Il tema della territorialità è paradigmatico dell’evoluzione dei rapporti tra Italia e Francia, soprattutto per la riconfigurazione della sovranità territoriale con la globalizzazione e l’adesione di entrambi i paesi all’Unione europea. In particolare, i grandi progetti infrastrutturali e la governance multilivello comunitaria hanno prodotto delle forme innovative di territorialità condivisa che si sono intrecciate con le vecchie formule della sovranità. Un gioco di vecchio e nuovo di cui è parte anche il processo mediatico.

Prevale comunque l’intreccio, che non permette di parlare di fenomeni territoriali completamente nuovi o vecchi. 

Cominciamo dal prendere consapevolezza che l’Unione europea non è soltanto un insieme di istituzioni ma è fatta anche di territori. I grandi progetti infrastrutturali per la mobilità europea e le politiche transfrontaliere hanno l’obiettivo di creare o migliorare le connessioni tra luoghi appartenenti a stati diversi. L’obiettivo è favorire la nascita di nuove forme di solidarietà politica a partire dalla rielaborazione dell’esercizio statale della sovranità sul territorio. I progetti e i programmi europei sono gestiti secondo il criterio della governance multilivello, ovvero la condivisione della giurisdizione su funzioni specifiche tra più livelli di governo.

Programmi e progetti

Tra gli interventi più rilevanti ci sono i programmi di cooperazione territoriale transfrontaliera (Interreg), di cui uno (Interreg Alcotra – Alpi latine cooperazione transfrontaliera) riunisce il confine terrestre tra Francia e Italia, mentre il secondo (Interreg Italia-Francia marittimo) aggrega le regioni marittime degli stessi due paesi.

Il lato positivo di queste esperienze è coinvolgere più scale di governo territoriale nella cooperazione congiunta. Se gli obiettivi politici del piano sono indirizzati a favorire delle forme di solidarietà su scala transnazionale per rafforzare il progetto europeo, le forze finanziarie messe in gioco sono però ancora insufficienti per tanta ambizione, dato che ogni programma settennale prevede soltanto 200 milioni di euro circa di investimenti. Gli obiettivi concreti si limitano a migliorare l’efficienza di decisioni e progetti adottati altrove; ciò comporta che anche l’autonomia decisionale sia molto relativa, come palesato dalla mancanza di un organo comune di governo di questi programmi.

Il progetto che incide maggiormente la territorialità italo-francese è però senza dubbio la Torino-Lione, tra le infrastrutture più ambiziose della rete transeuropea Ten-T. Nonostante le numerose polemiche, la conclusione dei lavori è prevista per il 2030 circa. Sebbene l’infrastruttura sia fortemente finanziata dall’Unione europea è dubbio quale sarà il suo reale impatto territoriale. A fronte di miliardi di investimenti, è stata fortemente messa in discussione la convenienza economica complessiva del progetto.

Per via dell’ipotetico effetto direttrice, che favorisce lo sviluppo nelle aree interessate da una grande infrastruttura, è stato comunque deciso di battersi per mantenere la via in Italia del nord. Troppo grande il rischio che il corridoio, che va da Lisbona a Kiev, attivi degli scambi industriali al momento non preventivabili a favore dei paesi a nord delle Alpi. Tuttavia, rimane aperta la questione degli squilibri territoriali, ossia che l’infrastruttura produrrà valore aggiunto per le stazioni di arrivo innanzitutto risucchiando valore dal contesto locale e concentrandolo presso i grandi nodi della rete.

Per rendere veramente condiviso il valore che ci si augura sarà creato dall’infrastruttura bisognerà connettere in modo adeguato lo snodo torinese alle aree circostanti. Si ricordi, infatti, che il tessuto sociale ed economico italiano è frutto di una cultura territoriale diffusa, che soffrirebbe le forme di polarizzazione intrinseche nelle grandi infrastrutture. 

