A comporre tutti gli elementi, il quadro era già chiaro. Israele sta facendo pressione sull’Egitto per poter riversare nel Sinai palestinesi sfollati a colpi di attacchi da Gaza. In questa operazione giocano un ruolo anche gli Stati Uniti e l’Europa.

Il quadro era appunto già visibile, poi al governo israeliano le cose sono pure sfuggite di mano. Per essere più precisi, è sfuggito dalle mani un documento, un leak che risale a metà ottobre e che in queste ore sta costringendo tutte le cancellerie – compresa quella israeliana – a reagire pubblicamente sul tema.

Nel frattempo il mese di novembre è cominciato con l’apertura da parte dell’Egitto del varco di Rafah per far defluire cittadini con doppia nazionalità e feriti.

I fatti e il piano

«Spostatevi a sud» è il messaggio che l’esercito israeliano ha dato ai palestinesi subito dopo l’inizio, una settimana fa, della «nuova fase» ovvero dell’attacco via terra da nord, che si somma al bombardamento incessante in tutta Gaza. Anche il premier Benjamin Netanyahu ha poi ribadito il concetto: spostarsi verso sud. Ciò significa una pressione in direzione del Sinai egiziano, come infatti è accaduto.

Questi sono i fatti. Poi c’è la strategia soggiacente, e questa è emersa con chiarezza quando è filtrato all’opinione pubblica un documento governativo israeliano, che l’ufficio di Netanyahu non può rinnegare, ma che minimizza come «esercizio di concetto». Il concetto a ogni modo è questo: tra le «opzioni per la popolazione civile di Gaza», la «preferita a lungo termine per Israele» è l’«evacuazione nel Sinai», da ottenersi – dice il documento – con l’aiuto degli Usa e della pressione internazionale. «In una prima fase» per gli sfollati in Egitto si pensa a tendopoli, poi alla «costruzione di città» nel nord del Sinai.

Riccardo Noury di Amnesty spiega – constatando i fatti prima ancora che il piano – che «a Gaza è in corso un trasferimento forzato di popolazione, un crimine internazionale secondo lo statuto della Corte penale internazionale e il diritto internazionale umanitario». C’è «l’intimazione data dalla potenza occupante a un’intera popolazione civile di trasferirsi altrove, con l’aggravante che chi non lo esegue viene considerato obiettivo militare»; circa 9mila morti a Gaza, dei quali due su tre sono donne e bambini, dice l’Onu. «Senza che ai palestinesi Israele dia la scelta di andare in Cisgiordania – nota Noury – ma solo a sud».

Pur di convincere l’Egitto

È il documento del governo israeliano stesso a prevedere che l’opzione di dislocare massicciamente i palestinesi nel Sinai potrebbe risultare problematica «in termini di legittimità internazionale», e a tale riguardo snocciola la strategia da usare, dall’appellarsi alla guerra al terrorismo alle iniziative diplomatiche perché «i rifugiati vengano assorbiti».

Tra i paesi contemplati per l’accoglienza ne figurano di europei – Grecia, Spagna – mentre l’Egitto è citato sia per ricevere gli sfollati che per «allocar loro del territorio». Gli Usa dovrebbero aiutare a «fare pressione» sul governo egiziano. Uscendo da quello che Netanyahu sminuisce come «esercizio di concetto», cioè il documento, e andando ai fatti, essi combaciano. A fronte della resistenza del governo egiziano a rilocare nel Sinai la popolazione di Gaza, risultano pressioni del governo israeliano non solo sull’Egitto ma sui paesi europei perché a loro volta premano.

Tra le leve che ha in mente Netanyahu c’è l’enorme debito pubblico che pesa su Abdel Fattah al Sisi con le elezioni presidenziali alle porte. L’assistenza macroeconomica al Cairo è di fatto ciò a cui lavora Ursula von der Leyen, che ha già portato in Consiglio europeo il suo piano di replicare con l’Egitto il memorandum tunisino. Ieri la Commissione Ue ha anche inserito tra i “progetti di mutuo interesse” (con tutti i benefici che ne derivano) la nuova infrastruttura energetica, l’elettrodotto Gregy, che collegherà Egitto e Grecia.

Le forniture energetiche da Israele all’Egitto sono invece calate da ottobre, con effetti per il tessuto produttivo egiziano; un lieve ripristino è cominciato poco dopo l’apertura da parte del Cairo del valico di Rafah, iniziata questo mese e volta a far evacuare dalla Striscia – si dice per ora – 7mila stranieri.

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