Volodymyr Zelensky? «Il più grande venditore del mondo, ogni volta che se ne andava dalla Casa Bianca si portava via milioni di dollari». Il sostegno americano a Kiev? «Non spendiamo più alcun soldo per l'Ucraina, noi trattiamo con la Nato, non con l’Ucraina. Gli Usa sono stati truffati». Le armi? «Non me stiamo più mandando. Ora stiamo facendo soldi» (il riferimento è all’accordo per vendere armi a Kiev tramite i paesi europei: in realtà, gli Stati Uniti continuano a inviare armi e munizioni all’Ucraina, grazie ai fondi destinati dalla precedente amministrazione).

Garanzie di sicurezza per il dopoguerra? «Stiamo ancora discutendo i dettagli». Il bilaterale, da giorni argomento principale delle cronache internazionale? «Putin non vuole incontrare Zelensky perché non gli piace». Il rapporto con lo zar? «Ogni conversazione che ho con lui è una bella conversazione. E poi, sfortunatamente, una bomba viene caricata su Kiev o da qualche altra parte, e allora mi arrabbio molto».

In alto mare

Insomma, con una nuova raffica di esternazioni scaricate sui giornalisti allo Studio Ovale, Donald Trump rischia di mandare di nuovo all’aria settimane di negoziati, a cominciare da quelli scaturiti dal summit con Putin in Alaska e da quello con gli europei e lo stesso Zelensky a Washington. «Penso comunque che riusciremo a portare a termine la guerra», assicura poi con un sorriso sornione.

La realtà però è che tutti i buoni propositi dei due vertici sembrano di nuovo finite in alto mare. Un vertice a due tra Zelensky e Putin sembra più lontano che mai, la discussione sulle garanzie di sicurezza avvolte nell’incertezza più totale, la distanza tra gli interlocutori pare incolmabile.

«Concessioni dalla Russia? Non ne ho vista nessuna». Così Zelensky ha risposto al vicepresidente degli Stati Uniti, JD Vance, che aveva parlato delle «molte concessioni» che sarebbero state fatte da Mossca. Il presidente ucraino non sembra avere tutti i torti: dopo le aperture della scorsa settimana, è tornato di nuovo alla carica il ministro agli Esteri russo Sergej Lavrov, secondo il quale il presidente ucraino è tornato a essere un leader «illegittimo», un uomo con cui «al momento» è impossibile firmare un trattato di pace, tanto che un bilaterale tra il leader di Kiev e il presidente russo «non è assolutamente pronto». Lavrov ha scelto domenica, giorno di festa nazionale in Ucraina, per rilascia l’intervista in cui, di fatto, si è rimangiato il principale spiraglio che si era aperto nelle trattative di pace, quello appunto di un incontro diretto tra i leader di Ucraina e Russia.

Eppure, nonostante tutto, la diplomazia non si ferma, e Kiev prova a capitalizzare con Washington la ritrosia del Cremlino a trattare. Nel fine settimana si terranno incontri tra la delegazione diplomatica ucraina e quella degli Stati Uniti. «Vogliamo capire dagli americani a cosa sono pronti i russi, se un incontro bilaterale o forse un trilaterale», ha spiegato Zelensky. Gentilezze diplomatiche a parte, però, a Kiev nessuno crede davvero che Putin sia disponibile a incontrare il leader ucraino.

L’unico obiettivo al momento è convincere Trump a reagire con sanzioni o altre punizioni per Mosca. Zelensky ha provato ad arruolare finanche la retorica biblica: «Questo è sicuramente più di un conflitto armato, è una guerra di visioni del mondo. È sulla nostra terra oggi che si svolge la battaglia tra il bene e il male», ha detto durante la Colazione nazionale di preghiera, un evento ispirato dall’omonima colazione che si svolge negli Stati Uniti e che vede la partecipazione di leader politici e figure religiose, tra cui molti evangelici provenienti dagli Usa.

All’evento era presente anche Keith Kellogg, l’inviato di Trump per l’Ucraina, che nel fine settimana ha ricevuto un’importante onorificenza dal presidente ucraino. Nel frattempo, il braccio di Zelensky, Andrii Yermak, ha parlato al telefono con il segretario di Stato, Marco Rubio. Un lavorìo intenso, ma che fino ad ora non è riuscito a produrre risultati.

Sanzioni o armi

Gli ucraini vogliono dazi a Mosca e sanzioni secondarie ai suoi alleati, ma il presidente Trump, come si è visto, resta poco convinto da questa opzione.

Difficile che arriverà molto aiuto dai suoi consiglieri, divisi tra falchi, favorevoli alla linea dura, e colombe, che preferirebbero scaricare l’Ucraina. Rubio è a favore di nuove sanzioni, ma il vicepresidente, JD Vance, spinge per proseguire la strada del dialogo con Mosca, anche se ammette che «le sanzioni non sono fuori discussione».

Nell’intervista di domenica, in cui aveva parlato di compromessi fatti dalla Russia. Vance aveva aggiunto che tutte le guerre, compresa la Seconda guerra mondiale «sono finite con un negoziato», una frase che gli ha attirato le critiche da coloro che ricordano come gli Alleati abbiano imposto una resa senza condizioni alle potenze dell’Asse.

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