La testata in lingua inglese Kiev Independent ha approfondito il ruolo del Consiglio di sicurezza nazionale ucraino, che poche ore dopo l’invasione del 24 febbraio 2022 ha imposto la legge marziale e il regime emergenziale per fronteggiare il nemico.

Il Consiglio è gestito da Oleksiy Danilov (originario di Lugansk, di cui è stato sindaco e governatore regionale prima dell’occupazione), nominato nell’ottobre 2019 dal presidente Zelensky.

Il Consiglio è un organo previsto dalla costituzione ucraina ed è composto, oltre che dal Capo dello stato che lo presiede, dal primo ministro Shmyhal, dai principali ministri (Esteri, Difesa, Finanze, Interni, Industria e Energia), ma anche dal Capo dello stato maggiore congiunto, dei servizi interni Sbu, di quelli esterni Szru, (curiosamente non da quello dell’intelligence militare Gur), da quello della procura generale e altri enti strategici.

Il Kiev Independent ha evidenziato che sotto la leadership di Danilov il Consiglio ha assunto un potere enorme, con la possibilità garantita dalla legge marziale di imporre sanzioni personali, privare della cittadinanza ucraina e nazionalizzare la proprietà privata.

Un anonimo esperto ucraino del centro per le strategie economiche ha dichiarato al giornale che il Consiglio si sostituisce ai tribunali con il potere di chiudere aziende o partiti sospettati di collaborazionismo con l’invasore, senza la possibilità di appellarsi e difendersi in un processo o procedimento amministrativo.

Danilov ha risposto che l’obiettivo del Consiglio è garantire la protezione del paese dallo spionaggio e sabotaggio russo in tempo di guerra, ma che i poteri sono solo interdittivi. A questo proposito, le autorità ucraine hanno revocato i permessi stampa di alcuni giornalisti italiani, tra cui il corrispondente di La7 Salvatore Garzillo, il fotoreporter Alfredo Bosco e altri, perché risultati su una ‘lista nera’ dell’Sbu, i servizi interni.

Si tratta di cronisti che hanno svolto il loro lavoro in maniera professionale e imparziale, ci si augura perciò che nella visita della premier Meloni a Kiev è stato affrontato questo tema e l’assurda misura revocata.

Le nomine nel governo

A gennaio 2023 sono circolate indiscrezioni di stampa sulla possibile sostituzione del ministro della Difesa Oleksiy Reznikov con il capo dell’intelligence militare Kyrylo Budanov.

Reznikov sarebbe andato a guidare il ministero dell’Industria strategica mentre il generale avrebbe preso le redini del suo dicastero. A metà febbraio, tuttavia, Reznikov si è presentato a Bruxelles in sede Nato per chiedere l’invio di caccia occidentali all’Ucraina e ha smentito la sua sostituzione.

Inoltre, la legge sulla sicurezza nazionale adottata nel 2018 impedisce ai militari di guidare il ministero della Difesa, precludendo dunque a Budanov la possibilità di essere nominato (non può neanche congedarsi in tempo di guerra). Se non bastasse, la legislazione anticorruzione vieta agli ex funzionari di guidare un dicastero o agenzia in cui prima lavoravano.

Budanov ha intensificato la collaborazione operativa tra i suoi servizi militari (Gur) e quelli interni (Sbu), guidati dal generale Vasyl Malyuk dopo il licenziamento di Ivan Bakanov per i fallimenti con le talpe filorusse.

Non si tratta dell’unica nomina recente nel governo ucraino. Dopo la morte del ministro dell’Interno Denys Monastyrsky, avvenuta nell’incidente di elicottero a Brovary il 18 gennaio 2023, Zelensky ha nominato quale suo successore Ihor Klymenko, già al vertice della polizia dal 2019.

Monastyrsky era molto vicino al presidente e aveva avviato un profondo percorso di riforma, in parte interrotto dalla guerra. A Klymenko spetta il compito di dare continuità alla missione del ministero, direttamente coinvolto dalle ostilità giacché anche la polizia si trova a collaborare nell’evacuazione di civili dal fronte, nella caccia ai sabotatori e persino in combattimento.

Azov diventa brigata

Dmytro Kozatski/Azov Special Forces Regiment of the Ukrainian National Guard Press Office via AP, File

In tempo di pace, dal ministero dell’Interno dipende anche la Guardia nazionale, forza di gendarmeria impegnata al fronte al pari dell’esercito.

La Guardia nazionale ha assorbito anche milizie e unità formate nel 2014 con un forte background politico, ma nel 2016-2017 sono state epurate dagli elementi estremisti e inserite nell’organigramma militare.

È stato proprio il neoministro Klymenko ad annunciare il 2 febbraio 2023 la costituzione di una Guardia d’assalto composta da otto brigate del ministero dell’Interno, tra cui il reggimento Azov (erroneamente noto come battaglione) che assume adesso il livello di brigata.

