Kathryne Bomberger, direttrice generale della Commissione internazionale per le persone scomparse (Icmp), ha lavorato in Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Armenia, Iraq, Libia, Ucraina, solo per citare alcuni paesi, aiutando le istituzioni locali e internazionali e la società civile a sviluppare le capacità e gli strumenti per affrontare la questione trasversale delle persone scomparse. Ma ora la sfida è più complessa
A una ventina di chilometri da Damasco una fossa comune, grande come diversi campi da calcio, contiene migliaia di corpi senza nome. Sono le vittime della violenza del regime di Bashar al Assad, ex dittatore siriano rovesciato dal gruppo armato Hayat Tahrir al Sham lo scorso 8 dicembre. «Per oltre un decennio i corpi, compresi quelli di donne e bambini, soprattutto bambini nati da stupri all’interno delle prigioni del regime, venivano scaricati qua due volte a settimana» dice Kathryne Bomberger, appena rientrata da una missione a Damasco. Di esperienze di post guerra Bomberger ne ha un bel po’ alle spalle. Eppure descrive il massacro che ha visto in Siria come «inimmaginabile».
Direttrice generale della Commissione internazionale per le persone scomparse (Icmp), Bomberger ha lavorato in Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Armenia, Iraq, Libia, Ucraina, solo per citare alcuni paesi, aiutando le istituzioni locali e internazionali e la società civile a sviluppare le capacità e gli strumenti per affrontare la questione trasversale delle persone scomparse.
Un processo complesso
Nonostante tutta questa esperienza, sa che questo processo in Siria sarà estremamente complesso. Il paese è stato per più di cinque decenni sotto la dittatura della famiglia al Assad, dal 2011 in preda a una guerra civile, ha vissuto la violenza dell’Isis e si è poi trasformato in un violento narcostato. Le stime sulle persone scomparse variano tra le 1.500.000 delle Nazioni unite alle più di 200.000 del Network siriano per i diritti umani.
Un compito impegnativo per le nuove autorità siriane, che si trovano alla guida di un paese devastato e che alle famiglie degli scomparsi dovranno restituire quando possibile i corpi, la verità su quanto successo e, infine, assicurare i colpevoli alla giustizia.
C'è però un grande esempio a cui guardare: quello della Bosnia-Erzegovina. All’indomani della guerra che tra il 1992 e il 1995 ha lacerato il paese, 100.000 erano le vittime e tra queste circa 31.500 persone scomparse. A oggi, circa il 75 per cento di quelle persone sono state identificate, un grande risultato che è stato raggiunto anche grazie agli sforzi dell’Icmp e alla collaborazione con le istituzioni statali.
Il precedente della Bosnia-Erzegovina
«Anche se le circostanze sono diverse, il modo in cui si ritrovano le persone scomparse è lo stesso ed è sempre una responsabilità dello stato», spiega Bomberger, sottolineando che esiste un corpo di leggi internazionali ben definito sul tema. Tra questi la Convenzione internazionale contro le sparizioni forzate, che impone agli stati l’obbligo di prevenire, investigare e punire questi crimini, riconoscendo alle famiglie il diritto alla verità.
In Bosnia-Erzegovina, lo stato di diritto è stato il fulcro centrale del processo. Le istituzioni statali hanno creato in primis un corpo di leggi chiaro da cui è nato l’Istituto per le persone scomparse della Bosnia ed Erzegovina con il mandato di ritrovare tutte le persone scomparse, indipendentemente dalla loro origine etnica, religiosa o nazionale e dal loro ruolo durante la guerra.
L’Istituto ha provveduto alla creazione di un archivio centrale in cui tutte le informazioni, raccolte grazie alle testimonianze dei parenti delle vittime e accompagnate da analisi del loro patrimonio genetico, sono state catalogate per essere poi confrontate con le informazioni e il Dna estratto dai resti dei corpi che ancora oggi vengono ritrovati sul territorio della Bosnia-Erzegovina. É questo il sistema che ha permesso di identificare una percentuale così alta delle persone scomparse e che ha fornito parte dell’evidenza necessaria ad assicurare tanti dei principali responsabili dei crimini di guerra e del genocidio alla giustizia.
Il nuovo governo siriano
Le nuove autorità siriane hanno promesso che verrà fatta luce sulle torture e le uccisioni dei prigionieri del regime e che i responsabili verranno puniti. «Li perseguiremo in Siria e chiediamo ai paesi di consegnare coloro che sono fuggiti in modo che giustizia possa essere fatta», ha dichiarato l’11 dicembre, tre giorni dopo la caduta di Bashar al Assad, il leader di Hayat Tahrir al Sham, Ahmed al Sharaa.
Dal 29 gennaio al Shaara ha assunto il ruolo di presidente di transizione della Siria. Prima di diventare il liberatore del paese, al Sharaa è stato il fondatore del fronte di al Nusra, organizzazione jihadista legata ad al Qaeda, a sua volta responsabile della sparizione di un numero imprecisato di persone.
Bomberger nel suo viaggio è stata a colloquio con diversi membri della nuova amministrazione. Si dice fiduciosa della volontà del governo di gettare luce sulle sparizioni e di avviare un processo di giustizia e riconciliazione. Le garanzie che questo sarà fatto a prescindere dall’affiliazione etnica e politica delle vittime e dei carnefici, spiega, passeranno principalmente dai meccanismi legali che verranno creati.
L’Icmp
Icmp lavora sulle persone scomparse in Siria dal 2016: tutte le informazioni raccolte da allora grazie alle testimonianze di circa 80.000 familiari delle vittime sono state ordinate in un archivio. Una volta ricevute le giuste garanzie e con il permesso dei familiari, l’archivio verrà fornito alle autorità siriane che da qui potranno iniziare il processo. A oggi i dati riguardano circa 30.000 scomparsi e le località di 70 fosse comuni disperse sul territorio siriano.
Tra questi 30.000 non ci sono solamente persone scomparse in Siria, ma anche tutti quei siriani di cui si sono perse le tracce nel loro viaggio verso l’Europa. Come Maysoon Karbijha, scomparsa il 24 agosto del 2014 nella traversata dalla Libia all’Italia. La sorella Batoul Karbijha, regista e documentarista, da allora cerca il suo corpo e la verità sulla sua sparizione, scontrandosi con l’indifferenza dello stato italiano.
Nel 2024 ha fondato per questo scopo l’Associazione delle famiglie dei richiedenti asilo scomparsi. «Riponiamo molta speranza nel ruolo delle istituzioni internazionali nell’aiuto alla ricerca dei nostri familiari scomparsi» dice. E sottolinea che nella ricerca della verità bisogna partire «da noi, dalle famiglie delle vittime. Siamo noi gli esperti delle nostre sofferenze e qualunque processo di giustizia deve tenerci in considerazione».
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