L’Idf ha distrutto gran parte delle strutture sanitarie, ma diverse ong - tra cui Emergency - continuano a fornire assistenza alla popolazione. Tra gli operatori c’è Irdi Memaj, nella clinica della ong nella Striscia dal 12 agosto: «I bombardamenti non sono mai cessati. Nella distruzione la vita continua anche in modi surreali. Farmaci e materiali non arrivano, aspettiamo ancora ordini di un anno fa»
Mentre Hamas riflette sull’ultimatum concesso dal presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e la flotta della Global Sumud Flotilla è stata abbordata dalla Marina israeliana, a Gaza l’Idf non ha fermato i bombardamenti e continua ad assediare - anche via terra - Gaza City. Ogni giorno che passa aumenta il numero dei palestinesi uccisi, quasi 66mila alla vigilia dei due anni dal 7 ottobre 2023.
In questo tempo l’esercito israeliano ha distrutto gran parte delle strutture sanitarie, ma diverse ong continuano a lavorare con operatori per fornire servizi di assistenza alla popolazione. «Più della metà degli ospedali della Striscia è fuori servizio o danneggiato. Molti non funzionano per mancanza di carburante o per i bombardamenti. È una situazione estremamente complicata», racconta Irdi Memaj, 33enne medico di Emergency che dal 12 agosto lavora nella clinica presente nel centro-sud della Striscia vicino Khan Younis. I progetti della ong vanno avanti anche grazie alle raccolte fondi come quella che si terrà dal 3 al 5 ottobre.
È la sua prima missione a Gaza.
Da casa vedi solo le notizie peggiori concentrate in pochi minuti. Qui invece incontri persone che, nonostante tutto, hanno una grande resistenza e cercano di andare avanti. La vita continua anche in modi surreali, dentro la distruzione. Non riesci a capire davvero cosa significhi questa guerra finché non ci sei dentro.
Quanto dura una missione in media?
Circa due mesi e mezzo, per preservare lo stato psicofisico del personale. Ma non possiamo paragonarci ai nostri colleghi palestinesi: loro vivono così da anni.
Cosa vi dicono i colleghi?
Molti vivono in tenda. Alcuni hanno dovuto evacuare anche 15-20 volte in due anni. Alcuni avevano famiglia a Gaza City, ma nelle ultime settimane sono stati costretti a spostarla a sud. Le loro condizioni sono pessime: non trovano cibo, non mangiano uova da mesi, hanno perso parenti e spesso ricevono ordini di evacuazione improvvisi. Significa che in cinque minuti devono uscire senza portarsi nulla, aspettare il bombardamento per strada e poi, se possono, tornare.
Qual è il suo lavoro quotidiano?
Emergency in questo momento ha una clinica a Khan Younis nel centro-sud della Striscia. Ci occupiamo principalmente di salute primaria, stabilizzazione e trasferimento dei pazienti. L’équipe internazionale è composta da due medici, infermieri, un logista e un capo missione, a cui si aggiunge lo staff nazionale palestinese: quattro medici, una ginecologa, un’ostetrica, sette infermieri e altro personale di supporto. Seguiamo sia pazienti cronici - diabete, asma, ipertensione - che acuti, come infezioni respiratorie, e ci occupiamo anche di ferite da guerra. Non facciamo chirurgia, ma gestiamo il follow-up dopo gli interventi. Inoltre, abbiamo un programma nutrizionale per bambini sotto i cinque anni e per le donne in gravidanza o in allattamento.
Lavorare in un contesto bellico è estremamente complicato, ancora di più se non arrivano le medicine. Per lunghi mesi Israele ha bloccato le consegne?
Sì, mancano farmaci e materiali. Gli ordini vecchi di un anno non sono ancora arrivati. A volte dobbiamo sostituire il farmaco di prima linea con un principio attivo simile, adattandoci a quello che abbiamo. Vorremmo un ecografo o bombole di ossigeno, ma è quasi impossibile far entrare qualsiasi cosa nella Striscia.
Nelle scorse settimane l’Onu ha ufficializzato la carestia a Gaza. Ogni giorno ci sono uomini, donne e bambini che muoiono per fame. Quanti casi di malnutrizione arrivano nella vostra clinica?
In media, seguiamo ogni settimana 40-50 bambini malnutriti sotto i 5 anni. Non sono tutti nuovi casi: una parte è in follow-up, ma tra i 10 e i 20 sono nuovi pazienti. Noi trattiamo i casi moderati: diamo cibo terapeutico alle madri e facciamo controlli settimanali. I casi gravi, che richiedono ospedalizzazione, devono essere trasferiti.
Lei è arrivato nella Striscia prima dell’invasione via terra di Gaza City. Cosa è cambiato da quel momento?
In clinica vediamo più pazienti, perché chi scappa dal nord deve continuare le cure e viene da noi. I bombardamenti non sono mai cessati, li sentiamo ogni giorno e a ogni ora. Con l’offensiva di terra la situazione è peggiorata ulteriormente, soprattutto per gli sfollati. Ogni giorno percorriamo la strada costiera per andare in clinica e il numero di tende aumenta sempre di più, fino a diventare claustrofobico. Le tende sono ovunque, nella spiaggia, sui marciapiedi, anche in posti dove è impensabile poter metterne una.
Avete mai ricevuto attacchi da parte dell’esercito israeliano?
La nostra casa e la clinica sono registrate come “protette”, ma a fine agosto un drone ha colpito l’abitazione accanto alla nostra. L’esplosione ha danneggiato il muro e alcune finestre, ci sono stati morti. Noi siamo rimasti illesi. Pochi giorni fa un altro bombardamento ha colpito a circa 300 metri, uccidendo sei persone, tra cui un bambino e un giornalista.
Dal 3 al 5 ottobre in oltre 400 piazze italiane Emergency venderà “Un Cantuccio per la pace” per sostenere il suo impegno medico a Gaza.
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