La decisione di appoggiare il nuovo presidente è stata presentata come una lotta alla censura. E se portasse invece a una forma diversa di censura? Negli Stati Uniti c’è chi denuncia di aver iniziato a seguire Trump su Facebook senza volerlo. E per ore l’hashtag “democrats” non dava risultati su Instagram perché catalogati come “contenuti sensibili”
Qualcosa di strano sta succedendo in questi giorni su Facebook e Instagram, secondo alcuni utenti americani che se ne sono lamentati. Persone che non seguivano né il presidente Donald Trump né il vice J.D. Vance, all’improvviso si sono trovate il “mi piace” messo d’imperio. Al momento, le singole lamentele sono state per esempio riportate su Reddit – un forum di discussione – o su Substack – una piattaforma per la scrittura di newsletter, che in questi giorni sta beneficiando dell’esodo dagli altri social network.
Anche se c’è chi suggerisce che tutto nasca da un’incomprensione, ovvero dal fatto che a cambiare proprietà e nome è la pagina ufficiale del presidente degli Stati Uniti (e quindi chi seguiva Biden ora segue Trump), altri sospettano che l’intento sia diverso.
Perché non c’è solo questo: alcuni argomenti su Instagram, contraddistinti con uno specifico hashtag, hanno smesso per diverse ore di restituire risultati, martedì mattina. In questo caso, era più facile averne una prova empirica. Cercando per esempio “#democrats” (o #democrat), compariva la scritta “We’ve hidden these results” (“Abbiamo nascosto questi risultati”). E poi, ancora in inglese: “I risultati che hai cercato potrebbero contenere contenuti sensibili”. Lo stesso non accadeva per esempio cercando “republicans”.
Rispondendo alla Bbc, un portavoce di Meta ha escluso che ci fosse un pregiudizio politico: «Siamo a conoscenza di un problema che interessa gli hashtag su tutto lo spettro politico e stiamo lavorando rapidamente per risolverlo», ha spiegato.
Non si può dunque escludere che sia stato solo uno stranissimo disguido tecnico, peraltro risolto nel giro di qualche ora. Ma è comunque legittimo avanzare un dubbio, vista l’infelice coincidenza con l’ascesa al potere di Trump: e se l’annuncio fatto qualche giorno fa da Mark Zuckerberg di voler ostacolare la censura fosse semplicemente l’inizio di una censura di tipo diverso?
Il problema dell’algoritmo
Al di là dei singoli episodi, comunque inquietanti, il problema solleva una questione che in realtà accompagna da sempre l’utilizzo dei social network. Ovvero, il fatto che gli algoritmi non siano di per sé trasparenti. In altre parole, non è sempre chiaro cosa venga favorito e cosa meno.
La storia delle piattaforme digitali è stata spesso accompagnata da svolte arbitrarie: la decisione di favorire ad esempio le notizie o i video, oppure i contenuti di un tipo rispetto a un altro. Chiunque si occupi di comunicazione digitale sa che esistono delle regole per “essere facilmente trovati”, e non sempre sono facili da decifrare. E possono cambiare all’improvviso.
Come tutto questo possa avere poi impatti dirompenti, si capisce bene ricostruendo la storia di Twitter/X. Dal momento in cui Elon Musk ha acquisito il controllo sulla piattaforma, i contenuti conservatori hanno avuto un’impennata nelle visualizzazioni e nelle condivisioni, secondo diverse ricerche. A inizio anno, la Commissione europea ha chiesto a Musk di condividere i dettagli su come funzioni l’algoritmo: il vessillo della “libertà d’espressione” in realtà sembra nascondere la volontà di orientare il dibattito. Seguendo il vento del ritorno di Trump.
L’impatto di Trump
Paradossalmente, questa stessa accusa veniva fatta dagli estremisti di destra a Twitter e Meta, quando per esempio veniva tolta la visibilità alla disinformazione sul Covid o quando Trump veniva bannato, con l’accusa di aver incitato alla rivolta del Congresso. La scorsa primavera Meta era stata accusata di togliere visibilità ai contenuti politici, quasi a volersi differenziare da X. O quanto meno, quasi preferisse non sbilanciarsi, in attesa dell’esito del voto.
Dopo la vittoria di Trump, il cambio di atteggiamento è stato annunciato pubblicamente da Zuckerberg. Mente alcuni aspetti sono stati dichiarati – come lo smantellamento del programma di “fact checking” – non è ancora chiaro se questo avrà delle influenze sull’algoritmo. I primi segnali sembrano andare in questo senso: se così fosse, la propaganda di Trump avrà questa volta un impatto mediatico senza precedenti.
Non ci sarà solo la controinformazione, fatta da decine di podcast e siti amatoriali: il nuovo presidente degli Stati Uniti potrà contare su un colosso mediatico senza precedenti.
Il potere digitale
Le immagini di questi giorni sono ovviamente coerenti con questo discorso. Durante l’inauguration day, lunedì, le prime file sotto alla cupola del Congresso erano occupate dai vari potentati della tecnologia: c’erano i ceo di Apple, Google e Meta. Jeff Bezos, fondatore di Amazon, è anche l’editore del Washington Post. Elon Musk si occuperà dell’efficienza governativa e dal palco ha incitato i sostenitori di Trump facendo il saluto romano. Anche il futuro di TikTok negli Stati Uniti dipende dalle decisioni di Trump.
Il web era nato come porto franco della discussione libera: un posto dove chiunque poteva crearsi un sito per esprimere le proprie opinioni. In un certo senso, virtualmente tutto questo è ancora possibile. Alcuni colossi hanno però nel frattempo assunto una posizione così dominante da rappresentare un monopolio di fatto.
Il fatturato combinato di Apple, Google e Meta supera il Pil di nazioni come Grecia e Portogallo. La sensazione è che questo potere smisurato sia ora saldo nelle mani del nuovo presidente degli Stati Uniti.
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