Il Rapporto annuale 2021 – 2022 di Amnesty International contiene schede su 154 stati. Tra i dati che meritano una particolare attenzione, si segnalano la promulgazione di norme che hanno inciso negativamente sulla libertà d’espressione, di associazione e di manifestazione pacifica in almeno 67 stati e l’uso eccessivo o non necessario della forza per disperdere proteste in almeno 85 stati.

Le novità più drammatiche del 2021 sono arrivate dall’Asia, dal colpo di stato del 1° febbraio in Myanmar (con la militarizzazione delle città, il ritorno dei conflitti etnici, l’uccisione di oltre 1700 manifestanti e l’arresto e le condanne di Aung San Suu Kyi) e dal ritorno al potere dei talebani in Afghanistan il 15 agosto, caratterizzato da stragi e rappresaglie contro varie categorie di persone, soprattutto le donne e le minoranze etniche e religiose.

Dell’Asia, a proposito della Cina ricordiamo anche il proseguimento del sistema di internamenti di massa ai danni delle minoranze musulmane dello Xinjiang e il deserto dei diritti umani che è diventata Hong Kong, con centinaia di arresti e incriminazioni, non poche condanne e diverse chiusure di sindacati, quotidiani e organizzazioni della società civile, tra cui la stessa Amnesty International.

L’America Latina, con un totale di 252 omicidi di cui 138 solo in Colombia, ha continuato a rivelarsi la zona più letale al mondo per i difensori dei diritti umani mentre il Messico ha continuato a rimanere il luogo più pericoloso per i giornalisti (ne sono stati uccisi nove nel 2021) e per le donne (quasi 1000 omicidi indagati come femminicidi). E se nel mondo è stata uccisa una persona transgender al giorno, 125 di questi omicidi sono avvenuti in Brasile. A Cuba c’è stata una repressione che non si vedeva da decenni, con circa 700 arresti legati alle proteste di luglio.

In Africa, il conflitto iniziato nel novembre 2020 tra il governo regionale del Tigray e quello centrale è sfociato in una vera e propria guerra civile che ha visto anche l’intervento di forze straniere come l’esercito dell’Eritrea.

Sedici mesi di conflitto hanno avuto conseguenze devastanti: più di cinque milioni e 200mila persone dipendenti dagli aiuti alimentari. Pensavamo di esserci lasciati alle spalle il fenomeno vergognoso degli stupri di guerra, ma purtroppo non è così. È infatti tornato d’attualità al grido di “ora tocca a noi”, urlato di fronte a donne e ragazze inermi dalla soldataglia dell’etnia opposta.

In Europa, il 2021 è stato segnato da una complessiva erosione dei diritti delle donne, soprattutto nello spazio regionale centro-orientale. In Russia, la sempre più marcata repressione del dissenso è stata esemplificata dalla persecuzione di Aleksej Navalny e dalla riduzione al silenzio di ogni espressione della società civile.

Bielorussia e Polonia

Ma la vicenda più grave ha riguardato la frontiera tra Bielorussia e Polonia. Per mesi, migliaia di persone provenienti da zone di conflitto (curdi, afgani, siriani e altri), attirate dal governo di Minsk con l’ingannevole promessa di un comodo ingresso nell’Unione europea, sono state vittime di una gara a chi si comportasse peggio: rimbalzati da una frontiera all’altra, inseguiti da uomini armati e cani, privati sempre e comunque del diritto di chiedere asilo.

Sempre in Bielorussia è proseguita la repressione delle proteste iniziate nell’agosto 2020 con la contestata rielezione di Lukashenko: sono stati posti in essere comportamenti che dovrebbero essere estranei a istituzioni statali, come il dirottamento di un volo di linea per catturare un giornalista dissidente o il tentato rapimento di una atleta che gareggiava alle Olimpiadi di Tokyo.

In Africa del Nord abbiamo assistito a un ulteriore peggioramento della situazione dei diritti umani in Egitto, ben evidenziata dalla persecuzione giudiziaria di Patrick Zaki, Alaa Abd el-Fattah e migliaia di altri prigionieri di opinione, e in Algeria dove sono proseguiti gli arresti di chiunque avesse qualche legame con le proteste pacifiche di Hirak.

Le autorità israeliane hanno continuato a violare tutta una serie di diritti dei palestinesi dei Territori occupati, proseguendo nell’espansione degli insediamenti illegali e usando forza eccessiva nei confronti delle proteste.

In Iran è proseguita la detenzione di cittadini con doppio passaporto, vere e proprie pedine di scambio a scopo di vantaggio politico e diplomatico: se un paio di queste situazioni si sono risolte all’inizio del 2022, resta ancora in sospeso quella di Ahmadreza Djalali, che da cinque anni ha un cappio che gli penzola accanto, e purtroppo non è una metafora.

Dell’Italia, infine, vanno ricordati gli sviluppi giudiziari sulle torture inflitte ai detenuti del carcere di Santa Maria Capua Vetere, l’occasione persa con l’abbandono del ddl Zan, la continua criminalizzazione della solidarietà con indagini e processi nei confronti di singole persone e di organizzazioni di ricerca e soccorso in mare e la prolungata e insopportabile complicità in gravi crimini di diritto internazionale costituita dall’accordo tra Italia e Libia.

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