Il colloquio telefonico della scorsa settimana fra il presidente Vladimir Putin e il suo omologo americano, Joe Biden, non si è concluso, come era prevedibile, con un accordo: sono state ribadite le reciproche e distanti posizioni sulla “questione ucraina”.

Da un lato, Biden ha affermato che gli Stati Uniti non intendono schierare armi offensive e non tollerano la presenza delle forze armate russe al confine con l’Ucraina.

In caso di invasione, l’amministrazione americana interverrebbe, quindi, con ulteriori e più mirate sanzioni economiche verso la cerchia ristretta dei sostenitori del Cremlino.

In risposta, il presidente Putin, che non accetta l’ipotesi di un’adesione dell’Ucraina (e della Georgia) alla Nato, ha precisato che ulteriori sanzioni potrebbero portare alla rottura delle relazioni diplomatiche tra i due paesi.

Putin auspica buone relazioni con l’Ucraina, ma ritiene che il paese sia in “ostaggio” delle forze radicali ed estremiste che distruggono qualsiasi tentativo di dialogo. Tradotto in sintesi: il problema è, anche, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, che oscilla tra dichiarazioni di guerra alla Russia e la volontà di riprendere gli accordi di Minsk nel contesto del “formato Normandia”.

Con queste premesse, il summit tra le delegazioni Usa-Russia a Ginevra è terminato con un nulla di fatto e l’incontro con la Nato conferma l’incomunicabilità delle parti su una questione (l’adesione dell’Ucraina), che, tra l’altro, non è immediata e priva di ostacoli, come un eventuale veto da parte di qualche membro dell’Alleanza.

La questione ucraina

Russian troops take part in drills at the Kadamovskiy firing range in the Rostov region in southern Russia, Friday, Dec. 10, 2021. Russian troop concentration near Ukraine has raised Ukrainian and Western concerns of a possible invasion that Moscow has dismissed. (AP Photo)

Allora la Russia invaderà l’Ucraina? Sinora la pubblicistica occidentale predominante si è basata sull’equazione “presenza militare = invasione”.

Ma è veramente quello che vuole la Russia di Putin? Per rispondere a questa domanda possiamo ricorrere alle dichiarazioni del presidente russo sui rapporti tra la Russia e l’occidente, espresse durante la conferenza annuale dello scorso 23 dicembre alla presenza di oltre cinquecento giornalisti.

Il punto dirimente per il presidente Putin è il seguente: «Se metteranno i sistemi missilistici in Ucraina, in cinque minuti Mosca è in pericolo (…). Le nostre azioni non dipenderanno dal corso dei negoziati, ma dalla necessità di garantire la sicurezza incondizionata alla Russia. Abbiamo chiarito che il movimento della Nato verso est è inaccettabile.

Gli Stati Uniti si trovano con i loro missili sulla soglia di casa nostra. È forse una richiesta eccessiva quella di non installare sistemi di attacco nelle prossimità di casa nostra? Come reagirebbero gli americani se venissero dispiegati missili lungo il confine con il Canada o il Messico? Non siamo noi ad essere arrivati ai confini degli Stati Uniti e della Gran Bretagna. Siete voi ad essere venuti da noi; siete voi che dovete fornire garanzie».

Alla domanda «che cosa non capisce l’occidente della Russia?», il presidente russo ha risposto: «Cosa non capisce: a volte mi sembra che viviamo in un mondo parallelo. Le ho appena detto delle ovvietà: come si fa a non capirle? Hanno detto: non ci espanderemo e si stanno espandendo. (…) Nel lontano 1918 uno dei consulenti del presidente T.W. Wilson disse: “Il mondo intero sarà più tranquillo se al posto della grande Russia di oggi apparirà uno stato in Siberia e altri quattro Stati nella parte europea”. Nel 1991 ci siamo divisi in dodici parti, giusto? Ma l’impressione è che questo non sia abbastanza per i nostri partner: la Russia è troppo grande, (…) anche dopo il crollo dell’Urss, dove sono rimasti solo 146 milioni di persone. Mi sembra che solo questo possa spiegare una pressione così costante».

E ha aggiunto che dopo il crollo dell’Urss si è «fatto di tutto per costruire relazioni normali con l’occidente e con gli Stati Uniti. I rappresentanti dei servizi segreti americani erano presenti quotidianamente presso le strutture del nostro complesso nucleare. Era necessario trattare la Russia come un possibile alleato, rafforzarla. No, è successo il contrario e, poi, hanno cominciato ad espandere la Nato verso est. Naturalmente abbiamo detto: non farlo, ci hai promesso di non farlo. Ci viene detto: dove sta scritto, su un pezzo di carta? Non c’è? Chi se ne importa delle vostre preoccupazioni e avanti con le ondate di espansione».

Risultati già ottenuti

Diverse sono state le occasioni pubbliche in cui Putin ha affermato che non vi sarà alcuna invasione russa nel Donbass.

D’altronde, l’escalation militare ai confini dell’Ucraina ha già consentito al Cremlino di ottenere buoni risultati. Con lo “spirito di Ginevra” dell’incontro Biden-Putin dello scorso giugno e, nuovamente, in questi giorni con i colloqui con gli Usa e la Nato, Putin può dimostrare all’opinione pubblica che i tempi dell’umiliazione post sovietica della presidenza di Boris Eltsin sono terminati.

La Russia non è più politicamente, economicamente e militarmente debole, ma è «finalmente» riconosciuta come interlocutore alla pari, una grande potenza che ha un ruolo rilevante nella politica internazionale.

Inoltre, il Cremlino è consapevole che un intervento militare avrebbe conseguenze negative, soprattutto per la stabilità economica e, quindi, politica del paese.

E anche i sondaggi non sono favorevoli ad un intervento militare. Il governo russo può già essere soddisfatto di aver annesso («per volontà dei cittadini») la Crimea, garantendosi uno sbocco strategico sul Mar Nero e il controllo del Donbass, un territorio che sino al 2014 rappresentava il 20 per cento del Pil e il 25 per cento delle esportazioni dell’Ucraina.

La vera posta in gioco

Come spiegare, quindi, la “minacciosa” presenza militare russa? Una prima motivazione è di natura strategica: Putin ha semplicemente alzato la posta in gioco per cercare di ottenere altri obiettivi.

Il primo è il “dialogo alla pari” con gli Usa e il secondo, decisamente più ambizioso, è una ridefinizione delle legittime sfere di influenza geopolitica.

Non si tratterebbe, quindi, di una ricostruzione dell’Urss, soprattutto dal punto di vista politico-istituzionale, come frettolose e semplicistiche analisi stanno spiegando, bensì di una visione strategica dell’ordine internazionale dopo la fine dell’unilateralismo (per i russi «imperialismo») americano.

E l’Ue, sinora esclusa ai tavoli del confronto? Anche in questo caso è stata lungimirante l’analisi del presidente Putin. «La sudditanza politica americana» dell’Ue è stata controproducente sia per la sua coesione interna, con il rischio sempre più concreto di una sua disgregazione, sia per il mancato ruolo di forza equilibratrice fra occidente e oriente che avrebbe potuto ricoprire.

Il gigante economico europeo ha dimostrato di essere politicamente debole e sembra essere troppo tardi per recuperare la posizione che gli spetta per storia, cultura e valori nell’assetto internazionale.

Rischia, così, di non essere più il soggetto di costruzione della pace, ma luogo di conflitto tra due ambizioni imperialistiche. È proprio il caso di dire che tra i due litiganti, questa volta il terzo rischia di non godere.

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