L’annuncio ufficiale da parte di Regno Unito, Italia e Giappone dell’accordo di cooperazione nell’ambito del Global combat air programme (GCAP) – la nuova cornice multinazionale per il cosiddetto programma Tempest - giunge in un momento critico non solo per via del mutato assetto securitario europeo, ma anche in virtù della rinnovata attenzione al tema della difesa all’interno del vecchio continente, e non solo.

La notizia rappresenta una tappa fondamentale di un percorso le cui origini risalgono al luglio 2018, quando un primo modello in scala reale del “caccia madre” fu presentato dal Regno Unito in occasione del Farnborough International Airshow.

Da allora, i progressi sono arrivati soprattutto grazie all’allargamento del progetto con l’ingresso di partner internazionali di primo piano come l’Italia nel 2019 e, più recentemente, il Giappone.

Il programma Tempest

Nato in origine come la punta di diamante della cosiddetta Air Combat Strategy britannica – a sua volta tesa ad aggiornare e rilanciare il settore aerospaziale nazionale – il programma Tempest si è infatti trasformato in uno dei più ambiziosi progetti di cooperazione multinazionale nel campo della difesa.

Il coinvolgimento di nuovi partner ha permesso di consolidare l’iniziativa sotto molteplici punti di vista, dall’impegno politico dei tre paesi attualmente coinvolti alle capacità industriali, dal know-how tecnologico alle risorse finanziarie necessarie.

La partecipazione del Giappone, peraltro, non solo conferisce una vocazione veramente globale al Tempest, ma – come ha osservato Isabella Antinozzi – ne rafforza anche la sostenibilità finanziaria sul lungo periodo, rendendolo perciò attrattivo anche verso potenziali nuovi partner.

La scelta di Tokyo è altresì significativa poiché, da un lato, convoglierà all’interno del GCAP gli sforzi legati al programma nazionale F-X per lo sviluppo di un aereo di nuova generazione che sostituisca la flotta di oltre 90 caccia multiruolo F-2 entro il 2035; dall’altro poiché inaugura un nuovo filone di cooperazione militare con paesi europei in un contesto caratterizzato dallo storico e privilegiato rapporto con gli Stati Uniti.

In sostanza, il GCAP potrebbe segnare l’inizio di una partnership geopoliticamente senza precedenti tra il Giappone e l’Europa nell’ambito della difesa, soprattutto in una fase di aggiornamento delle politiche di difesa tanto a Tokyo quanto nelle capitali europee, e in cui il contesto securitario europeo non è più slegato da quello dell’Asia-Pacifico.

La cooperazione

Da una prospettiva più ampia, inoltre, il GCAP inaugura un nuovo ma assai più ambizioso capitolo nella storia della cooperazione multinazionale per la realizzazione di velivoli militari dopo le esperienze positive – seppur esclusivamente europee - del Panavia Tornado e dell’Eurofighter Typhoon.

Quest’ultimo rappresenta il più importante programma aeronautico a livello europeo, con 680 esemplari in uso presso nove paesi, e conferma la capacità dell’industrie nazionali di lavorare in sinergia, offrendo un importante precedente su cui affinare e migliorare la cooperazione per il GCAP grazie all’esperienza e il know-how comuni tra Italia e Regno Unito.

La continuità garantita dalla ormai cinquantennale collaborazione industriale (e militare) tra questi due paesi – non da ultima quella sulla nuova versione del radar AESA Captor-E per il Typhoon - ha indubbiamente facilitato l’adesione italiana al progetto, sfruttando capacità e conoscenze tecnologiche d’avanguardia che confluiranno nel Tempest, specialmente nei campi dell’elettronica avanzata, della sensoristica e delle tecnologie radar.

Aziende come Leonardo ed Elettronica, ad esempio, saranno in prima linea nel definire e creare l’architettura “neurale” e le capacità cyber del Tempest – ciò che rientra nell’Integrated sensing and non kinetic effects & Integrated communication system - mentre Avio Aero e MBDA lavoreranno rispettivamente al sistema di propulsione e agli effettori cinetici – ossia gli armamenti.

Sarà però tutta la filiera industriale della difesa italiana, insieme a partner dall’università, centri di ricerca e start-up nazionali e internazionali, a contribuire al progetto (e a beneficiarne), seguendo la direzione tracciata dal Team Tempest, una partnership strategica formata nel 2018 che riunisce la Royal Air Force e il consorzio industriale formato da BAE Systems, Leonardo UK, Rolls-Royce e MBDA.

Lo sforzo comune

In questo contesto, per molti può comunque sorgere spontanea la domanda sul perché i tre paesi coinvolti abbiano deciso di unire gli sforzi anziché perseguire strategie e progetti nazionali, specie su temi delicati e tradizionalmente “sovrani” come quello della difesa.

Come in altre occasioni, la risposta deriva non solo da visioni e obiettivi strategici condivisi, ma anche dalla natura stessa di un progetto di enorme portata come la costruzione di un nuovo aereo da combattimento, caratterizzata da una complessità tecnologica senza precedenti e da costi esorbitanti che ne hanno progressivamente dilatato il ciclo di acquisizione su decenni.

Basti pensare al caso dell’F-35, i cui primi prototipi iniziarono i test nei primi anni 2000 ma i ritardi legati a continue migliorie e integrazioni tecnologiche ne hanno rallentato considerevolmente sia la produzione a pieno regime, prevista per il 2023, sia la capacità operativa iniziale, giunta solo nel 2015 (per i Marines americani).

Con il GCAP, pertanto, l’obiettivo è quello di combinare le diverse conoscenze e capacità tecnologiche dei vari paesi, i rispettivi settori industriali, e le necessità militari al fine di creare un processo virtuoso a tutti i livelli che consenta di integrare le tecnologie più avanzate, accelerare lo sviluppo e la produzione del Tempest e, al contempo, attenuarne i costi complessivi, di fatto insostenibili per un singolo paese.

