Uno degli aspetti più sconvolgenti dell’invasione russa dell’Ucraina, iniziata il 24 febbraio 2022, è stata la giustificazione religiosa di un’azione così chiaramente distruttiva e criminale, che ha infranto ogni convenzione internazionale e ha provocato uno spaventoso numero di vittime, tra i civili e i militari, tra cui moltissimi soldati russi (la maggior parte di essi di etnia caucasica o asiatica). Com’è possibile accettare tutto questo in nome di una fede cristiana ortodossa, che non è certo l’islam radicale, ma che finisce per assomigliargli in modo impressionante?

I proclami iniziali del presidente Putin e dei dirigenti politici e militari della Russia, all’inizio di quella che viene da loro chiamata “operazione militare speciale”, parlavano di “de-nazificazione” e demilitarizzazione dell’Ucraina, rievocando quindi radici ideologiche molto evidenti della Russia sovietica dei tempi di Stalin, quando il patto tradito da Hitler costrinse alla difesa dei territori occupati, di cui l’Ucraina era la parte più consistente, tanto più che in essa agivano forze collaborazioniste con l’invasore tedesco.

Per questo i “nazisti” ucraini sono anche chiamati banderovtsy o “seguaci di Bandera”, il politico ucraino che per primo sostenne la necessità di rivolgersi al Terzo Reich per ottenere un sostegno all’indipendenza dell’Ucraina. In un moto di ulteriore disprezzo, gli odiati “traditori” ucraini sono chiamati anche žido-banderovtsy, “giudeo-banderisti”, associando al filonazismo anche l’accusa antisemita di essere esponenti del giudaismo tanto inviso ai russi fin dai tempi più antichi, e perseguitato anche ai tempi sovietici.

Del resto, per chiudere il cerchio, il ministro degli Esteri russo Lavrov ha affermato provocatoriamente in un’intervista alla televisione italiana che «anche Hitler aveva radici ebraiche». In realtà, in questa accusa di “ebreo-nazismo” degli ucraini già si nasconde un fattore religioso, che solo a queste latitudini si può cogliere abbastanza facilmente.

Il politico nazionalista e filotedesco Stepan Bandera (1909-1959) era figlio di padre Andryj, un sacerdote greco-cattolico “uniate”, parroco nella Galizia austroungarica, e la sua aspirazione all’Ucraina indipendente risaliva in buona parte proprio a queste radici religiose.

Non a caso, dalla chiesa ortodossa del patriarcato di Mosca si ripetevano le accuse contro gli uniati, considerati i principali ispiratori della rivoluzione dell’Euromaidan nel 2013-14, quando iniziò di fatto il conflitto russo-ucraino, in modalità “ibrida” per otto anni (i russi ufficialmente non intervenivano, ma sostenevano i “volontari” che andavano ad aiutare gli indipendentisti del Donbass), e ora in modalità “speciale” e difensiva, per arginare “l’invasione occidentale”.

Due volti dell’anima russa

Il conflitto in realtà non è iniziato nel 2013, quando tra il 21 e il 22 novembre sulla piazza di Kiev scoppiarono le rivolte dopo la sospensione, da parte del governo filo-russo di Janukovič, dell’accordo di associazione tra l’Ucraina e l’Unione europea.

È un conflitto che nasce con l’antica Rus’, quando la litigiosità dei principi indebolì l’antico stato slavo-orientale, fino a venire travolto dall’invasione tataro-mongola nel 1240; che prosegue con le pretese di Mosca di sottomettere tutte le altre capitali, da Novgorod e Pskov ai Paesi Baltici, tra il XV e il XVI secolo; si rinnova con le continue guerre tra la Russia e il regno di Polonia-Lituania, concluse nel 1682 con la “pace eterna” che restituì la città di Kiev allo zar moscovita, e peraltro continuarono ancora in seguito, fino ai tempi sovietici; si esalta nelle rivolte dei cosacchi del XVII secolo, che accettarono il dominio russo solo per sfuggire a quello polacco, e così via fino alla rivoluzione socialista ucraina poi inglobata da quella sovietica, e ai tormentati anni dell’indipendenza della nuova repubblica dell’Ucraina, sorta dalle ceneri sovietiche e rimasta finora in bilico tra oriente e occidente.

L’Ucraina moderna

L’Ucraina non è mai esistita come stato indipendente prima del XX secolo, quando era comunque una delle repubbliche sovietiche, fino alla fine del comunismo nel 1991. I russi non l’hanno mai considerata un’altra nazione, ma solo una parte della propria stessa entità; il nome stesso u-kraina (“al confine”) nacque nel Seicento per indicare alcuni territori dove si formavano le province russe dei cosacchi, separatesi dal regno polacco, e non fu usato come termine ufficiale per quelle zone prima della fine del Settecento, dalla zarina Caterina II la Grande, che mise fine alla Polonia spartendola con Austria e Prussia. I russi l’hanno sempre chiamata Malorossija, la “piccola Russia”, come vorrebbero chiamarla anche oggi i separatisti filo-russi della regione del Donbass.

