Dopo gli Stati Uniti, che lo avevano annunciato lunedì, anche i governi del Regno unito, del Canada e dell’Australia hanno aderito al boicottaggio diplomatico delle Olimpiadi invernali di Pechino (4-20 febbraio 2022).

La portavoce della Casa bianca, Jen Psaki, ha riferito che «l’amministrazione Biden non invierà alcuna rappresentanza diplomatica o ufficiale, a causa del genocidio in corso della Repubblica popolare cinese e dei crimini contro l’umanità nel Xinjiang e altre violazioni dei diritti umani».

Il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino, Zhao Lijian, ha protestato minacciando “contromisure” contro gli Usa.

19/10/2021 Atene, accensione della fiamma Olimpica e partencia della Torcia per i Giochi Olimpici Invernali di Pechino 2022
  • Perché è importante

Sebbene gli atleti di tutti i paesi parteciperanno alle gare, Pechino sostiene che anche il boicottaggio diplomatico andrebbe contro gli stessi valori olimpici (qui una storia dei precedenti).

La mossa di Biden segnala che le relazioni tra Washington e Pechino restano molto tese anche dopo il vertice telefonico del 18 novembre scorso tra il presidente degli Stati uniti e il suo omologo cinese, Xi Jinping. Nei prossimi giorni potrebbe aprirsi una nuova partita: le multinazionali occidentali sponsor confermeranno la loro presenza?

Il boicottaggio di Pechino 2022 ricorda quelli da Guerra fredda delle olimpiadi estive di Mosca 1980 e Los Angeles 1984. Ma evidenzia anche le differenze tra il mondo bipolare di allora e quello multipolare di oggi: nel primo caso gli Usa furono seguiti da altri 65 paesi che disertarono i giochi per protestare contro l’intervento sovietico in Afghanistan nel 1979; nel secondo la rappresaglia dell’Urss fu appoggiata da altri 17 paesi.

  • Il contesto

La decisione di grandi paesi di boicottare i Giochi segna un primo importante successo per le ong che – come la Interparlamentary Alliance on China e il World Uyghur Congress – hanno intensificato un’efficace azione di propaganda e lobbying anti-Pechino nei parlamenti nazionali, a cominciare da quello statunitense.

Le politiche inflessibili di Xi Jinping e la contrapposizione Usa-Cina aprono spazi ulteriori per l’azione di questi attivisti. I giochi invernali saranno pesantemente condizionati dalla pandemia, che il governo cinese ha scelto di fronteggiare blindando le frontiere. Gli inviti ufficiali saranno pochi e tanti funzionari non saranno presenti nella prima città del mondo che avrà ospitato sia i giochi estivi che quelli invernali ufficialmente a causa delle misure anti-Covid, come annunciato dalla Nuova Zelanda.

L’Asia sta diventando prigioniera della contrapposizione Cina-Usa

Diminuisce il potere della Cina e aumenta quello degli Stati Uniti in un’Asia, che, sotto la spinta della rivalità tra la seconda e la prima economia del pianeta, sta diventando sempre più “bipolare”, dove cioè continua a diminuire l’influenza di altri stati del continente pur ricchi e popolosi. È questo il quadro tracciato dallo Asia Power Index 2021 del Lowy Institute.

  • Perché è importante

Secondo gli autori dell’Index del think tank australiano, Hervé Lemahieu e Alyssa Leng, «i due paesi con il maggior potenziale per contribuire a un ordine regionale multipolare – Giappone e India – hanno perso ciascuno più terreno nel 2021 rispetto alla Cina»: Tokyo per l’uscita di scena del premier nazionalista Shinzo Abe, mentre l’ascesa di Delhi, che «pure ha ampliato la sua capacità militare, richiederebbe uno sforzo lungo decenni, senza alcuna garanzia di successo».

  • Il contesto

Gli Stati Uniti (primi) hanno scavalcato la Cina (seconda) in due indicatori: risorse future (economiche, militari e demografiche) e influenza diplomatica.

Il miglioramento dell’influenza diplomatica degli Stati Uniti viene fatto derivare dal Lowy Institute essenzialmente dall’arrivo alla Casa bianca di Joe Biden, che ha voltato pagina rispetto all’isolazionismo dall’ex amministrazione di Donald Trump.

Il potere della Cina è stato colpito dal Covid-19, ma Pechino ha ottenuto punteggi inferiori rispetto agli anni scorsi anche per quanto riguarda la sua influenza diplomatica e culturale. Secondo lo Asia Power Index 2021, la Cina ha invece guadagnato nell’indice della “resilienza”, un riflesso della sua capacità di scoraggiare le minacce esterne alla sua stabilità.

I risultati del rapporto dimostrano che l’ascesa della Cina – che viene giudicata inevitabile – è più fragile di quanto comunemente si pensi: «In tutta la gamma di risultati possibili, tuttavia, sembra improbabile che la Cina possa mai essere così dominante come lo erano una volta gli Stati Uniti», così come è improbabile che Pechino possa superare gli Stati Uniti in termini di potenza globale entro la fine del decennio.

