«Vi sono infatti ferite personali e collettive che chiedono lunghi anni, a volte intere generazioni per potersi rimarginare. Se non vengono curate, se non si lavora, ad esempio, a una guarigione della memoria, a un avvicinamento tra chi ha subito torti e ingiustizie, difficilmente si va verso la pace». Le parole del pontefice a Beirut dove resterà fino al 2 dicembre
Il Libano ha bisogno di pace per dare ai suoi giovani un minimo di speranza nel futuro: per questo è urgente che i responsabili politici e istituzionali del paese si preoccupino di riconciliare le varie componenti di una terra che, se vuole guardare al domani, può imparare qualcosa dalla sua stessa storia. È questo il primo importante messaggio contenuto nel discorso pronunciato da Leone XIV appena sbarcato a Beirut davanti alle autorità civili libanesi e al corpo diplomatico.
Un messaggio, dunque, estremamente concreto quello del pontefice, che arriva dopo che, quando ancora si trovava in Turchia, Hezbollah aveva cercato di condizionare la visita del papa in Libano con un comunicato indirizzato a Prevost, nel quale si spiegava: «Noi di Hezbollah cogliamo l'occasione della vostra visita propizia nel nostro paese, il Libano, per riaffermare il nostro impegno per la coesistenza».
Ciò che Israele «sta facendo in Libano è un'aggressione inaccettabile e continua», sottolineava Hezbollah che concludeva: «Confidiamo nella posizione di Sua Santità nel rifiutare l'ingiustizia e l'aggressione a cui la nostra nazione, il Libano, è sottoposta per mano degli invasori sionisti e dei loro sostenitori».
Fra i punti qualificanti del piano di pace, c’è quello del disarmo di Hezbollah che, evidentemente, resta un nodo irrisolto della questione nonostante l'indebolimento della milizia causato dai numerosi attacchi portati oltre confine dell'esercito israeliano. D’altro canto, Leone XIV, sul volo che lo portava da Ankara e Beirut, conversando con i giornalisti, aveva detto proposito del conflitto che scuote il Medio Oriente: «La Santa Sede, già da diversi anni, appoggia pubblicamente la proposta di una soluzione di due Stati. Sappiamo tutti che in questo momento Israele non accetta ancora quella soluzione, ma la vediamo come l’unica strada che potrebbe offrire una soluzione al conflitto che continuamente vivono. Noi siamo anche amici di Israele, e cerchiamo di essere con le due parti una voce, diciamo, mediatrice che possa aiutare ad avvicinarci ad una soluzione con giustizia per tutti. Abbiamo parlato di questo anche con il presidente Erdogan e lui certamente è d’accordo con questa proposta. La Turchia ha un ruolo importante che potrebbe giocare in questo scenario».
In ogni caso, Leone, arrivato a Beirut, ha chiesto a tutti i libanesi di essere operatori di pace: «Siete un popolo che non soccombe – ha detto il pontefice – ma che, di fronte alle prove, sa sempre rinascere con coraggio. La vostra resilienza è caratteristica imprescindibile degli autentici operatori di pace: l’opera della pace, infatti, è un continuo ricominciare. L’impegno e l’amore per la pace non conosce paura di fronte alle sconfitte apparenti, non si lascia piegare dalle delusioni, ma sa guardare lontano, accogliendo e abbracciando con speranza tutte le realtà». Quindi ha aggiunto: «Interrogate la vostra storia. Chiedetevi da dove viene la formidabile energia che non ha mai lasciato il vostro popolo a terra, privo di fiducia nel domani. Siete un Paese variegato, una comunità di comunità, ma unita da una lingua comune. Non mi riferisco soltanto all’arabo levantino che parlate, attraverso il quale il vostro grande passato ha disseminato perle di inestimabile valore, mi riferisco soprattutto alla lingua della speranza, quella che vi ha sempre permesso di ricominciare».
In questa prospettiva, ha aggiunto: «Attorno a noi, quasi in tutto il mondo, sembra avere vinto una sorta di pessimismo e sentimento di impotenza: le persone sembrano non riuscire più nemmeno a chiedersi che cosa possono fare per modificare il corso della storia. Le grandi decisioni sembrano essere prese da pochi e, spesso, a scapito del bene comune, è ciò appare a molti come un destino ineluttabile».
«Voi avete molto sofferto le conseguenze di un’economia che uccide – ha detto ancora il vescovo di Roma – dell’instabilità globale che anche nel Levante ha ripercussioni devastanti, della radicalizzazione delle identità e dei conflitti, ma sempre avete voluto e saputo ricominciare». Per questo l'appello del papa è quello a saper scegliere la strada della riconciliazione interna, l’unica che possa riportare pace e prosperità in quest'area devastata del Medio Oriente. «Vi sono infatti ferite personali e collettive – ha scandito il papa – che chiedono lunghi anni, a volte intere generazioni per potersi rimarginare. Se non vengono curate, se non si lavora, ad esempio, a una guarigione della memoria, a un avvicinamento tra chi ha subito torti e ingiustizie, difficilmente si va verso la pace. Si resta fermi, prigionieri ognuno del suo dolore e delle sue ragioni. Tuttavia, verità e riconciliazione crescono sempre insieme: sia in una famiglia, sia tra le diverse comunità e le varie anime di un Paese, sia tra le Nazioni».
«Allo stesso tempo – ha affermato il pontefice – non c’è riconciliazione duratura senza un traguardo comune, senza un’apertura verso un futuro, nel quale il bene prevalga sul male subito o inflitto nel passato o nel presente. Una cultura della riconciliazione, perciò, non nasce solo dal basso, dalla disponibilità e dal coraggio di alcuni, ma ha bisogno di autorità e istituzioni che riconoscano il bene comune superiore a quello di parte. Il bene comune è più della somma di tanti interessi: avvicina il più possibile gli obiettivi di ciascuno e li muove in una direzione in cui tutti avranno di più che andando avanti da soli».
«La pace è infatti molto più di un equilibrio, sempre precario, tra chi vive separato sotto lo stesso tetto – ha detto Leone – La pace è saper abitare insieme, in comunione, da persone riconciliate. Una riconciliazione che oltre a farci convivere, ci insegnerà a lavorare insieme, fianco a fianco per un futuro condiviso». Il papa, che trascorrerà i prossimi giorni in Libano, fino al 2 dicembre, pregherà anche al porto di Beirut, devastato da una clamorosa esplosione nell'agosto del 2020 che causò centinaia di vittime, e sulle cui cause ancora non è stata raggiunta una verità giudiziaria attendibile.
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