Netanyahu conferma l’uccisione dei vertici dei pasdaran. E aggiunge: «Il cambio di regime a Teheran è uno dei possibili esiti delle ostilità». A detta della Ong Human Rights Activists sono oltre 400 le vittime iraniane
Un quartiere perlopiù povero, di immigrati di prima, seconda e terza generazione, che solo di recente viveva accenni di una possibile gentrificazione. Bat Yam, periferia meridionale di Tel Aviv, a sud di Jaffa, affacciato sul mare, è il luogo dove è caduto il missile iraniano che finora ha provocato il numero di vittime più alto in Israele, al netto di incidenti che possano rimanere secretati dalla censura militare. Il bilancio è di sette morti e - ancora nella serata di domenica, a oltre una decina di ore dall’attacco - diverse persone disperse sotto le macerie, come succede da un anno e mezzo a questa parte a Gaza.
«Siamo qui perché siamo in mezzo a una battaglia per la nostra sopravvivenza, un fatto che oggi appare evidente a tutti i cittadini di Israele», ha detto Netanyahu. «Pensate cosa accadrebbe se l'Iran avesse armi atomiche da sganciare sulle città israeliane, se disponesse di 20mila missili di questo tipo», ha continuato. Nel suo discorso Bibi ha presentato gli attacchi iraniani come una realtà inevitabile che giustifica ex post la sua decisione di iniziare la guerra, non come una conseguenza dell’offensiva israeliana.
Un corto circuito
Analisti e storici decideranno se la sua è stata davvero un’operazione “preventiva” o se le sue parole rappresentino un corto circuito logico che scambia le conseguenze per le cause dell’attacco, un caso da libro di testo di “self-fulfilling prophecy”, il concetto dell’accademia anglosassone traducibile come «una profezia che si autoavvera».
Finora sono 14 le vittime israeliane dall’inizio dell’escalation, mentre secondo il New York Times sarebbero 128 le vittime iraniane. Sono numeri, in particolare questi ultimi, difficili da confermare: l’agenzia Associated Press, citando la Ong con sede a Washington Human Rights Activists, calcola siano in realtà oltre 400 le vittime iraniane. Fra queste diversi leader degli apparati di sicurezza e degli stessi Guardiani della Rivoluzione.
Andate nei rifugi
A fronte di un’intera ala di un palazzo sventrata, Bibi ha ribadito come sia fondamentale una condotta diligente dei cittadini per limitare il numero di vittime civili. «Chi ha seguito le direttive della protezione civile e si è recato in uno spazio protetto», ha detto Netanyahu, «si è salvato. Chi non l'ha fatto è stato colpito».
A Tamra, la cittadina arabo-israeliana nel nord del paese, quattro donne sono morte proprio a causa dell’assenza di stanze sicure, un problema diffuso nelle zone arabe. Bibi ha condannato un video in cui si vedono ebrei israeliani celebrare il fatto che venisse colpito un villaggio arabo.
Domenica è stata un’altra giornata frenetica in cui si sono rincorse notizie di raid israeliani in Iran e nuovi allarmi nello Stato ebraico, in attesa degli attacchi più massici previsti in serata. Mentre nuovi missili venivano lanciati dall’Iran, con forti esplosioni viste e sentite in serata anche a Tel Aviv, Israele ha colpito l’aeroporto di Mashhad, secondo l’aeronautica il raid più in profondità dall’inizio dell’operazione.
Mashhad si trova vicino all’Afghanistan, a 2300 chilometri da Israele. Non solo. In uno dei raid su Teheran sono stati uccisi i vertici dei Pasdaran, come confermato dallo stesso Netanyahu a Fox News. «Abbiamo eliminato il capo dell'intelligence delle Guardie Rivoluzionarie e il suo vice a Teheran», ha detto il premier.
«Abbiamo deciso di agire perché dovevamo farlo. Abbiamo visto abbastanza uranio arricchito per nove bombe. Stiamo attaccando i loro siti nucleari. Abbiamo attaccato il loro comando superiore e posso confermare che pochi istanti fa abbiamo eliminato anche il capo della loro divisione di intelligence e il suo vice a Teheran», ha aggiunto Netanyahu. Poco prima, i media iraniani avevano riferito che Mohammad Kazemi, capo dell'organizzazione di Intelligence delle Guardie rivoluzionarie, e il suo vice, Hassan Mohaqiq, erano rimasti sotto le macerie.
E ancora: l’agenzia iraniana Fars ha dato notizia di un attacco su una stazione di polizia a Teheran e secondo Al Mayadeen, la tv legata ai libanesi di Hezbollah, diversi civili iraniani sarebbero rimasti uccisi durante i bombardamenti nella capitale. In Israele sono stati confermati danni alle raffinerie della città portuale di Haifa, nel nord del paese, su cui si è concentrata la pioggia di missili iraniani fra sabato e domenica.
E se su Truth Donald Trump afferma che «Israele ed Iran dovrebbero trovare un accordo» (ma i tentativi di mediazione per ora non fanno presagire una de-escalation in tempi brevi), il governo israeliano sembra piuttosto intenzionato a coinvolgere gli Stati Uniti nel conflitto, visto che solo in questo modo, secondo gli analisti, potrebbe danneggiare in maniera decisiva le infrastrutture nucleari iraniane. Da parte sua l’Iran ha minacciato di colpire asset americani nella regione ma rimane consapevole del rischio di realizzare involontariamente l’obiettivo strategico degli israeliani, provocando l’ingresso in guerra degli Stati Uniti.
Netanyahu ha dichiarato, sempre parlando con Fox News, che considera un cambio di regime in Iran un esito possibile delle ostilità in corso. Gli obiettivi colpiti da Israele sono d’altronde solo in parte legati alle infrastrutture nucleari.
Cosa succede a Gaza
Approfittando della cortina di fumo creata dalla guerra il governo israeliano continua a compiere massacri nella striscia di Gaza. Solo domenica sarebbero morte 41 persone a causa dei raid dello Stato ebraico, secondo il ministero della salute della Striscia. Si sono registrati nuovamente incidenti nei pressi dei siti di distribuzione della controversa Gaza Humanitarian Foundation, l’organizzazione umanitaria legata a Israele.
Nel frattempo, Israele incassa come un grande successo strategico la calma sul suo fronte settentrionale, dove la milizia sciita Hezbollah prima del 7 ottobre era considerata lo scudo protettivo degli iraniani. Decimata e decapitata dalla recente guerra, ora sembra tenersi alla larga dal conflitto. Anche gli Hezbollah iracheni, un’organizzazione separata ma a sua volta vicina a Teheran, hanno fatto sapere di non volersi lasciare coinvolgere nelle ostilità.
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