione delle concessioni territoriali.

Sono urne che potranno però essere organizzate solo con un cessate il fuoco di due mesi – prospettiva che Mosca molto probabilmente respingerà – ma il piano del voto potrebbe rivelarsi comunque fallace: secondo un sondaggio del 15 dicembre scorso del Kiis, Istituto internazionale di sociologia di Kiev, tre quarti degli ucraini è contrario all'idea delle cessioni e solo il 9 per cento crede che la guerra finirà entro l'inizio del 2026.

I binocoli di Mosca ieri erano puntati sulla Florida. «Lasciamo che la via della pace prevalga». Non è una dichiarazione di papa Leone XIV – che ieri ha spedito tre tir di aiuti dal Vaticano all'Ucraina – ma dell'inviato di Putin, il capo del fondo sovrano russo Kirill Dmitriev che prima dell'avvio dell'incontro floridiano ha detto che servono un «dialogo onesto» e «operatori di pace».

Parole eccentriche e paradossali, se si considera che facevano da didascalia a una foto di Donald e Vladimir che si stringono la mano. La conclusione del messaggio di Dmitriev era chiara: «Guerrafondai e truffatori devono pentirsi». Sono parole che ha spedito dritte al cuore d'Europa, simili a quelle pronunciate dal ministro degli Esteri russo Lavrov: «Dopo il cambio di amministrazione negli Stati Uniti, l’Europa e l’Unione europea sono diventate il principale ostacolo alla pace», «non fanno mistero dei loro piani di prepararsi a una guerra con la Russia».

Il capo della diplomazia russa ha ribadito che se qualcuno attacca la Russia, la risposta sarà devastante, ma non c'è motivo di temere che Mosca dichiari guerra – lo ha detto durante un'intervista concessa all'agenzia statale Tass, nella speranza che venga mostrata «ai politici europei meno avveduti», a Von der Leyen, Merz, Starmer e Macron e altri che «hanno raggiunto un punto di non ritorno», membri del «partito della guerra europeo».

Nel Donbass che rivendica interamente come proprio Mosca ha annunciato ieri la conquista di nuove aree nella regione di Zaporizhzhia, ma sono fake news, «disinformazione», ha detto lo Stato maggiore delle Forze armate ucraine.

Il nodo della regione contesa che blocca i colloqui, nessuno lo scioglie, nessuno lo taglia, neppure Trump, che rivendica un ruolo dominante nelle trattative. Per il presidente americano sarà un giorno di dossier su frontiere di sangue e di fuoco. Dopo Zelensky, ha in programma un incontro con Netanyahu. Discuterà di Gaza, ma anche un territorio la cui indipendenza è stata appena riconosciuta da Israele di cui sa poco. Ha chiesto: «Davvero, qualcuno sa cosa sia il Somaliland?»

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