YUAN, di Lorenzo Riccardi

L’Italia conferma il boom delle esportazioni verso Pechino: +40% a novembre 2021

Il 7 dicembre 2021, l’Amministrazione generale delle dogane cinesi ha comunicato i dati sul commercio internazionale relativi al mese scorso: il commercio totale di novembre 2021 ha superato 579 miliardi di dollari, in aumento del 12 per cento rispetto al valore di ottobre 2021 e del 26 per cento rispetto a novembre 2020. Nei primi undici mesi dell’anno, il volume aggregato di export e import è stato di 5.471 miliardi di dollari, con un incremento del 31 per cento, a fronte dei 4.173 miliardi di dollari registrati nell’anno precedente.

Da gennaio a novembre 2021, le aziende cinesi hanno esportato merci per 3.026 miliardi di dollari e importato per oltre 2.445 miliardi di dollari, raggiungendo un surplus record di 582 miliardi di dollari. Le esportazioni e le importazioni sono cresciute di oltre il 30 per cento rispetto allo stesso periodo del 2020.

Gli scambi con i paesi membri del Regional comprehensive economic partnership (Rcep) hanno rappresentato più del 31 per cento del commercio internazionale di Pechino. L’accordo di libero scambio tra i dieci paesi dell’Associazione delle nazioni del sud est asiatico (Asean) più Cina, Giappone, Corea del sud, Australia e Nuova Zelanda, entrerà in vigore il 1° gennaio 2022 e darà un ulteriore impulso al commercio e agli investimenti nella regione.

L’Unione europea e gli Stati Uniti si confermano il secondo e il terzo partner commerciale della Cina; costituiscono rispettivamente il 14 e il 12 per cento dell’interscambio complessivo e rappresentano il principale mercato di destinazione delle merci cinesi.

L’Italia conferma il trend positivo delle proprie esportazioni verso Pechino registrando un incremento del 40 per cento nei flussi di beni verso la Cina, con la performance migliore registrata tra i paesi G7 e dell’Unione europea.

Tra i membri dell’Ue, la Germania è il principale partner della Cina; il commercio tra Pechino e Berlino ha superato i 213 miliardi di dollari nel periodo tra gennaio e novembre 2021, con un aumento del 25 per cento rispetto all’anno precedente.

Sperimentata super-membrana per estrarre uranio dal mare

Un gruppo di scienziati cinesi ha sviluppato un nuovo materiale, ispirato alle reti frattali dei vasi sanguigni, che secondo la loro ricerca – pubblicata su “nature sustainability” – è in grado di estrarre venti volte più uranio dall’acqua di mare rispetto ad altri approcci.

  • Perché è importante

«Gli oceani offrono una fonte virtualmente infinita di uranio e potrebbero sostenere la tecnologia nucleare in termini di approvvigionamento di carburante», si legge nell’abstract dello studio dei ricercatori dell’Accademia cinese delle scienze, guidati dal professor Yang Linsen.

Gli scienziati hanno creato una membrana porosa che è stata modellata sui frattali presenti in natura, come i vasi sanguigni, scoprendo che la membrana, che era satura di aminoxina, era significativamente più efficiente nell’estrazione dell’uranio rispetto ad altri materiali utilizzati in precedenza, con una capacità di assorbimento venti volte superiore.

In un periodo di quattro settimane, il gruppo di ricercatori ha rilevato che 1 grammo della membrana ha estratto fino a 9,03 milligrammi di uranio dall’acqua di mare.

  • Il contesto

Le ricerche sulla possibilità di estrarre l’uranio dagli oceani vanno avanti anche in prestigiosi atenei statunitensi. Scienziati non cinesi hanno però fatto notare che il metodo sviluppato da Yang e dai suoi colleghi assorbirebbe anche molecole di vanadio, zinco, ferro e rame, e che dunque richiederebbe un ulteriore processo di separazione di questi ultimi dall’uranio.

I cambiamenti climatici hanno indotto Pechino a puntare decisamente sulla ricerca sull’energia nucleare. Alla fine del 2020, la Cina aveva circa 50 gigawatt di capacità nucleare installata, e 18,5 GW in costruzione. Pechino prevede di avere 120 GW di capacità nucleare installata entro il 2030, ovvero l’8 per cento della produzione di energia cinese, rispetto al 5 per cento dell’anno scorso.

Secondo le stime della World Nuclear Association, la Cina – che è autosufficiente nella progettazione e installazione di centrali nucleari – avrebbe riserve di uranio fino a 2mila tonnellate.

Consigli di lettura della settimana:

Biden’s misguided framing of US-China rivalry as democracy versus autocracy

China in the World Trade Organization: 20 years on

The West Now Has New COVID-19 Cures. How About China?

Unfortunate or Convenient? Contextualising China’s Covid-19 Border Restrictions

Partnerships and Paris: A new strategy for a global grid

Per questa settimana è tutto. Per osservazioni, critiche e suggerimenti potete scrivermi a: exdir@cscc.it

Weilai vi invita a seguire il futuro della Cina su Domani e vi dà appuntamento a giovedì prossimo.

A presto!

Michelangelo Cocco @classcharacters

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