Il progetto era del defunto Monastyrsky e mira a creare una forza che accompagni l’esercito ucraino nella controffensiva a est, con la logica di lasciare alla Guardia nazionale la liberazione e bonifica delle zone urbane, mentre la prima linea continua ad avanzare rapidamente.

La Guardia d’assalto sarà composta da volontari (ha già raggiunto migliaia di domande di reclutamento) e dovrebbe essere operativa da aprile, in tempo per una possibile controffensiva ucraina su larga scala, come quelle di Kharkiv e Kherson nel 2022.

Con l’ampliamento della brigata Azov vale la pena approfondire l’identità politica di questa unità militare (parliamo di un migliaio di uomini su oltre duecentomila nelle forze armate) e rispondere alle accuse della propaganda russa.

Mosca continua a ripetere che la “giunta di Kiev” sia guidata da nazisti antirussi. È una narrazione che vuole accostare l’attuale invasione alla cosiddetta “Grande guerra patriottica”, quando nel 1944 l’Armata rossa cacciò i tedeschi dall’Ucraina e marciò su Berlino. Nel revisionismo storico russo, sarebbero stati unicamente i sovietici a sconfiggere il nazismo e salvare l’Europa (per poi consegnarne metà a cinquant’anni di dittatura e gulag oltre la cortina di ferro).

È interessante notare quanto sia persistente la propaganda su un governo nazista antirusso a Kiev, benché il presidente Zelensky sia un ebreo russofono. Dal 2016 al 2019 il primo ministro ucraino è stato Volodymyr Groysman, anch’egli ebreo, sotto la presidenza di Petro Poroshenko, che pur essendo ortodosso è ritenuto da molti ucraini di origine ebraica.

Le accuse di antisemitismo

AP Photo/Libkos

Smentite le scuse di Mosca su un governo ucraino guidato da nazisti, è utile ricordare anche che alle elezioni parlamentari del 2019 (giudicate regolari e libere dall’Osce) la coalizione di estrema destra composta da Svoboda, candidati del movimento Azov, Settore Destro e Corpo Nazionale ha ottenuto un mero 2,16 per cento, non superando la soglia di sbarramento.

Un risultato che non riflette certamente un orientamento di estrema destra e men che meno neonazista dell’opinione pubblica ucraina. Si potrebbe tuttavia contestare che i sentimenti antisemiti e nostalgici sono comunque diffusi tra la popolazione.

Ebbene nel sondaggio condotto nel 2018 dal rigoroso Pew Research Center, alla domanda se non accetterebbe un ebreo come concittadino ha risposto affermativamente solo il 5 per cento degli ucraini, il risultato più basso dell’Est Europa. Infatti, in Polonia è il 18 per cento, in Romania e Lituania addirittura il 22-23 per cento, in Bielorussia il 13 per cento e nella stessa Russia il 14 per cento. Da questo studio, perciò, l’opinione pubblica russa sarebbe tre volte più antisemita di quella ucraina.

Un altro criterio per valutare l’antisemitismo è il numero di incidenti avvenuti in ciascun paese. In base ai dati ufficiali pubblicati dall’Osce e frutto delle segnalazioni della comunità ebraica ucraina, nel 2021 si sono verificati 9 episodi violenti o aggressivi, a cui si sommano 29 casi di vandalismo contro sinagoghe o altri siti.

Il Service de Protection de la Communauté Juive francese, che compila un rapporto annuale, nel 2021 ha contato ben 60 atti violenti in Francia, di cui alcuni gravissimi, oltre a 68 episodi di vandalismo e 204 graffiti e scritte antisemite.

Mentre l’Osservatorio antisemitismo italiano ha calcolato 6 attacchi fisici nel 2021, quasi quanto quelli avvenuti in Ucraina. Comunque pochi se comparati a quelli in Francia, paese in cui nel 2012 un terrorista ha sparato in una scuola ebraica di Tolosa uccidendo tre bambini e il rabbino, o il Belgio, dove nel 2014 un altro jihadista ha fatto strage nel museo ebraico. La minaccia non proviene solamente dalla rete islamista, ma anche da cellule neonaziste.

In Germania, per esempio, il rapporto 2021 dell’Associazione di ricerca sull’antisemitismo ha contato 6 episodi di violenza grave, 63 aggressioni fisiche e 204 casi di vandalismo. Nel 2019 il neonazista tedesco Stephan Balliet, ex militare, ha attaccato sparando la sinagoga di Halle, uccidendo due persone e ferendone altre in un vicino kebab.

La presunta eccezione ucraina è dunque smentita dai numeri, che la pongono nella media europea o persino al di sotto per violenza antisemita.

L’identità di Azov

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Quanto all’agenda politica della brigata Azov, i cui elementi con evidenti simpatie naziste sono stati epurati dalla Guardia nazionale ucraina nel 2016-2017, è possibile rifarsi alle parole della sua stessa leadership.

