La Russia e l’Iran hanno provato a interferire nelle ultime elezioni americane. A riferirlo è il National intelligence council con la pubblicazione di un report finora secretato, che ha indagato, durante l’amministrazione Trump, sulle ingerenze esterne durante la campagna elettorale del 2020.

L’intrusione del Cremlino

«Il presidente Putin e la Russia – si legge nel documento – hanno autorizzato e condotto operazioni per influenzare le elezioni presidenziali del 2020 con l’obiettivo di screditare il presidente Joe Biden e il partito democratico, per supportare l’ex presidente Trump, minando la fiducia dei cittadini nel processo elettorale ed esacerbando le divisioni sociopolitiche negli Stati Uniti».

La strategia di Mosca, riporta il documento, è stata quella di usare persone connesse ai servizi segreti russi per dare in pasto ai media, alle istituzioni e a «importanti individui americani, molti dei quali vicini all’amministrazione di Donald Trump», informazioni e accuse false rivolte contro l’allora candidato democratico Joe Biden. Una strategia di cui il Cremlino ne era ben consapevole. Tra le prove citate il documento asserisce che Vladimir Putin, per esempio, «ha il controllo sulle attività di Andriy Derkach, un parlamentare ucraino che ha avuto un ruolo fondamentale nell’influenzare le elezioni».

Infatti, lo scorso maggio 2020 Derkach ha rilasciato delle intercettazioni telefoniche tra il vicepresidente Joe Biden (durante l’amministrazione di Obama) e il leader ucraino Poroshenko accusando il democratico di corruzione per alcune attività svolte in Ucraina. Derkach ha di fatto consegnato quel leak di documenti a Rudolph Giuliani, l’ex avvocato personale di Donald Trump, che ha spinto le accuse di corruzione su Biden e la sua famiglia.

Secondo quanto riportato dal Washington Post, Derkach è un parlamentare indipendente ucraino ma ha forti legami con l’intelligence russa. Infatti ha frequentato la scuola superiore Dzerzhinsky del Kgb a Mosca. Suo padre è stato un ufficiale del Kgb per decenni prima di diventare capo dei servizi segreti dell’Ucraina, ma è stato licenziato per via di uno scandalo su un giornalista che fu rapito e ucciso.

Oltre alle accuse di corruzione, il rapporto menziona anche le fabbriche di troll e fake news russe che nei mesi a ridosso del voto hanno pubblicato «diversi contenuti su Biden, la sua famiglia e il partito democratico». L’intento della campagna di disinformazione è di far vincere Donald Trump, che nonostante alcuni attriti ha avuto un approccio più di “appeasement” nei confronti di Putin, perché una futura presidenza guidata di Joe Biden sarebbe stata considerata svantaggiosa per gli interessi russi.

Dopo aver negato il contenuto del rapporto, il Cremlino ha affidato la sua risposta all’ambasciata russa di Washington che ha definito le accuse come «prive di fondamento» visto che «non sono stati forniti fatti o prove specifiche di tali affermazioni».

Il post pubblicato su Facebook contiene anche una dura critica all’approccio statunitense nei confronti della Russia: «Dichiariamo che Washington continua a praticare la “diplomazia del megafono”, con l’obiettivo principale di mantenere un’immagine negativa della Russia. Incolpare attori esterni per destabilizzare la situazione all’interno del paese. Questo atteggiamento dell’amministrazione non corrisponde alla nostra idea di dialogo tra esperti pari e rispettosi reciprocamente, alla ricerca di soluzioni alle questioni più urgenti. Le azioni di Washington non portano alla normalizzazione delle relazioni bilaterali».

Nel frattempo, Reuters riporta che in seguito alla pubblicazione del documento gli Stati Uniti prevedono di sanzionare la Russia settimana prossima. 

L’influenza iraniana

«Affermiamo con grande confidenza che l’Iran ha condotto una campagna diretta a influenzare le elezioni del 2020 per minare la rielezione del presidente Trump, esacerbare le divisioni interne e creare confusione per delegittimare il voto e le istituzioni statunitensi». Secondo il report, la strategia di Teheran è stata opposta a quella di Mosca: l’unico obiettivo degli iraniani sarebbe stato quello di denigrare l’ex presidente Trump, senza però favorire i suoi rivali.

Una scelta dettata anche dai “cattivi” rapporti tra Stati Uniti e Iran durante l’amministrazione Trump, il quale si è ritirato dall’accordo sul nucleare ed è accusato dell’uccisione di Qasem Soleimani, il generale delle Guardie Rivoluzionarie iraniane operativo anche nella guerra siriana, durante un attacco in Iraq.

Anche questa volta l’ordine viene dall’alto. Secondo l’intelligence sarebbe stata la Guida suprema dell’Iran, l’Ayatollah Ali Khamenei, ad aver autorizzato la campagna di discredito, visto «il coinvolgimento di vari soggetti legati al governo iraniano». L’Iran si sarebbe focalizzato soprattutto su una narrazione sui social volta a criticare anche la gestione della pandemia da parte di Trump e la conseguente crisi economica.

In particolare, «durante questo ciclo di elezioni l’Iran ha aumentato il volume e l’aggressività della sua cyber influenza contro gli Stati Uniti a differenza delle scorse tornate elettorali». I «cyber tool» sono stati prediletti perché sono economici, facili da negare e non dipendono da un accesso fisico sul suolo americano. Infatti, sono state inviate anche varie mail di phishing nei confronti di ex funzionari americani e membri delle campagne elettorali con l’obiettivo di ottenere informazioni chiavi.

Non soltanto elezioni però, secondo gli 007 americani verso metà dicembre alcuni cyber attori iraniani avrebbero «quasi certamente» creato un sito web contenente minacce di morte contro alcuni funzionari americani. Cercando quindi di influenzare anche l’ambiente politico post-elettorale.

Le altre interferenze

Tra gli altri attori che avrebbero provato a indirizzare la campagna elettorale contro Trump c’è anche il segretario generale di Hezbollah Hassan Nasrallah, con l’obiettivo di «mitigare il rischio di un conflitto regionale mentre il Libano affronta una crisi finanziaria, sanitaria ed economica». Da Cuba, invece, hanno «pubblicato contenuti per alimentare una narrativa anti repubblicana e pro democratica all’interno della comunità latinoamericana».

Nel mentre, un altro report pubblicato a marzo dei dipartimenti di giustizia e di sicurezza interna ha anche respinto le false accuse promosse dagli alleati di Trump nelle settimane dopo il voto secondo i quali il Venezuela o altri paesi avevano frodato le elezioni.

Tuttavia il rapporto tiene a precisare che non c’è alcuna indicazione «che un attore straniero abbia alterato alcun aspetto tecnico del processo di voto, inclusi le registrazioni del voto, i seggi, le tabelle e le schede elettorali».

Qui il rapporto integrale:
 

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