«Alcuni dicono che i pacifisti non dovrebbero dire nulla sul conflitto in Ucraina, ma questo non è vero», dice Panos Trigazis nel corso della sesta edizione dell’European Forum of Left, Green and Progressive Forces. Trigazis è uno storico militante della sinistra greca oltre che il presidente di Padop, un think tank che monitora e misura l’insicurezza globale nelle relazioni internazionali. «Ci siamo sempre opposti all’espansione della Nato che sapevamo sarebbe stata usata dalla Russia come pretesto per avviare l’invasione». 

Trigazis è uno dei relatori del congresso che lo scorso fine settimana ha riunito ad Atene le forze della sinistra e dei verdi europei: partiti, fondazioni, centri studi, intellettuali e attivisti. Come l’attore e scrittore Moni Ovadia che ha tenuto un monologo sul ruolo della cultura come «arma di umanizzazione di massa». Durante l’evento, i delegati hanno ricordato che la guerra si unisce alle numerose crisi strutturali a cui l’Europa è ormai sottoposta e che mettono a repentaglio non solo la nostra incolumità fisica, ma anche la pace sociale su cui si fonda la nostra società. 

La guerra divide

Ma il tema più delicato è stato quello dell’invasione russa e di come la sinistra si debba porre di fronte a una guerra di aggressione, un tema che ha lacerato i progressisti di tutto il continente. Da quando è scoppiato il conflitto in Ucraina, la voce dei pacifisti spesso è stata accusata di essere filo-putiniana e in molti lamentano che finora le varie iniziative per un cessate il fuoco hanno raccolto magri risultati.

Quasi tutti i presenti sono d’accordo: serve una nuova strategia, capace di mostrare a tutti che un percorso per la pace sociale è possibile. «Serve un nuovo movimento pacifista – dice Trigazis, l’anziano militante greco – Ecologisti, sindacati e femministe devono trovare una voce in questo movimento dei movimenti». 

Ma come farlo in concreto? Una soluzione è quella di non guardare soltanto alla guerra, ma di allargare il quadro. È quello che prova a fare l’ex primo ministro greco e leader di Syriza Alexis Tsipras che dice dal palco: «La dottrina neoliberista è una dottrina militarista». Secondo Tsipras, la lotta per la pace va tenuta insieme al «senso comune post pandemico» e al «diritto alla vita e alla felicità». Parole sostenute anche dal leader della Sinistra europea, Heinz Bierbaum, che ricorda come si debba fare «tutto il possibile per rendere egemone l’impegno della Sinistra a favore del disarmo nucleare e la pace». 

Le ragioni dell’altro

Il forum non è un covo di giustificazionisti di Putin, come a volte viene rappresentata la sinistra pacifista. Ma in molti pongono l’accento sul riconoscere le motivazioni e il contesto dal punto di vista russo.

«Io ho seguito il lavoro di Putin sin da quando è arrivato al potere – dice Rainer Braun, presidente dell’International peace bureau – Per me lui resta un oligarca autoritario, ma sono costretto a riconoscere che è riuscito a unificare e traghettare la Russia fuori dallo sfacelo dell’Urss. Grazie a lui, molte persone oggi stanno meglio».

Il riferimento alla comprensione delle necessità altrui come precondizione per la fine del conflitto è oggetto anche dell’intervento delle organizzazioni catto-marxiste che promuovono un dialogo trasversale, come Dialop e Pax Christi, in cui la dimensione umanitaria cerca di trascendere qualsiasi forma di giudizio. 

