Pochi giorni fa, un gruppo di rispettati giornalisti internazionali ha pubblicato una nuova inchiesta sulla cosiddetta “sindrome dell’Avana”, una misteriosa malattia che avrebbe colpito decine di diplomatici e agenti segreti americani, causata, secondo alcuni, da una misteriosa arma a energia russa.

È una teoria molto criticata. Secondo la Cia e gran parte della comunità scientifica, non ci sarebbe nessuna arma segreta e l’intera storia sarebbe poco più di un caso di isteria collettiva. L’inchiesta, pur aggiungendo nuovi elementi, non smentisce lo scetticismo e gli stessi autori ammettono di non aver trovato la prova definitiva di questo caso controverso.

Ma la pubblicazione ha comunque causato una reazione tellurica. Editoriali sono comparsi su Washington Post e Wall Street Journal per chiedere al governo nuove indagini – nonostante ne siano state condotte già mezza dozzina – mentre un nuovo fronte di commentatori, dal superfalco John Bolton alla giornalista premio Pulitzer Anne Applebaum, si alzato per denunciare l’ennesimo attacco ibrido di Mosca e chiedere un’adeguata risposta da parte degli Stati Uniti.

Ombre russe

Vale la pena fermarsi un secondo e pensare a cosa avrebbero scritto questi stessi opinionisti se fosse stato qualcun’altro ad avanzare l’idea che una superpotenza possiede un’arma segreta invisibile che non lascia traccia e la cui tecnologia sfugge persino alle nostre menti scientifiche più brillanti. Parlerebbero, probabilmente, di cappelli di carta stagnola e di scie chimiche. Forse, darebbero la colpa all’ennesima fake news del Cremlino. Invece, la misteriosa arma a microonde viene presa seriamente, anche in mancanza di prove certe.

Sembra che non ci sia limite alle capacità che un segmento importante dell’opinione pubblica mainstream è in grado di attribuire alla Russia di Putin. Il complotto russo è diventato una sorta di passepartout, in grado di spiegare quasi ogni fenomeno nefasto.

Da Brexit all’elezione di Donald Trump, dall’ascesa dei populisti à la Orban alla diffusione delle teorie novax durante la pandemia, dalle proteste contro i governi filo-occidentali in Romania e Moldavia all’elezione di un governo non anti-russo in Georgia. Come ha detto a Domani lo studioso della Russia Mark Galeotti, sembra che alcuni ritengano Putin in possesso una vera e propria macchina per il controllo mentale – altro che raggi di energia in grado di causare mal di testa.

Ovviamente, il Cremlino ha davvero compiuto numerose azioni dagli intenti malevoli e si immischia regolarmente nei nostri affari. Partiti e singoli politici hanno ricevuto finanziamenti a destra e a manca. Oppositori e rivali sono stati assassinati in tutto il mondo, a volte con l’utilizzo di strumenti esotici come gas nervini e veleni radioattivi. Fake news e propaganda vengono prodotte in serie nelle fabbriche di troll di San Pietroburgo e Mosca.

Ma gli effetti di queste azioni, in particolare di quelle più spettacolari, sono limitati, ci dicono le ricerche. Non si può cambiare il voto di milioni di persone con qualche post sui social. Gli Orbán di turno usano il Cremlino quanto e più di quanto il Cremlino utilizzi loro – ossia per ottenere concessioni prima di dare regolarmente il loro assenso a sanzioni o armi all’Ucraina. 

In Italia, la Lega, che verso la Russia ha aperte simpatie e con il partito di Putin ha persino un accordo, non ha fatto tanto rumore, ma quando né ha avuto l’opportunità non ha fatto nulla per fermare le sanzioni, e nemmeno il Movimento 5 stelle. Infine non dovrebbe stupirci se alla periferia d’Europa l’integrazione con l’Unione è ancora vista con sospetto da milioni di persone.

Gli ultimi dieci anni non sono stati certo i più brillanti per il vecchio continente e le misure economiche che vengono chieste ai candidati, spesso causano contraccolpi reali sui ceti più deboli.

