C’è un finanziere che da anni fa tremare i manager di grandi partecipate di Stato, i cda di colossi come Leonardo e Monte dei Paschi di Siena, grandi gruppi industriali come Vivendi e Mediobanca, finanche alti magistrati (come l’ex capo della procura di Milano Francesco Greco) finiti indagati anche a causa sua. Il suo nome è Giuseppe Bivona, 57 anni e natali romani, co-fondatore nel 2012 di una società di investimento con sede a Londra, la Bluebell Partners.

Ex dirigente della Goldman Sachs, della fallita Lehman Brothers e della Morgan Stanley, Bivona ha rinnegato il suo passato da figlio dei poteri forti e ha cominciato a giocare una partita tutta nuova, vestendo i panni di un Savonarola a caccia di chi – dentro le banche e le grandi spa – fa solo i propri interessi, invece di massimizzare il valore di società mal gestite e con strutture di governance opache. In gergo finanziario Bivona è uno speculatore “attivista”, che si muove talvolta in proprio talvolta attraverso un fondo d’investimento (si chiama sempre Bluebell come la società di consulenza) che ha fondato nel 2019 insieme a Marco Taricco e l’ex top manager di Bulgari Francesco Trapani.

Strategie

Leggendo cronache e documenti assembleari, il modus operandi di Bivona è semplice: comprare poche azioni di grandi aziende, poi – fuori e dentro l’assemblea dei soci - prendere di mira i manager, chiedendo conto delle loro scelte e del loro operato. E organizzando delle campagne aggressive attraverso lettere, esposti, denunce e richieste di risarcimento. I suoi antagonisti sono i dirigenti che «falsificano i bilanci» o «incapaci di creare valore», i burocrati del ministero dell’Economia rei di coprire i potenti, i vertici della Consob e Banca d’Italia che non controllano come dovrebbero.

I giornali quando parlano delle sue gesta usano lo storytelling classico del “Davide contro Golia”, e non è un caso che in politica Bivona abbia ammiratori soprattutto tra i grillini: suoi fan accaniti sono Carla Ruocco, presidente della commissione parlamentare sul sistema bancario, Elio Lannutti o l’ex sottosegretario Riccardo Fraccaro, che lo considerano un cavaliere bianco capace di sconfiggere i marci potentati finanzieri del paese.

In effetti, quando si muove Bivona si fa notare. Come raccontato ieri da Domani, è indubbio che l’ingegnere la guerra più aspra la stia combattendo contro Mps e i vuoi vecchi amministratori, Alessandro profumo in primis. Già condannato in primo grado per la gestione dei derivati Santorini ed Alexandria, l’attuale numero uno di Leonardo oggi è indagato dai pm di Milano pure per presunti “crediti deteriorati” non svalutati in bilancio. I termini dell’inchiesta scatteranno a fine mese, ma in attesa della decisione dei magistrati è certo che Bivona – con le sue denunce a raffica – abbia contribuito in modo determinante al possibile rinvio a giudizio del banchiere. Non solo: il capo di Bluebell con una serie di esposti ha portato la procura di Brescia a indagare tre pm milanesi (già archiviati) e l’ex procuratore capo Francesco Greco, rei secondo Bivona di non aver fatto bene il loro lavoro per proteggere Profumo e l’ex ad Fabrizio Viola.

Le accuse di Morelli

Ma chi è davvero l’ex Goldman Sachs fulminato sulla via della finanza etica? Un difensore dei diritti dei risparmiatori o un personaggio più controverso di quanto appaia? Domani ha letto centinaia di carte processuali, verbali di consigli di amministrazione e contenziosi che disegnano un profilo non banale del finanziere.

Partiamo per esempio da un verbale inedito della seduta del cda del 21 giugno del 2018. Al tempo l’amministratore delegato è Marco Morelli. La Bluebell di Bivona, con appena 25 azioni, da tempo sta martellando la banca con azioni civili e penali in merito a presunti falsi in bilancio che avrebbero contribuito al tracollo della banca.

Nel 2015 Mps Profumo aveva deciso di contrattaccare, facendo causa per diffamazione contro Bivona per 30 milioni (una cifra insensata), che aveva subito risposto proponendo una causa riconvenzionale da 22 milioni. Quando Morelli prende il posto dei predecessori, decide di incontrare il finanziere per provare a chiudere il contenzioso. «L’incontro con il socio Bluebell è avvenuto a seguito di un primo incontro tra i rispettivi legali, nel quale era stata ipotizzata una transazione» si legge nel verbale che sintetizza la relazione di Morelli.

«Durante il colloquio l’ingegner Bivona ha ricordato che, in un eventuale accordo transattivo, potrebbe essere compresa anche una disponibilità di Bluebell a evitare aggressioni nei confronti della banca anche in occasione di altri procedimenti penali nel cui contesto Bluebell si è già costituita parte civile». Secondo il verbale, dunque, Bivona avrebbe chiesto soldi a Morelli per chiudere cause a Roma e Milano, e in cambio avrebbe deposto l’ascia di guerra.

