L’Isis non demorde e si fa sentire da entrambi i lati del confine tra Iraq e Siria. Negli anni del suo atroce trionfo, lo Stato islamico aveva cancellato il confine tra i due stati, considerandolo una obsoleta creazione dei “crociati” colonizzatori europei.

Anche le cancellerie occidentali avevano a quell’epoca iniziato a creare uffici “Siraq” per seguire un’evoluzione geopolitica non favorevole (un po’ come avevano fatto prima con gli uffici Afpak, Afghanistan e Pakistan).

Non si tratta più delle pericolose orde assassine che avevano lasciato il mondo attonito per la loro crudeltà, ma la riemersione di alcune unità combattenti attorno alla frontiera e nelle zone desertiche siriane è ormai certa. Ciò che preoccupa sono le decine di migliaia di donne e bambini, familiari degli ex combattenti, custoditi nel limbo dei campi e che non si riesce a reintegrare nella società araba: nessuno li vuole a causa del loro indottrinamento. Che ne sarà di loro? Si teme che formino uno speciale humus favorevole alla rinascita del terrorismo.

Ciò che colpisce è la resilienza di quelle donne che restano legate al fanatismo con cui sono state ammaestrate: malgrado le sofferenze e lo stigma che pesa su di loro, educano i loro figli (i “leoncini” dell’Isis come li chiamano) alla stessa ideologia settaria.

L’Isis rinascente se la prende con le tribù arabe della zona, accusandole di non essere abbastanza fedeli: si tratta di una lotta di influenza tra arabo-sunniti e curdi in un contesto del tutto sconvolto dai lunghi anni di guerra. Tali tribù cercano di uscire dall’isolamento a cui l’adesione (attiva o passiva) all’Isis le aveva costrette, provocando la diffidenza delle altre popolazioni: non solo le minoranze cristiane o yazide ma soprattutto gli sciiti e i curdi.

Ogni tanto vi sono notizie di condanne a morte emesse dall’Isis nei confronti di elementi arabo-sunniti locali: lo scopo è infondere timore per attirarli (con le buone o con le cattive) dalla propria parte. Dal canto loro il governo iracheno e le varie fazioni che controllano la Siria, mobilitano milizie in funzione anti Stato islamico per non perdere il controllo del territorio.

La presenza americana

Le forze armate Usa presenti in Siria conducono continue attacchi mirati contro la leadership terroristica riemergente. In mancanza di una presenza capillare sul terreno (gli americani sono meno di un migliaio in Siria ormai ), si tenta di scardinare la rete che si sta ricostituendo per evitare all’Isis di riorganizzarsi: si tratta di una nuova fase della guerra dei droni già largamente utilizzata dall’epoca di Obama.

L’attuale tattica degli uomini dello Stato islamico è di operare a cavallo della frontiera, sfruttando l’assenza di un reale coordinamento tra le forze armate dei due paesi. D’altronde, mentre in Iraq esiste un esercito unitario e forze di sicurezza ricostituite dal governo, in Siria siamo ancora di fronte ad una pluralità di soggetti armati che non dialogano necessariamente tra di loro ma che anzi sono spesso nemici.

A sud della siriana Deir el Zor verso il deserto, e a est della stessa città, l’Isis distende nuovamente i suoi tentacoli, lungo il corso dell’Eufrate che attraversa poco oltre la frontiera ufficiale tra i due paesi, spingendosi fino al triangolo sunnita dove l’Isis era nato, iniziando con la città di Ramadi.

È in questa vasta area che lo Stato Islamico cerca di rinascere. In Siria più a nord le tribù arabe devono tener conto della presenza delle Forze democratiche siriane (Sdf), sostenute dagli Stati Uniti e guidate dai curdi, dominate dalle Unità di protezione del popolo (Ypg), quelle milizie accusate dalla Turchia di essere strettamente legate al Pkk presente in forze a nord Iraq. Stati Uniti e Unione europea hanno messo il Pkk nella lista nera dei gruppi terroristici anche se contano sul sostegno curdo nella lotta contro l’Isis: una situazione dai contorni geopolitici ambigui e cangianti. 

Dalla fine della fase vittoriosa del gruppo (2017), numerose tribù arabo-sunnite dell’area si sono unite all’Sdf per sostenere le proprie famiglie anche se sotto il controllo curdo denunciano persistenti discriminazioni, arresti arbitrari e altri abusi. Di fatto non c’è fiducia tra arabi e curdi e su questo fa leva il rinascente gruppo terroristico. Molti arabi locali dicono di avere paura sia del Pkk sia dell’Isis così come del governo siriano e delle milizie alleate, e non sanno più di chi fidarsi: la guerra ha completamente sconvolto la trama sociale siriana.

Nella provincia siriana di Hasakeh – in gran parte controllata dai curdi delle Sdf con alcune sacche gestite dalle truppe lealiste del governo siriano di Damasco – da tempo i rapporti tra arabi e curdi sono divenuti conflittuali: ogni parte teme l’altra. In quella provincia è situato il famigerato campo di al Hol con oltre 50.000 persone, per lo più donne e bambini, molte delle quali legate ai combattenti dell’Isis.

La presenza turca

A complicare le cose vi è la presenza incombente della Turchia che ha annunciato da mesi una sua nuova offensiva per allargare la buffer zone che già controlla. Il pretesto turco è la presenza crescente de Pkk, già radicato in forze a nord Iraq dove la Turchia ha inviato uomini e armi.

La confusione regna: sia le Sdf curde che i gruppi di opposizione siriani legati alla Turchia si accusano a vicenda di aiutare segretamente l’Isis per i propri scopi. Più a sud, dal lato iracheno del confine, sono segnalati attacchi come recenti esplosioni di depositi di armi avvenute nell'area di Husaybah nell’Anbar occidentale, che stanno suscitando un forte allarme.

Infine un ulteriore problema da entrambi i lati del confine è la crisi economica e il crescente traffico di droga, utilizzato dai vari soggetti armati (incluso l’Isis) per finanziarsi. Pare che la provincia irachena di Ninive sia divenuta zona di transito per questo tipo di contrabbando che unisce i due stati. Al Monitor stima che la metà dei giovani della regione lavori nel commercio di droga o ne faccia uso. La mancanza di lavoro e il crescente consumo di droga favoriscono il reclutamento nelle milizie armate e nell’Isis, soprattutto nelle aree rurali e periferiche dove gran parte della popolazione si sente abbandonata da entrambi i lati del confine. 

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