Da gennaio 2025 nel paese sono scomparse circa 12mila persone. Tra le cause principali la tratta e l’accettazione generalizzata della violenza di genere. L’organizzazione umanitaria Cesvi, che qui opera da 25 anni, racconta di storie e numeri in costante aumento tra gravidanze e unioni precoci
Desaparecidos. Un termine tristemente noto nella storia dell’America latina. È stato usato soprattutto per le vittime politiche degli anni Settanta e Ottanta, ma ancora oggi in Perù scompaiono migliaia di persone. Dall’inizio dell’anno si sono perse le tracce di 12mila peruviani. Una media di 50 denunce al giorno. Circa la metà è stata individuata, ma il destino degli altri e delle altre rimane ancora ignoto. Tra loro il 58 per cento sono donne e il 52 per cento sono bambini: è la categoria più colpita quando si parla di tratta di esseri umani, violenza, sfruttamento e abusi sessuali.
I numeri a Lima sono in costante crescita rispetto al passato. Tra 2005 e 2007 le segnalazioni totali di persone scomparse erano circa 2.500, mentre tra 2021 e 2023 il numero è salito a 21.963.
Sono spesso minori vittime di prostituzione, un fenomeno che «è sempre stato evidente nelle strade», spiega Roberto Vignola, vicedirettore generale di Cesvi, un’organizzazione umanitaria per la tutela dei minori che opera nel paese da 25 anni. Qui ha aperto la Casa del sorriso, una struttura che accoglie ragazze vittime di violenza. Una di queste è Rud, che Vignola descrive come «poco più di una bambina nei movimenti, nel fisico esile e nella voce timida». Cesvi l’ha salvata dalla strada, dove a 12 anni era stata abbandonata dalla zia dopo la perdita di entrambi i genitori.
Casi come quello di Rud oggi sono meno diffusi nelle vie del paese e per questo sono più difficili da individuare. Spesso le sparizioni di queste ragazze sono collegate a pratiche illegali in Amazzonia. «Verso la foresta si muovono piccoli nuclei di avventurieri che aprono miniere d’oro illegali devastando l’ambiente. In parallelo a questo fenomeno, si sviluppa un mercato della prostituzione minorile fatto di rapimenti». Molte donne, spesso bambine, vengono prelevate dalle zone più povere, attirate con la promessa di un lavoro che poi si tramuta in sfruttamento sessuale.
Violenza domestica
Paulina ha vent’anni e viene da Huanuco, un piccolo villaggio delle Ande. Lì è nata e cresciuta con la famiglia della madre. A otto anni, Paulina ha cominciato a subire abusi da parte dello zio. Quattro anni di violenza, tra le mura domestiche, fino a quando è rimasta incinta. Nonostante i soprusi subiti, è riuscita a rifarsi una vita grazie a Cesvi, che spesso interviene là dove il governo non riesce. «Le azioni governative sono limitate e insufficienti», racconta Vignola, «perché dopo la maggiore età le vittime vengono abbandonate».
Gli strumenti giuridici esistono, come la Convenzione Belem do Parà, scritta dall’Organizzazione degli stati americani (Oas) nel 1994. Nel testo si parla di «prevenire, sanzionare e sradicare la violenza contro le donne». Tuttavia, l’instabilità politica dei governi della regione e la presenza di regimi semi dittatoriali in altri casi ha reso difficile legiferare davvero in ogni stato per adottare le contromisure più efficaci.
Si tratta anche di un problema strutturale, in una società che Vignola definisce «fortemente machista». Un report di Defensoria del Pueblo de Perù registra un’altissima tolleranza nei confronti della violenza di genere: circa il 75 per cento della popolazione accetta come normali queste pratiche.
Violenza e femminicidi: numeri in aumento
L’America latina ospita 14 dei 25 paesi con il numero più alto di femminicidi a livello globale, come riporta l’agenzia delle Nazioni unite per la salute sessuale e riproduttiva (Unfpa). Solo in Perù nei primi mesi del 2025 si è registrata una crescita dell’11,4 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Nello stesso arco di tempo, i Centri di emergenza per le donne (Cem) del Ministero delle donne e delle popolazioni vulnerabili (Mimp) hanno gestito 6.677 casi di violenza sessuale a livello nazionale. Se continua questa tendenza si stima che il paese a fine anno registrerà più di 13mila denunce di stupri, superando i dati del 2024. La metà di questi casi sono ragazze minorenni.
Gravidanze precoci
La violenza spesso non si limita al trauma fisico e psicologico, ma prosegue nella maggior parte dei casi con gravidanze precoci. Un terzo delle gravidanze in America latina sono portate avanti da ragazze minorenni, che, nel 20 per cento dei casi, hanno meno di 15 anni. «Molte sono frutto di violenze domestiche o scolastiche», spiega Vignola. Madri prima del tempo, troppo presto smettono di essere figlie.
Inoltre, in molti dei paesi latino-americani, compreso il Perù, l’aborto è illegale. Spesso viene praticato dalle cosiddette mamas, finte ostetriche che operano in condizioni igienico sanitarie non sicure. «Una ragazza ci ha raccontato che alcune amiche le consigliarono una di queste truffatrici», dice Vignola. «Per fortuna è stata fermata in tempo dalla madre che aveva giù usufruito in passato della nostra assistenza».
Nonostante l’esistenza di queste pratiche, nei paesi dell’America latina l’aborto non è una pratica culturalmente diffusa e per questo molte delle gravidanze vengono portate a termine da bambine che poi dovranno accudire senza i mezzi adeguati altri bambini.
Unioni precoci
Quando si parla di unioni precoci, l’America Latina e i Caraibi registrano una stagnazione dei numeri negli ultimi 25 anni: per l’Unfpa un’adolescente su quattro si sposa prima dei 18 anni. Sono già 15 i paesi che lo hanno vietato, l’ultimo a metà settembre è stato la Bolivia. Oltre a Sucre hanno già agito in questa direzione Colombia, Cile, Messico e, alla fine del 2023, anche il Perù. Per l’Unicef i matrimoni precoci sono una violazione dei diritti umani perché i minori coinvolti sono costretti a contrarre unioni non consenzienti, da cui emergono servitù domestica e sessuale. Le vittime sono così assoggettate alle condizioni imposte dal marito, dominante dal punto di vista culturale, economico e sociale.
Tutto questo rafforza la povertà economica e culturale che si trasmette di generazione in generazione, perché nella maggior parte dei casi costringe a interrompere gli studi e limita la possibilità di migliorare la propria condizione sociale. Per questo Cesvi si occupa anche di formare lavorativamente le vittime, per garantire loro un futuro. «Con la Casa del sorriso abbiamo aperto un ristorante sociale», racconta il vicedirettore, «Come Con Causa è gestito solo da ex beneficiarie dei nostri servizi di assistenza e garantisce un inserimento lavorativo sicuro».
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