Un miliardo di dosi di vaccini anti-Covid per i paesi più poveri, l'impegno per il clima con 100 miliardi di dollari all'anno per aiutare il mondo in via di sviluppo a tagliare le emissioni e la promessa dei Paesi del G7 a raggiungere emissioni nette zero entro il 2050. Il primo summit in presenza dei Sette grandi degli ultimi due anni, in Cornovaglia, si è concluso con questi impegni, oltre che con una presa di posizione unitaria sulla Cina che include l'invito a rispettare diritti umani in Xinjiang, dove Pechino è accusata di gravi violazioni contro gli uiguri, e nella città semi-autonoma di Hong Kong. E con la richiesta alla Russia di fermare il «comportamento destabilizzante e attività maligne, inclusa l'interferenza in sistemi democratici di altri paesi».

Draghi: «Cooperare con franchezza su violazioni diritti umani»

Con la Cina bisogna collaborare ma «bisogna essere franchi sulle cose che non condividiamo». Al termine dei lavori del G7 in cui vince la mediazione sui rapporti con il colosso asiatico, il premier Mario Draghi sintetizza in una linea di chiara diplomazia la posizione dell'Italia nei confronti della Cina, usando la stessa formula già adottata per definire i rapporti con la Turchia. «Si è scritto tanto della nostra posizione, si è parlato di divisioni - dice alludendo alle notizie trapelate dallo staff statunitense il giorno precedente - io credo che il comunicato riflette la posizione nostra ma quella di tutti in particolare rispetto alla Cina in generale nei confronti di tutte le autocrazie, che usano la disinformazione, i social media, fermano gli aerei in volo, rapiscono, uccidono, non rispettano i diritti umani, usano il lavoro forzato».

Una posizione che «non è particolarmente dura», assicura sottolineando la vittoria della mediazione - su cui si erano schierati Italia, Germania e Ue - che ha depotenziato il pressing statunitense che chiedeva invece la linea dura nei confronti di Pechino. Per Draghi «bisogna cooperare, e bisogna competere. Nessuno disputa che la Cina debba essere una grande economia, quello che è stato messo in discussione sono i modi che utilizza, è una autocrazia che non aderisce alle regole multilaterali, non condivide la stessa visione del mondo che hanno le democrazie». E dunque bisogna essere franchi «sulle cose che non condividiamo, l'ha detto bene Biden in una frase, il silenzio è complicità».

Con il presidente Usa ieri si è tenuto un colloquio, il primo dell'era Draghi-Biden, «un ritrovarsi perché ci conosciamo già, è andato molto, molto bene, c'è stata ampia disponibilità a lavorare insieme, c'è un rapporto antico che andava semplicemente richiamato, non consolidato». Sul tavolo i tanti dossier di politica estera di attualità, «abbiamo parlato di varie parti del mondo in cui la collaborazione con gli Stati Uniti può essere di aiuto, direi soprattutto per il ruolo che hanno gli Stati Uniti nelle Nazioni unite». Come il Nordafrica, e la Libia in particolare, dove l'Italia è molto attiva e ha diversi progetti ma «la prima esigenza è attuare il cessate il fuoco e quindi i mercenari siriani, i soldati russi e turchi vadano via dalla Libia, questa è la strada con cui la Libia può iniziare la ricostruzione del Paese data molto importante delle elezioni a dicembre può essere una linea di demarcazione dallo stato di caos».

Lo scontro Francia-Regno Unito

Una «riunione straordinaria, collaborativa e produttiva», l'ha definita Joe Biden, che era al suo debutto internazionale da presidente in un viaggio europeo che lo porterà anche al summit Nato e infine al faccia a faccia con Vladimir Putin a Ginevra. E Boris Johnson, che ha fatto gli onori di casa a Carbis Bay, ha parlato addirittura di «fantastica armonia» tra i leader, glissando sullo scontro fra Londra e l'Ue che si è consumato a margine del vertice per la Brexit, in particolare per la cosiddetta “guerra delle salsicce” che ha come protagonista l'Irlanda del Nord.

Londra, per bocca del ministro degli Esteri Dominic Raab, si è detta offesa dalle parole di Emmanuel Macron: pare che nel bilaterale di Johnson e Macron, il primo abbia chiesto al secondo come si sentirebbe se le salsicce di Tolosa non potessero arrivare a Parigi e che l'inquilino dell'Eliseo abbia risposto che il paragone non regge perché Parigi e Tolosa fanno parte dello stesso Paese. Johnson in conferenza stampa si è rifiutato di tornare sul tema, ma ha assicurato che «faremo “whatever it takes” per proteggere l'integrità territoriale del Regno Unito».

La delusione degli attivisti

I leader si sono mostrati sempre sorridenti, desiderosi di mostrare il ritorno della cooperazione internazionale dopo gli sconvolgimenti causati dall'imprevedibilità di Donald Trump prima e dal coronavirus poi. E di mostrarsi più amici dei paesi poveri di quanto non lo sia la Cina (offrendo un piano di investimenti in infrastrutture alternativo alla Nuova via della seta).

Ma diversi attivisti si dicono delusi per la portata degli impegni assunti. Innanzitutto a proposito del clima: per molti ambientalisti la promessa di emissioni nette zero entro il 2050 è troppo poco e troppo tardi; e la promessa di 100 miliardi all'anno per aiutare i Paesi più poveri a tagliare le emissioni sarebbe troppo ristretta visto che già nel 2009 i Paesi sviluppati avevano assunto lo stesso impegno. Il rischio, secondo gli attivisti, è che i Paesi in via di sviluppo possano non collaborare alla Cop26 in programma a novembre a Glasgow se l'aiuto offerto non è considerevole.

Sui vaccini, il G7 ha promesso di donare un miliardo di dosi entro il prossimo anno ai Paesi in difficoltà, garantendo che sarà solo un primo passo. Ma l'Oms ha spiegato che sono 11 miliardi le dosi necessarie per vaccinare almeno il 70 per cento della popolazione mondiale e per porre davvero fine alla pandemia. Biden, che è responsabile di circa la metà della donazione, cioè circa 500 milioni di dosi, ha annunciato però che contribuire con un miliardo aggiuntivo.

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