Il presidente americano su Truth si intesta un’ipotetica intesa tra le parti in guerra e intanto apre alla proposta di una mediazione del Cremlino. «Iran e Israele troveranno un accordo. Ma un coinvolgimento degli Usa è possibile». Berlino, Parigi e Londra: «Teheran non deve avere il nucleare, ma bisogna aprire gli spazi della diplomazia»
Riportare tutti al tavolo negoziale. È questo il vero obiettivo diplomatico, sul capitolo che riguarda l'escalation tra Israele e Iran, che i leader dei paesi del G7 stanno provando ad ottenere al vertice iniziato a Kananaskis, in Alberta, tra le Montagne Rocciose del Canada.
Dopo l’annullamento del round di colloqui sul nucleare tra Iran e Stati Uniti che si sarebbe dovuto tenere domenica 15 giugno in Oman, giudicato «inutile» dal ministero degli Esteri di Teheran, ora la ripresa dei negoziati sembra essere l’unica piattaforma possibile su cui costruire una de-escalation militare. Partendo però da un requisito fondamentale, la non disponibilità a far sì che l'Iran sviluppi armi nucleari.
Possibili trattative
L’attore principale, il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha iniziato a fornire qualche dettaglio sui possibili contorni della trattativa. Facendo discutere come al solito: prima, in un post su Truth, Trump ha affermato che «Israele e Iran dovrebbero raggiungere un accordo, e lo faranno», facendo intendere che la sua mediazione sarà decisiva «proprio come io ho convinto India e Pakistan» a fare un accordo. Per poi aggiungere, parlando ad Abc News, che un coinvolgimento Usa nel conflitto è «possibile».
E finendo con la ciliegina sulla torta: l’apertura alla possibilità che il presidente russo, Vladimir Putin, faccia da mediatore per un accordo tra le parti. «È pronto, mi ha chiamato per parlarne. Ne abbiamo parlato a lungo», ha dichiarato Trump. Una possibilità che il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha discusso in un colloquio con l'omologo turco, Hakan Fidan. Decisamente più cauti, invece, gli altri leader: il presidente francese, Emmanuel Macron, ha auspicato che «le prossime ore ripristinino la calma e un percorso verso la discussione», obiettivo che ha detto di aver condiviso nei suoi colloqui con Trump e con il presidente iraniano, Masoud Pezeshkian.
Il titolare dell'Eliseo non ha mancato, tuttavia, di inviare un piccolo segnale di sfida a Washington prima del summit canadese: una breve visita in Groenlandia, da primo capo di Stato straniero a visitare l'isola dopo le minacce statunitensi, per portare «la solidarietà della Francia e dell’Unione europea» e ribadire che i propositi di Trump di annettere il territorio danese «non sono ciò che si fa tra alleati».
Un ulteriore tentativo diplomatico tra Iran e Israele lo ha effettuato la Germania, nella mattinata di domenica, proponendo nuovi colloqui che comprendano i cosiddetti E3: Francia, Regno Unito e, appunto, Germania. «Un prerequisito per giungere a una pacificazione di questo conflitto» è «che l’Iran non rappresenti un pericolo per la regione, per lo Stato di Israele o per l'Europa», ha dichiarato a proposito il ministro degli Esteri tedesco, Johann Wadephul, a cui ha fatto eco l’omologo francese, Jean-Noel Barrot: «Il programma nucleare iraniano rappresenta una minaccia esistenziale per Israele, per i paesi della regione e anche per noi. L'unico modo per liberarsi da questa minaccia è attraverso il negoziato».
Difficile che questa richiesta venga accolta, se si pensa che poche ore prima il portavoce della diplomazia iraniana, Esmaeil Baqaei, attaccava Berlino dicendo che «coloro che sono perennemente dalla parte sbagliata della storia farebbero meglio a stare in silenzio ora».
Il cancelliere tedesco, Friedrich Merz, ha poi ulteriormente delineato la strategia del suo governo, prima di partire alla volta del Canada. Un piano in quattro punti: no al nucleare iraniano; diritto alla difesa per Israele; fermare l'escalation e difendere obiettivi ebraici o israeliani sul territorio tedesco da possibili minacce; e creare spazio per la diplomazia, obiettivo ribadito in un colloquio telefonico con il sultano dell’Oman. Domenica in serata Merz aveva anche in programma un incontro con Giorgia Meloni, con annesso un appuntamento della premier con il britannico Keir Starmer.
Dalle due parti sono giunte delle prime, parziali, aperture. Un alto funzionario del gabinetto di Netanyahu ha confermato alla stampa israeliana che «dietro le quinte c'è un inizio di tentativo di mediazione», mentre il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha dichiarato che la Repubblica islamica è aperta a un negoziato che sancisca la rinuncia all'arma atomica, pur dicendosi non disposto invece ad abbandonare il proprio programma nucleare civile.
Sabotaggi e appelli
La situazione, però, resta ovviamente tesa. Lo stesso Araghchi ha affermato che l'Iran «cesserà di condividere informazioni con l’Agenzia internazionale per l’energia atomica». Per poi ribadire che l'attacco israeliano, nell'interpretazione di Teheran, aveva il preciso scopo di sabotare i colloqui sul nucleare, invitando Washington a condannare gli attacchi israeliani sulle infrastrutture nucleari iraniane come prova di «buona volontà».
Ai grandi della Terra riuniti in Canada si è rivolto, infine, anche il presidente israeliano, Isaac Herzog: secondo cui i leader «dovrebbero essere tutti con noi» affinché «l'impero del male non raggiunga il suo massimo potenziale» e smantelli le armi nucleari.
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