Possibile che il paladino dei piccoli risparmiatori abbia proposto davvero il do ut des citato da Morelli? Possibile che un finanziere etico si sia trasformato in una sorta di disturbatore d’assemblea 2.0, chiedendo transazioni economiche a cinque o sei zeri per smettere di rompere le scatole? Il verbale continua: «L’amministratore delegato Morelli aggiunge che, mentre sarebbe teoricamente possibile una eventuale transazione sulla causa per diffamazione, una transazione in merito alla costituzione di parte civile nel procedimento presso il tribunale di Milano potrebbe costituire un indebolimento delle posizioni della banca, poiché una dazione di denaro a tale soggetto costituirebbe un pericoloso precedente nelle centinaia di investitori che hanno chiesto risarcimenti alla banca». Quando uno dei consiglieri domandano a Morelli quale potrebbe essere il vantaggio di un’ipotetica transazione, l’ex ad risponde secco: «Il vantaggio di una transazione consisterebbe nell’evitare di inasprire i rapporti con Bivona».

L’accordo alla fine non ci fu. Ma dopo un anno e mezzo il cda affronta nuovamente la spina nel fianco Bluebell. È il 28 novembre 2019. Morelli, segnala il documento, prima ricorda ai consiglieri come abbia cercato con Bivona «il dialogo, arrivando persino ad incontralo». Poi aggiunge che «dopo tale tentativo lui stesso sia stato oggetto di attacchi personali da parte dell’ingegner Bivona, avendo l’ad e il consiglio stabilito di non procedere nella costituzione di parte civile della banca nei confronti di Profumo e Viola né di aderire alla sua proposta di accordo transattivo».

Sentito al telefono, Bivona smentisce qualsivoglia atteggiamento ricattatorio: «È falso. Io non ho mai chiesto di fare nessuna transazione. Fu Morelli a chiamarmi per sapere se volevo fare un accordo, ma solo sulla questione delle diffamazioni incrociate, non su altro. Non c’è mai stata discussione economica, nemmeno tra i nostri legali. Non so cosa Morelli abbia raccontato al cda, le ricordo però che io l’ho già denunciato per falsa testimonianza in un processo».

È un fatto che le varie cause tra Bluebell e Mps siano poi andate avanti. Per la cronaca, nessuno ha finora dato conto che è stato proprio Bivona a perdere il primo grado al tribunale civile in merito al contenzioso sulla presunta diffamazione. I giudici romani lo hanno condannato a pagare 3mila euro per alcune dichiarazioni ritenute offensive sulla banca. «Ho fatto ricorso, mentre Mps no: se volevano 30 milioni, perché si accontentano di 3mila euro che nemmeno mi hanno ancora chiesto?»

Consulenze

Torniamo ai documenti interni dell’istituto di Rocca Salimbeni. Nel verbale di novembre 2019 si parla anche dei «conflitti di interessi» di Bivona. In effetti se da un lato nelle sue missive alle procure, alla Consob, al Mef (in alcune lettere recenti all’ex Giuseppe Conte e Riccardo Fraccaro se la prende con l’attuale direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera e l’ex dg Vincenzo La Via) il finanziere si definisce come semplice «“azionista” e “contribuente”», il documento evidenzia che risulta contemporaneamente «consulente di investitori istituzionali» che hanno chiesto alla banca centinaia di milioni di euro di risarcimento.

Si tratta del fondo inglese Alken (che ha chiesto 450 milioni di danni a Mps, perdendo la causa in primo grado), e degli americani del fondo York e York che hanno fatto causa alla banca senese per oltre 186 milioni di euro. Al di là del merito contabile, la questione è: può un paladino dei piccoli azionisti che si rifà costantemente all’etica e alla morale avere un interesse economico sottostante e poi riuscire a mantenere credibilità nelle sue battaglie?

Bivona a Domani non nega di aver firmato con Alken e York dei contratti con success fee (visto le cifre in gioco, in caso di vittoria finale in tribunale i suoi profitti sarebbero probabilmente milionari), ma spiega che non c’è alcun conflitto di interessi: «Faccio solo il mio lavoro, come lei fa il giornalista. Mi occupo di finanza, e niente vieta a un socio di essere advisor per altre società. L’etica? Le ricordo che il mio fondo “attivista” nasce nel 2019, mentre le mie attività di consulenza molto prima. Sono due cose distinte».

L’ingegnere è sicuro di se, e delle critiche dei nemici non se ne cura più di tanto. Oltre a Mps, negli ultimi tempi Bluebell si è mossa nel sancta sanctorum del capitalismo italiano Mediobanca («serve un consiglio più indipendente», disse nel 2020), su Vivendi («deve pagare agli azionisti 3,3 miliardi di dividendi quando scorporerà Universal Music»), su Hitachi. Perfino sul colosso francese Danone, dove l’anno scorso l’ad Emmanuel Faber, considerato fino ad allora uno dei manager più potenti di Francia, è stato silurato dopo una campagna iniziata proprio da Bivona, che lo accusava di non fare abbastanza utili. La caduta di un dio, metafora definitiva di quanto possono influire sul management i fondi “attivisti” più coraggiosi. O, dicono i malpensanti, più spregiudicati.

 

© Riproduzione riservata