I primi cantori dell’Ucraina moderna furono il poeta Taras Ševčenko (1814-1861), un ucraino pietroburghese che in vita sua si recò soltanto due volte a Kiev, e per questo pagò con il confino siberiano, e i suoi sodali della “Società di Cirillo e Metodio”, che nell’Ottocento credevano nella particolarità culturale e politica della storia ucraina.

Le russificazioni forzate degli zar ottocenteschi impedirono peraltro qualunque tentativo di emanciparsi, e la storia dell’Ucraina finisce quindi per essere definita dalle tante contraddizioni del Novecento: la rivoluzione, le guerre mondiali e le divisioni territoriali, l’invasione nazista e i tentativi del popolo ucraino di trovare una propria dimensione, per essere inevitabilmente repressi da tutti, dai polacchi come dai tedeschi e dai russi.

L’Ucraina, in effetti, è la figlia legittima dell’antica Rus’ di Kiev, di cui conserva la memoria principale, la terra nativa dei “grandi russi”, dei “piccoli russi” e dei “russi bianchi”, versioni solo lievemente differenti di un unico popolo oggi disposto in tre nazioni.

Storicamente, potremmo dire che l’Ucraina è “l’altra faccia” della Russia, quella rivolta a occidente: terra veramente “di confine”, continuamente lacerata e contesa. Soprattutto, è quella parte dell’anima russa che non cerca necessariamente la vittoria, la superiorità, la grandezza, una parte più umile e contadina, e anche molto più religiosa.

L’evento più simbolico di questa “doppia storia” fu l’istituzione del patriarcato di Mosca nel 1589, quando il padrone di Mosca, in seguito zar Boris Godunov, costrinse il patriarca di Costantinopoli Geremia II, tenuto nel Cremlino agli arresti domiciliari, a firmare la carta istitutiva (Uloženje) del patriarcato di Mosca come sede della “Terza Roma”, la vera chiesa e il vero stato cristiano dello zar (Czar, il “nuovo Cesare”), chiamato a salvare il mondo.

Lo stesso Geremia, liberato dai russi, cercò di ispirare gli ortodossi del regno di Polonia, gli ucraini di allora, a formare un contraltare alla mania di grandezza russa, istituendo il patriarcato di Kiev: la storia poi si concluse con l’Unione di Brest del 1596, soltanto sette anni dopo il patriarcato moscovita, e costituì il ritorno alla “prima Roma” voluto dal re polacco Sigismondo e dai gesuiti, guidati dal padre Petr Skarga, istitutore delle scuole moderne polacche, poi anche ucraine e russe.

L’Unione con la chiesa di Roma è di fatto il primo avvenimento storico dell’Ucraina, pur nella contesa tra russi e polacchi: è l’altra faccia della medaglia, la variante “europea” dei destini russi. Mosca non può permettersi, in nessun caso, di cedere l’Ucraina, pena la perdita di metà della propria stessa anima.

La “Terza Roma”

La versione più recente del sogno tardo-medievale della “Terza Roma” è quella che ha effettivamente ispirato la guerra “difensiva”, ed è chiamata l’ideologia politico-religiosa del Russkij Mir, il “Mondo Russo”. Come ai tempi di Ivan il Terribile la Russia doveva difendere l’umanità «dall’eresia, dalle invasioni e dalla sodomia», secondo la formula del monaco Filofej di Pskov, adesso si tratta di salvarsi dalla colonizzazione occidentale chiamata “globalizzazione” e dalla degradazione morale che si vuole imporre anche alla santa Russia.

Il patriarca di Mosca Kirill è infatti intervenuto pochi giorni dopo l’inizio dell’operazione militare con una clamorosa dichiarazione, fatta durante una liturgia solenne, per spiegare che «vogliono imporci un modo di vivere a noi estraneo, i cosiddetti valori che vengono offerti da chi pretende di possedere il potere mondiale… esiste un test di lealtà a questo governo, una specie di passaggio a quel mondo felice, il mondo del consumo eccessivo, il mondo della libertà visibile. Sapete che cos’è questo test? È molto semplice e allo stesso tempo terribile: è una parata gay».

Si rievoca dunque la condanna medievale della sodomia, per saldare gli antichi ideali, nati quando la Russia era rimasto l’unico regno ortodosso dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, con la nuova visione del mondo, in cui la Russia di Putin e Kirill guida la rivolta dei popoli “sovranisti” e identitari contro la dissoluzione voluta dai padroni del mondo americani ed europei, chiamati anche qui con disprezzo anglosaksy, per distinguerli dai popoli “filo-russi” che vorrebbero riunirsi con Mosca in nome della purezza morale.

È un appello ai cinesi, agli indiani e ai turchi stessi, agli africani e ai latinoamericani di provata amicizia sovietica, e magari a tanti europei filo-russi, che sostengono le ragioni “difensive” contro gli odiati americani del nord e le “minacce” delle armate demoniache della Nato.