«Se da una parte la Nato è venuta meno agli accordi di Minsk, dall’altra la Russia sta commettendo crimini di guerra indicibili – dice Alex Ruppert della fondazione tedesca Rosa Luxemburg – I pacifisti devono ricordarsi di stare dalla parte di coloro che sono in prima linea. Parlo della popolazione ucraina e di quanti sono oggi oppressi in Russia». Per Ruppert, l’ultima parola spetta sulle trattative solo e soltanto alla popolazione ucraina. Essere a favore di una sospensione del conflitto è spesso inteso come sostenere le istanze russe, eppure Ruppert pensa ci si debba chiedere «se le conseguenze di questa guerra abbiano un senso per coloro che ne sono affetti», cioè proprio gli ucraini.

Soluzioni concrete

Le proposte più concrete di soluzione del conflitto arrivano da chi propone piccoli atti di de-escalation che, un passo alla volta, possano condurre alla fine del conflitto. Secondo i delegati del Transitional institute olandese, un think tank che lavora sulla democrazia, le richieste ucraine per una sospensione dei combattimenti in prossimità delle centrali nucleari mostrano «uno spazio per dei negoziati basati sulla de-escalation del conflitto».

«Chiediamo un cessate il fuoco per il giorno di Natale – dice Braun, dell’International peace bureau –, come nella Prima Guerra Mondiale quando i contendenti uscirono dalle loro trincee per festeggiare assieme». Se ciò andasse a buon fine si potrebbe spingere per altri accordi come lo scambio di prigionieri, lo sminamento del Mar Nero e il riconoscimento di città aperte risparmiate dai combattimenti.

«Il piano proposto dal papa – alla cui ideazione Braun ha preso parte – si basa sul riconoscimento della neutralità dell’Ucraina e di conseguenza sull’impossibilità di una sua prossima entrata nella Nato, sull’autonomia del Donbass, la costruzione di una nuova Ucraina, nuove elezioni, magari anche l’invio dei caschi blu per assicurare il mantenimento della pace. La Crimea rimarrebbe nelle mani della Russia».

Altri, come Manuela Messa della Lega Internazionale delle Donne per la Pace e la Libertà, pongono l’accento sul ruolo delle donne come attrici per la pace. «Il benessere è la via per la pace e la nostra sicurezza – dice – è garantita da coloro che portano avanti le attività utili alla comunità». In questo senso, il movimento femminista avrebbe sicuramente molto da dire anche perché le donne ucraine sono le principali portavoce della volontà nazionale all’estero.

Le conseguenze

Se la ricerca della pace nel contesto di una guerra di aggressione è un tema che divide, la sinistra è unita invece nel commento alle conseguenze internazionali delle guerra: il riarmo dell’Europa. È questo il caso dell’European Network Against the Arm Trade che critica l’attività di lobbing dell’industria militare colpevole, a loro dire, di aver imposto una narrazione ideologica che porterà la Germania, paese notoriamente antimilitarista, a investire cento miliardi di euro nello sviluppo di nuovi armamenti “sostenibili”.

Particolarmente attaccata è l’idea di rendere verde l’industria della guerra. «Puro greenwashing», secondo Jean-Marie Collin, portavoce di Ican, organizzazione internazionale vincitrice del Nobel per la Pace nel 2017 per la sua attività a favore del disarmo nucleare. «Qualcuno potrebbe pensare che oggi, proprio perché Putin minaccia l’uso delle testate nucleari in Ucraina, la nostra campagna goda di maggiore attenzione.Non è così

 I media non discutono di come evitare il deterrente nucleare, ma solo sui dettagli tecnici della minaccia nucleare. Tutto ciò è irrilevante. Si tratta di un’arma di distruzione di massa e l’unico modo che abbiamo per difenderci è il disarmo». 

Sul congresso aleggia la difficoltà di affrontare questi temi da sinistra. «Ovviamente è molto più facile parlare di Putin», commentano sarcastici i tanti giovani progressisti chiamati da tutta Europa per condividere esperienze e strategie comuni. Con altrettanta amara ironia, ricordano come coloro che oggi li accusano di sostenere la propaganda russa siano gli stessi per anni foraggiati illegalmente dal Cremlino per minare internamente le nostre democrazie.  

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