Rapporti in fibrillazione

La globalizzazione e la governance multilivello comunitaria mutano il governo del territorio e mettono in fibrillazione i rapporti territoriali italo-francesi. Si pensi all’impatto sulla delimitazione dei tratti di mare condivisi, oppure al rapporto tra esclusività della sovranità e cooperazione transfrontaliera, come palese nell’incidente di Bardonecchia del 2018. Il nazionalismo subisce sollecitazioni dai flussi transnazionali e dalla crescente condivisione delle giurisdizioni territoriali, che mettono in discussione le forme tradizionali della sovranità come basate sull’autorità esclusiva dello stato sul proprio territorio. Da ciò si producono ulteriori contraccolpi di tipo mediatico, che soprattutto in Italia hanno sottolineato con forza polemica gli incidenti territoriali e i contenuti degli accordi con la Francia.

Sul confine italo-francese di Bardonecchia il problema risale a un incidente del 2018, quando dei doganieri francesi in servizio su un treno Parigi-Milano scesero alla stazione di Bardonecchia (in Italia) per sottoporre ad accertamenti un extracomunitario sospetto. L’azione si inquadrava all’interno della cooperazione transfrontaliera in tema di polizia di frontiera, sebbene la discussione si sia sollevata sulla legittimità del comportamento delle forze dell’ordine transalpine, che non hanno richiesto alcuna autorizzazione in merito alla controparte italiana, né dato alcuna informazione preventiva.

Il caso di Bardonecchia esemplifica una nuova forma di sovranità: le giurisdizioni dei due paesi non possono più essere rigidamente divise perché il contrasto a fenomeni corpuscolari come il traffico di droga o l’immigrazione clandestina richiede delle forme di cooperazione che rendono il confine una fascia territoriale ampia, non più una linea, dove forze dell’ordine di ambo le parti agiscono con un certo grado di libertà funzionale. Il confine si fa diffuso e modella una territorialità alternativa a quella dello stato-nazione classico, necessaria proprio per salvaguardare la sovranità dello stato. Il mutamento della sovranità territoriale rende inevitabili le zone grigie e le sovrapposizioni, come le cronache locali confermano.

La questione più complessa dal punto di vista territoriale tra Italia e Francia riguarda però un accordo sottoscritto a Caen nel 2015 per delimitare le aree marittime condivise. L’accordo non è mai stato perfezionato in Italia per la mancata autorizzazione alla ratifica da parte del parlamento, arenatasi di fronte alle proteste per l’apparente rinuncia italiana a porzioni di mare in favore della controparte. In realtà, il confine marittimo tra Italia e Francia prima del 2015 era segnato solo in parte, quindi è improprio sostenere che l’Italia abbia ceduto qualcosa che non era nelle sue disponibilità.

La problematica è diventata particolarmente calda in Italia anche per la perdita di alcune aree di pesca fruttuose, sebbene almeno in un caso l’accordo prevedesse la tutela dei pescatori italiani. Un problema tuttavia transitorio, dato che tutte le acque dei paesi europei saranno sottoposte ad accesso paritario per i pescatori comunitari dalla fine del 2022.

Dimensione mediatica

Qui il problema è che i negoziati bilaterali di delimitazione devono essere portati a conoscenza delle rispettive opinioni pubbliche per entrare in vigore, il che sottopone i processi di ratifica a stress politici non indifferenti.

La dimensione mediatica contribuisce a rendere la sovranità un genere nuovo, meno attenta al tracciato confinario in sé e maggiormente interessata alla salvaguardia dell’immagine del confine. Un’immagine rigida e definita, a contrasto con una realtà sempre più complessa, che ormai tutela la sicurezza soltanto a partire da una pratica sovranitaria multiforme.  

Per dare una forma coerente a tutti questi processi è necessario finanziare con maggiore decisione la governance multilivello, l’unica in grado di gestire l’intreccio tra vecchie e nuove forme di sovranità, fino ad oggi totem esclusivo dello stato-nazione.

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