C'è un gigante che nel web continua a crescere, accelerare e si espande costantemente, ma in pochi ne hanno già davvero notato le potenzialità. La nuova, quanto inaspettata, superpotenza globale dell'intelligenza artificiale che potremmo veder sorgere presto all'orizzonte è l'India.

Con 900 milioni di utenti connessi alla rete, ospita il secondo mercato mondiale di fruitori del web dopo la Cina. Ma a differenza di Pechino, New Delhi è aperta alle aziende statunitensi e ai loro affari high tech.

Di certo, l'India ha già attratto l'attenzione dei colossi del web della Silicon Valley, che credono di aver trovato un nuovo Eldorado con un epicentro preciso: Nuova Delhi. Il padre e padrone di OpenAi è ottimista, più che ottimista, anzi è «bullish about India», più che fiducioso se guarda al mercato indiano, scrive l'Economist.

Per Sam Altman, che aprirà un ufficio nella capitale entro fine anno, «l'adozione dell'intelligenza artificiale nel paese è senza pari nel mondo». A confermare la sua ipotesi sono i numeri che ha davanti agli occhi: gli utenti indiani sono triplicati nell'ultimo anno e l'India è diventata il secondo fruitore mondiale di intelligenza artificiale dopo gli Stati Uniti.

Secondo alcuni analisti, potrebbe anche presto superarli. Già a febbraio scorso Altman aveva dichiarato che «l’India dovrebbe essere uno dei leader della rivoluzione dell'intelligenza artificiale» quando ha incontrato il ministro indiano per l'Informatica, Ashwini Vaishnaw, che dopo, sui social, ha descritto quel colloquio privato tra i due come “super cool”, super figo.

Ma Altman non l'ha sempre pensata così, anzi: la pensava proprio al contrario l'anno scorso, quando bollò il paese come inadeguato a creare un proprio modello di intelligenza artificiale. Vaishnaw non aveva evitato di provocarlo: «Il nostro paese ha inviato una missione sulla Luna a una frazione del costo sostenuto da molti altri paesi, perché non possiamo realizzare un modello che costi una frazione del costo sostenuto da molti altri?».

Gli investimenti

In India oggi dominano Google e Meta (WhatsApp, di proprietà di quest'ultima, ha più di 500 milioni di utenti attivi nel paese). Le due aziende ciclopiche hanno ora annunciato una partnership con Reliance Industries, il colosso guidato da Mukesh Ambani, l'uomo più ricco del paese. Microsoft di miliardi di dollari ne ha stanziati tre, Google ne ha investiti quindici in cinque anni per mettere su un enorme data center per l'intelligenza artificiale nello stato dell'Andhra Pradesh: quando sarà concluso, sarà il più grande centro sito fuori dal territorio degli Stati Uniti.

Una peculiarità di New Delhi e dintorni è che con l'intelligenza artificiale (con la versione low-cost che OpenAi ha lanciato nel paese, usato anche come banco di prova per il resto del mondo) gli indiani interagiscono soprattutto con comandi vocali, probabilmente per un ragguardevole tasso di analfabetismo, provenienza da gruppi linguistici diversi e variegata origine sociale.

Oltre ad avere una miniera di milioni di utenti, l'India è patria di uno dei più grossi popoli di sviluppatori digitali, ma la rivoluzione di cui parla Altman non sarà indolore: l'automazione metterà a repentaglio potenzialmente centinaia di migliaia di posti di lavoro.

I rischi per la popolazione

Se per i colossi americani l'India è l'Eldorado, per i cittadini di Modi l'intelligenza artificiale può rivelarsi una catastrofe di impoverimento e instabilità. E in qualche modo è anche già successo. Nonostante il ministero delle Finanze indiano abbia emesso continui avvisi per esortare i dipendenti ad evitare di usare Chatgtp o la sua versione cinese DeepSeek per il rischio di violazione della riservatezza di documenti dei cittadini o dei dati sensibili governativi, secondo le ultime stime, oltre il 90 per cento degli impiegati utilizza regolarmente l'intelligenza artificiale (in Usa solo poco più del 60 per cento).

Quello che faranno le grandi aziende è scavare dati – dati che di miliardi ne frutteranno di più di quelli investiti. Un rischio ancora più grande della disoccupazione generata dall'Ai è che l'India entrerà in un cortocircuito di dipendenza da aziende straniere senza le quali non potrà più funzionare, società che controlleranno i suoi dati, su cui fare leva in un momento di tensioni geopolitiche mondiali.

Il presidente Trump ha imposto una tariffa del 50 per cento sui beni indiani importati, ma quattro giorni fa ha dichiarato che l'omologo Modi gli ha promesso che smetterà di comprare petrolio russo (una richiesta rumorosa che il tycoon ha fatto pervenire da mesi ai due più grandi partner commerciali di Mosca: Cina e India).

Esattamente un mese fa però Modi sollecitava i concittadini a rifornirsi solo di prodotti “swadeshi”, cioè realizzati nel paese, chiedendo in pratica di boicottare quelli in arrivo dall'estero. Comunque, anche Modi ha il suo piano: IndiaAi, un programma che dal 2020 tenta di raggruppare in un solo universo digitale tutte le forme di intelligenza artificiale del paese.

Prima ancora che ci arrivasse Altman, aveva già capito che l'India può diventare leader del settore entro il 2030.

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