In this handout photo released by Russian Orthodox Church Press Service, Russian Orthodox Church Patriarch Kirill, left, and Russian President Vladimir Putin congratulate each other after the Easter service at the Christ the Savior Cathedral in Moscow, Russia, early Sunday, April 24, 2022. Eastern Orthodox churches observe the ancient Julian calendar, and this year celebrate the Orthodox Easter on April 24. (Oleg Varov, Russian Orthodox Church Press Service via AP)

Cancellare Dio

Il “mondo russo” è quindi la definizione preferita da Putin e dal patriarca Kirill per definire la nuova identità della Russia. Il periodo sovietico è stato molto più breve delle “Russie” plurisecolari che l’hanno preceduto, ma per l’intensità e l’universalità della sua influenza non è stato certo da meno.

Dobbiamo infine ammettere che la Russia attuale non è altro che una “Russia post-sovietica”, o forse meglio “neo-sovietica”, che ancora fa i conti con l’eredità novecentesca; del resto, tutti gli attuali leader politici, religiosi ed economici sono di derivazione sovietica, per motivi anagrafici, sociali e semplicemente psicologici. La Russia di Putin vuole anzitutto ricucire lo strappo della fine dell’impero sovietico, che ha cancellato tutta la sua grandezza non solo geopolitica ed economica, ma anche ideologico-culturale.

La transizione dall’ateismo militante alla rinnovata ortodossia militante, la cosiddetta “rinascita religiosa”, è il fenomeno più significativo e contraddittorio dell’ultimo trentennio; mai, in nessun paese del mondo, era avvenuto un simile fenomeno di perdita e riacquisto della fede.

Si può parlare delle grandi lotte religiose nei paesi europei, dei passaggi dal cattolicesimo al protestantesimo e viceversa, della cristianizzazione più o meno forzata dei paesi di missione, ma l’Unione sovietica era quel mondo che voleva cancellare Dio dalla coscienza umana, e questo accentua il bisogno dei russi di oggi di dare un valore universale alla riscoperta della propria fede: un “mondo russo” religioso e salvifico.

Da qui l’assoluto bisogno di riconnettersi all’origine: la rinascita religiosa russa comincia proprio dalle solennità del Millennio del Battesimo della Rus’, che si celebrarono nel 1988 ancora in periodo sovietico, in piena perestrojka gorbacioviana. L’antica Rus’ bizantina rivive nel nuovo battesimo, la “Terza Roma” moscovita assume nuovamente la sua missione escatologica, l’impero del “nuovo zar” riconnette il popolo con l’autocrate, la vittoria mondiale dei sovietici ispira il nuovo auspicato ruolo della Russia nel mondo globalizzato: questa è la vera dimensione dell’invasione dell’Ucraina, non soltanto la soluzione di un conflitto territoriale.

Terra di mezzo

La dimensione territoriale non è del resto estranea alle ragioni del conflitto, ma anche in questo caso si tratta di un aspetto carico di significati simbolici e spirituali.

La Russia è infatti da sempre condizionata dalla sua grandiosa contraddizione geografica: il paese più grande del mondo (un sesto delle terre emerse) con una popolazione relativamente ridotta e dispersa (meno di 150 milioni, un decimo della Cina e dell’India), che si distende su due continenti (unico al mondo, Turchia e Cipro hanno solo frammenti di Europa).

Per questo la Russia sente di avere una “vocazione universale”, con qualunque titolo si voglia chiamarla, e qualunque sia l’ideologia che la esprime, perfino quella atea e anti-religiosa, che si è rivelata una “religione inversa”.

Prima ancora del Donbass e delle altre zone contese all’Ucraina (che del resto si vuole cancellare completamente come entità geografica e statale indipendente) c’era stata l’esaltazione per l’annessione della Crimea nel 2014, “terra santa” e simbolica per eccellenza. Il primo a sfruttare i vantaggi della posizione strategica e della valenza simbolica della Crimea, in effetti, fu il principe Vladimir di Kiev, padre fondatore dell’antica Rus’.

Dalla Crimea minacciò i bizantini, che temevano l’invasione dei feroci Rhos e concessero dunque il matrimonio imperiale a Vladimir, imponendogli il battesimo cristiano. Secondo l’antica Cronaca di Nestore, il principe aveva del resto già deciso di assumere la fede cristiana nella variante bizantina, che allora mostrava la “bellezza” della fede, disdegnando le liturgie dei latini che gli apparivano insipide e vuote (ciò che in effetti corrispondeva al confronto storico dei due rami del cristianesimo alla fi ne del X secolo).

Egli così fu battezzato a Chersoneso, sulle rive crimeane, per poi tornare da trionfatore a Kiev, e immergere l’intero popolo della Rus’ nelle acque del fiume Dnepr, dove vennero gettati tutti gli idoli pagani. Fu la prima vittoria, la vittoria della fede e della potenza russa, figlia dei bizantini, ma in realtà sostituendosi a essi nella guida storica della chiesa e del mondo europeo orientale.

Il sogno di Putin e di Kirill (entrambi fanno di nome Vladimir) è quello di ricominciare la storia sacra della Russia, salvezza del mondo intero.


Il testo è estratto dal numero 4/2022 di Vita e Pensiero, il bimestrale culturale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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