Complotti di centro

Difficile non acorgersi che in Europa e negli Stati Uniti esiste un fenomeno speculare al cospirazionismo alimentato dallo stesso Cremlino presso il suo pubblico interno. Le manifestazioni dell’opposizione russa, la rivoluzione ucraina di Maidan nel 2014, le rivoluzioni colorate e, ora, l’attentato al centro commerciale di Mosca? Per Putin sono tutti complotti portati avanti dall’occidente collettivo, determinato a distruggere la Russia per impossessarsi delle sue risorse.

Esiste un’abbondante letteratura scientifica su come regimi e forze politiche estreme ricorrano alle teorie della cospirazione. Ma un crescente numero di studi indica che destra, sinistra e centro non sono poi tanto diverse quando si tratta di credere ai complotti. Spiegare il mondo con una teoria della cospirazione non sembra in realtà avere una speciale coloritura ideologica.

È una conseguenza, ci dicono gli studiosi, della percezione di una perdita di controllo. Le persone ricorrono ai complotti come una facile soluzione per ristabilire l’ordine in un caos cognitivo. La società sta cambiando e alcuni valori dati per scontati non lo sono più così tanto?

È più facile venire a patti con questa realtà se stabiliamo che è la conseguenze delle azioni di un élite nascosta nell’ombra. La sostituzione etnica pianificata dal Bilderberg è certamente più facile da comprendere rispetto un concetto vago e indefinito come la naturale mutazione delle società nel tempo causata dalle immutabili leggi della demografia. I complotti delle élite, inoltre, si possono sventare, a differenza dei fenomeni sociali.

Perdere le elezioni è una classica ragione per cui un certo segmento di popolazione potrebbe sentirsi meno in controllo rispetto al passato e quindi ricorrere di più a questo tipo di spiegazioni. Dopo l’elezione di Trump, un gruppo di ricercatori ha scoperto che la percentuale di elettori democratici che mostravano un atteggiamento “cospirazionista” (ad esempio, rispondendo in modo affermativo alla domanda «Il paese è controllato da un piccolo gruppo segreto di individui?»), era cresciuto dal 27 al 32 per cento.

La crisi dell’ordine liberale

Ma oggi questo senso di perdita di controllo non è limitato soltanto a quelle parti politiche che hanno perso un’elezione qui o là. Con l’ascesa della Cina, la crisi finanziaria, il ritorno del terrorismo globale, non sono più solo conservatori e reazionari – o i radicali di sinistra – a sentire il terreno scivolargli sotto i piedi.

È l’intero ordine liberale uscito dalla fine della guerra fredda ad essere in crisi. Ora, la percezione di non essere più in controllo tocca a coloro che con la caduta del muro di Berlino credevano di aver vinto l’ultima battaglia e di essere entrati nella fine della storia.

Ci sono ottime e ampiamente discusse ragioni per spiegare perché la loro ricetta, fatta di un mix di libero mercato e democrazia liberale, non ha portato i risultati sperati: il modello economico uscito dagli anni Novanta ha prodotto diseguaglianze che hanno polarizzato le nostre società, mentre quello politico ha iniziato a mostrare i suoi crescenti limiti.

La disinformazione che ha circondato l’invasione dell’Iraq nel 2003 e il sostegno occidentale a numerosi regimi brutali ha eroso la superiorità morale dell’occidente. Lungi dall’essere un prodotto del Cremlino, la “reazione” populista è una risposta del tutto razionale di una parte della società esclusa dai benefici economici e culturali della globalizzazione. Fuori dai nostri paesi, lo scetticismo del sud del mondo nei confronti delle intenzioni che manifestiamo in politica estera ha solide basi nel modo in cui ci siamo comportanti nel corso degli ultimi decenni.

Ma per una parte consistente dell’opinione pubblica liberal, queste spiegazioni restano troppo complesse e l’autocritica necessaria ad accettarle troppo difficile. Più semplice puntare il dito contro l’influenza malevola di una cabala ostile. Oggi quella che siede al Cremlino, domani chissà, quella di Pechino. Ma come il leader populista non riuscirà a fermare il declino demografico chiudendo i porti, così i liberal non guariranno le nostre società chiudendo i canali tv della propaganda russa.

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