Il 26 novembre il cielo di Roma si è tinto dei tricolori italiano e francese. La firma del Trattato del Quirinale da parte dei presidenti Mario Draghi e Emmanuel Macron sancisce il nuovo corso delle relazioni italo-francesi.  

Iniziativa nata nel 2017 e portata avanti dal governo Gentiloni, era stata bruscamente interrotta dalla crisi politico-diplomatica del 2018 durante il governo Conte I, e poi ripresa con forza sotto la spinta istituzionale del presidente Mattarella e quella politica del governo Draghi.

11 articoli per una cooperazione bilaterale rafforzata negli affari esteri, a partire dal Mediterraneo, nella sicurezza e nella difesa, incluso lo spazio, nelle politiche migratorie, nei settori economico, industriale e digitale, nello sviluppo sociale e sostenibile, nella formazione, ricerca e innovazione, nella cultura, a favore dei giovani e della società civile, nella gestione delle attività transfrontaliere.

Il trattato istituisce meccanismi stabili di consultazioni a livello politico, diplomatico e tecnico alla vigilia di importanti scadenze europee ed internazionali.

Il presidente Macron aggiunge un tassello all’affermazione della sua leadership europea, che prepara la presidenza francese del Consiglio dell’Unione prevista per il primo semestre del 2022 e lo rafforza in vista delle elezioni francesi della primavera prossima. Il consolidamento del rapporto con l’Italia non può essere equiparato alle relazioni istituzionalizzate tra Francia e Germania che stanno alla base del progetto europeo, ma permette a Parigi di formalizzare un’alleanza per un’agenda di riforme ambiziose.

Tra queste, la costruzione di una difesa europea complementare all’Alleanza atlantica e la riforma delle regole di bilancio europeo sono quelle più rilevanti. L’uscita della Gran Bretagna e la transizione verso un nuovo governo tedesco offrono una finestra di opportunità che può essere colta soltanto attraverso la creazione di nuovi sodalizi.

Il punto di vista europeo

C’è chi interpreta il trattato come una cattiva notizia per l’Unione europea, poiché dimostrerebbe la necessità di accordi bilaterali per sopperire ad una debolezza intrinseca delle istituzioni sovranazionali a far avanzare l’agenda europea. Ed è vero che nel corso degli anni abbiamo assistito ad un potenziamento delle dinamiche ed istituzioni intergovernative come spinta propulsiva o blocco di iniziative europee, che rendono le alleanze tra Paesi sempre più determinanti.

Tuttavia, non c’è incompatibilità tra progetti di integrazione rafforzata e consolidamento del processo di integrazione, se tali progetti si sviluppano nella direzione di dare attuazione a interessi e valori europei, attraverso un collegamento forte con le istituzioni di Bruxelles. In quest’ottica, sarebbe opportuno ipotizzare per il futuro un allargamento della cooperazione, triangolare con la Germania o addirittura quadrangolare coinvolgendo la Spagna.

Per l’Italia il trattato rappresenta insieme una grande opportunità ma anche una sfida per la proiezione del suo interesse nazionale e la definizione del suo ruolo in Europa. Ad oggi, l’Italia non poteva contare su nessuna alleanza istituzionalizzata in Europa: il trattato del Quirinale le permette di avvicinarsi ad un altro paese fondatore, agganciandosi al motore franco-tedesco e al contempo ponendo le basi per una possibile futura alleanza mediterranea.

Il rischio è quello di rimanere un junior partner e di offrire una stampella alla realizzazione di decisioni prese altrove  e a beneficio di una francesizzazione dell’agenda europea. Per scongiurare questa minaccia, si dovrà lavorare seriamente ed assiduamente a livello di amministrazione pubblica per articolare in maniera chiara gli interessi italiani e darvi seguito con azioni congiunte concrete.

Dagli investimenti industriali e tecnologici alla politica mediterranea, dalla gestione dei flussi migratori alla visione della sovranità europea, la voce dell’Italia dovrà essere più forte e chiara di quanto è stata finora.

Se ci pensiamo bene, nella citazione di Montaigne da parte di Macron alla fine della conferenza stampa a Villa Madama c’è insieme la forza e la fragilità di questo accordo. «Parce que c’était lui, parce que c’était moi» parla di un riconoscimento reciproco e di una vicinanza tra i due paesi, ma anche di una convergenza che dipende dalle affinità personali e dalle visioni comuni di due leader.

Al momento esiste una forte spinta politica dei due presidenti, ma la situazione potrebbe cambiare già il prossimo anno, con le incertezze legate alle elezioni presidenziali in Francia e quelle per l’elezione del presidente della Repubblica in Italia. A quel punto un trattato potrebbe non bastare.

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