Nel marzo 2022 il giornalista dissidente russo Alexander Nevzorov ha pubblicato un appello ai russi in cui Azov ha letteralmente scritto: «In questa unità servono ucraini, russi, ebrei, greci, georgiani, tatari di Crimea e bielorussi. Per otto anni, soldati di diverse fedi hanno combattuto fianco a fianco: ortodossi, cattolici, protestanti, pagani, ebrei e musulmani. La maggioranza parla russo. Detestiamo il nazismo e lo stalinismo, perché il nostro paese ha sofferto a causa di questi regimi totalitari. La Russia ha bombardato Babi Yar, dove sono sepolte le vittime del Nazismo…».

I membri di Azov sono certamente nazionalisti, ma i retaggi di simpatie di estrema destra sono assolutamente marginali e non corrispondono all’agenda politica che si prefigge il movimento di difesa della sovranità ucraina.

Molti combattenti di Azov sono infatti russofoni e provengono da regioni orientali lontane dal cuore del nazionalismo ucraino che si ispira a Stepan Bandera.

Il reggimento, ora diventato brigata, ha adottato come simbolo il Wolfsangel, che in alto tedesco significa “amo per lupi”. Si tratta di un gancio uncinato che veniva adoperato anticamente per la caccia al lupo, divenuto un simbolo pagano e poi adottato anche dal nazismo. Azov sostiene che il logo, una N rovesciata sovrapposta a una I, rappresenti le iniziali del concetto Idea Nazionale.

Il legame storico resta comunque sospetto e inopportuno. Finita l’emergenza della guerra, il governo Zelensky dovrebbe affrontare questo argomento senza ambiguità.

Oltre a sciogliere alcune milizie e formazioni come il battaglione Revansh, di dichiarata ispirazione neofascista, dovrebbe esercitare pressione tramite il ministero dell’Interno e la Guardia nazionale affinché unità come Azov abbandonino pratiche e riti che non si confanno alle forze armate moderne di un paese che desidera aderire alla Nato.

I raduni notturni con torce che rievocano rituali pagani appartengono ad un folklore che per ragioni storiche e politiche non può coincidere con le forze di sicurezza. È bene sottolineare che nell’Europa orientale, in Ucraina come in Russia, da anni è tornato popolare il movimento neopagano dei Rodnovery, che venera la natura e adotta un’antica simbologia che può essere confusa con quella esoterica nazista.

Ciononostante, il governo Zelensky dovrebbe dare un segnale inequivocabile e bandire simili simboli nelle forze armate: il Wolfsangel, il leone rampante utilizzato da alcune divisioni tedesche nella Seconda guerra mondiale e altri emblemi.

Di più, dovrebbe fare opera di educazione democratica tra i soldati per mettere in guardia da derive ideologiche. Fermo restando che tra le forze armate europee, italiana e tedesca in testa, restano forti nostalgie neofasciste ben più gravi e radicate di quelle ucraine.

Dal 2014 Azov ha stabilito la sua guarnigione a Mariupol, che ha contribuito a liberare in quella fase dai separatisti russi. Vyacheslav Lykhachov, esperto israeliano-russo del Centro per le Libertà Civili di Kiev – premiato con il Nobel per la Pace nel 2022 - ha evidenziato che in otto anni la comunità ebraica di Mariupol e la sinagoga non hanno mai ricevuto problemi dai membri di Azov in città.

Anche il rabbino capo Menachem Mendel Cohen, intervistato nel 2017 dal sito Ukrainian Jewish Encounter, ha affermato che “Non c’è antisemitismo lampante a Mariupol. Ho vissuto qui per dodici anni, cammino per la strada indossando la kippah e la gente saluta, stiamo bene”. Infine, pochi sanno che combattono per l’Ucraina anche formazioni di ispirazione ebraica.

Alcune formate da ucraini già dai tempi di Euromaidan con la “centuria ebraica”, che sfoggiano una stella di David su sfondo rosso-nero, altre composte da volontari stranieri ed ex soldati israeliani. Ad esempio, l’ex cadetta dell’aeronautica militare Giulia Jasmine Schiff è di origine ebraico-egiziana, così come il suo fidanzato ex comandante carrista dell’esercito israeliano, fondatore dell’unità Masada e attualmente capitano delle forze ucraine nel battaglione Stugna.

I due si sposeranno a Mira nel veneziano il 7 maggio – presumibilmente con rito ebraico – come ha annunciato la stessa Schiff sui social. Il volontario italiano Benjamin Giorgio Galli, morto in combattimento, ha ricevuto un funerale con rito ebraico a Kiev prima di essere rimpatriato. La narrazione russa di un regime nazista da sconfiggere è perciò smentita su molteplici livelli.

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