A tal fine si adotterà un approccio flessibile incentrato, da un lato, su una architettura “aperta” e modulare che consentirà una più facile integrazione delle tecnologie durante le diverse fasi di sviluppo, e dall’altro, sull’uso massivo della digitalizzazione – ciò che il ministro della Difesa britannico Ben Wallace ha definito “digital-first approach” – per testare costantemente un modello del sistema e le sue componenti in un ambiente virtuale, mitigando i rischi e anticipando eventuali oneri aggiuntivi.

Questo approccio innovativo risulta essenziale vista la quantità enorme di tecnologie e sub-componenti che costituiscono un vero e proprio ecosistema tecnologico.

Al contempo, la convergenza tra il nostro paese e il Regno Unito nel programma GCAP è stata possibile anche grazie alle affinità operative maturate nell’uso dell’Eurofighter e, più recentemente, dell’F-35, soprattutto per quanto concerne la dottrina, l’esperienza di utilizzo e l’addestramento.

Anche in questo caso, dunque, è la cooperazione a fare da volano per nuove competenze e capacità operative, che si aggiungono ai benefici legati allo sviluppo tecnologico nazionale e al ritorno economico derivanti dalla cooperazione industriale.

Per programmi di simile portata, dunque, la dimensione multinazionale si dimostra sempre più essenziale. Questo, tuttavia, non esclude possibili rischi o problemi di svariata natura, di fatto intrinsechi a ogni tipo di cooperazione nel campo della difesa.

Per questa ragione, sarà importante stemperare eventuali strumentalizzazioni politiche e definire in maniera chiara e precisa la governance del progetto e i ruoli al suo interno.

Da questo punto di vista, le premesse per il successo ci sono tutte anche considerando la “pragmaticità” – nelle parole di Antinozzi – che accomuna gli approcci di Londra, Roma e Tokio alla cooperazione sui sistemi d’arma, a differenza della frequente politicizzazione emersa, ad esempio, nei rapporti tra Francia e Germania.

Scenari multidominio

L’importanza e l’unicità del programma Tempest, però, risiedono soprattutto nella dimensione militare. Parliamo infatti di una piattaforma dotata di capacità senza precedenti in cui il caccia madre – o core platform – rappresenta solo una componente, seppur quella principale, all’interno di quello che può essere considerato come un sistema di sistemi.

Questo includerà ad esempio piattaforme adjunct, in particolare droni, che agiranno in costante sinergia con il caccia madre e una vasta gamma di “sottosistemi” operanti nei vari domini operativi (terra, aria, acqua, spazio e cyber) con diversi gradi di autonomia, per garantire un monitoraggio ad ampio spettro del contesto operativo e la risposta più adeguata ai vari tipi di minaccia.

Il concetto alla base è quello della “distribuzione” del carico di missione per avere la massima flessibilità e scalabilità di azione e reazione necessarie nell’ambito delle operazioni multidominio, dove la più ampia ed efficace coordinazione possibile tra i diversi assetti coinvolti – siano essi il caccia madre, i satelliti, un sottomarino o un’unità corazzata - è cruciale per massimizzare l’impatto su un avversario sempre più capace. In termini più specifici, questa costante interazione e cooperazione - teaming - tra i vari sistemi del sistema si basa una sensoristica multispettrale e una capacità di comunicazione integrate in grado di pre-elaborare direttamente enormi quantità di dati e informazioni e condividerli in tempo reale e in sicurezza con l’intero ecosistema operativo e la catena di comando e controllo.

Complessivamente, tali capacità sono ormai imprescindibili in scenari operativi ad alta intensità in cui le possibilità di operare in sicurezza nei vari domini saranno sempre più limitate nello spazio e nel tempo dalla capacità dell’avversario.

Per questa ragione, il ruolo degli adjunct (definibili come gregari senza pilota) è quello di alleggerire il carico di missione del caccia madre e fungere da moltiplicatori di forza, assumendosi responsabilità come ricognizione, sorveglianza e – se necessario – attacco, per ragioni di efficacia, ottimizzazione delle risorse e resilienza del sistema complessivo in scenari ad alta minaccia. In virtù delle diverse necessità operative, gli adjunct dovranno avere caratteristiche diverse ma, nella maggior parte dei casi, costi di produzione e manutenzione contenuti.

Alcuni saranno più sacrificabili (expendable) per ruoli di attacco, interdizione, o scouting in profondità, altri riutilizzabili (attritable) e altri ancora più resistenti (survivable) viste le capacità e i costi più elevati che ne fanno dei potenziali sostituti di caccia tradizionali. In tutti i casi, l’interoperabilità e la modularità – in termini di missione e payloads – saranno essenziali.

Alla luce del mutato scenario geopolitico internazionale e di quanto detto finora, è quindi difficile non notare l’importanza del programma GCAP, che, peraltro, si sviluppa in concomitanza con il progetto concorrente franco-tedesco-spagnolo FCAS/SCAF, al momento in una fase di avanzamento più precoce rispetto al primo.

L’impatto di simili programmi non si misura solo sul piano militare e del ruolo italiano come security provider internazionale, ma anche sulle ricadute in termini di sviluppo tecnologico e potenziamento dell’industria nazionale, anche in termini di occupazione, nonché sul posizionamento italiano all’interno del mercato internazionale dalla difesa, grazie alla potenziale esportabilità.

Questo fa del Tempest – per cui l’Italia ha quasi raddoppiato gli investimenti da 2 a 3,79 miliardi di dollari - un progetto strategico fondamentale per tutto il sistema paese.

© Riproduzione riservata