L’esercito israeliano ha intensificato gli attacchi in tutta la Striscia di Gaza. «Sentiamo un’esplosione al minuto», racconta il giornalista di Al Jazeera Tareq Abou Azzoum che riporta di raid aerei contro il campo profughi di Nuseirat e contro l’ospedale al Adwa. Anche ieri sono stati uccisi almeno 45 palestinesi, sintomo di come l’Idf stia cercando di convincere Hamas ad accettare l’ultimatum con la forza. Parallelamente i paesi arabi stanno aumentando le loro pressioni diplomatiche.

L’organizzazione palestinese è con le spalle al muro, i margini di trattativa non ci sono. Lo ha ribadito anche ieri il presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Tutti i leader internazionali hanno fretta di dare una risposta alle proprie opinioni pubbliche che chiedono un intervento concreto per fermare Israele. Ma i venti punti scritti nero su bianco rischiano di non essere quel piano di «pace eterna per il Medio Oriente» annunciato dal presidente Usa in conferenza stampa insieme a Benjamin Netanyahu.

Troppe le incognite sul tavolo, poche le garanzie che Israele rispetti il piano e che nasca uno stato palestinese dalla formulazione vaga presente nel documento. Anche per questo stupiscono le dichiarazioni che una fonte vicina ad Hamas ha rilasciato a Sky Arabia, secondo cui il gruppo sarebbe vicino ad accettare l’accordo. Nel pomeriggio il Qatar ha però fatto sapere di non aver ricevuto ancora una risposta, attesa entro la fine della settimana. «Hamas ha agito responsabilmente e ha promesso di studiare il piano», ha detto il premier Mohammed al-Thani in un’intervista rilasciata ad Al Jazeera.

In serata, invece, la Bbc ha citato un funzionario vicino al gruppo secondo cui il piano potrebbe essere respinto nelle prossime ore perché «serve gli interessi di Israele» e, soprattutto, «ignora quelli del popolo palestinese».

Piani diversi

Mentre il lunedì il piano veniva annunciato in pompa magna alla Casa Bianca, i mediatori di Egitto, Qatar, Giordania e Turchia sono andati in escandescenza. Secondo quanto riportato da Axios e Ap il documento diffuso da Washington ha subito sostanziali modifiche rispetto alle condizioni pattuite da Trump insieme ai leader arabi. Modifiche imposte dal premier israeliano e dai suoi collaboratori. La notizia ha trovato un’ulteriore conferma nell’intervista del premier qatariota. Se da una parte l’emiro ha auspicato che tutte le parti «considerino il piano in modo costruttivo e colgano l’opportunità di porre fine alla guerra», dall’altra ha detto che «il percorso attuale deve essere sviluppato e reso efficace».

Per al-Thani «la cessazione della guerra è un punto chiaro, mentre la questione del ritiro richiede chiarimenti e deve essere discussa», così come «l'amministrazione palestinese di Gaza» che «non riguarda Israele». Per porre un freno all’euforia il premier qatariota ha specificato che «il piano è ancora nelle sue fasi iniziali e deve essere sviluppato». Ma funzionari israeliani e americani hanno detto a Channel 12 che Trump non ha intenzione di apportare modifiche sostanziale al piano.

I dubbi dei miliziani

Pubblicamente il gruppo si è limitato a dire che valuterà la proposta di Trump «in buona fede». Da una parte è allettante il salvacondotto concesso ai suoi leader, la fine dei bombardamenti e l’ingresso massiccio degli aiuti umanitari. Dall’altra, Hamas rischia di passare alla storia non solo come l’autore degli attacchi del 7 ottobre 2023 ma anche come il gruppo che ha consegnato Gaza all’ex premier britannico Tony Blair. Una macchia indelebile. Nell’accordo non ha ottenuto alcuna garanzia per la nascita di un futuro stato palestinese e neanche un ritiro completo dell’Idf dal perimetro della Striscia una volta consegnati gli ostaggi.

Lo stesso Netanyahu ha detto in conferenza stampa che non accetterà una governance futura dell’Anp, così come il riconoscimento della Palestina e il ritiro completo dei suoi soldati. Resta da capire quindi che tipo di accordo ha accettato, visto che le sue dichiarazioni non coincidono con quello pubblicato dalla Casa Bianca.

A complicare il quadro sono anche le dure reazioni dei suoi alleati di governo. Primo su tutti è il ministro delle Finanze, Bezalel Smotrich che ha definito la scelta di Netanyahu come un «clamoroso fallimento diplomatico» e ha bollato il piano come «un miscuglio indigesto». «A mio avviso – ha proseguito Smotrich – finirà anche in lacrime. I nostri figli saranno costretti a combattere di nuovo a Gaza». Un’affermazione che con questo piano non è lontana dalla realtà. Così come è scritto, il documento è pieno di incognite e mette all’ultimo posto l’autodeterminazione dei gazawi.

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