A Roma si sono tenuti i colloqui tra la delegazione iraniana e quella statunitense, i progressi sono stati limitati ma il dialogo continua. Mentre il presidente russo ha inviato un messaggio a Kiev e Washington con l’annuncio di una tregua per 30 ore in Ucraina
Da una parte decine di giornalisti, dall’altra poliziotti e agenti di sicurezza. Era affollato il piccolo marciapiede davanti alla residenza dell’ambasciatore del sultanato dell’Oman, su via della Camilluccia a Roma.
È passato a sorpresa anche un Matteo Salvini in versione casalingo, in bermuda e con in mano le buste della spesa. Ma intanto nella sede diplomatica omanita è andato in scena il secondo round di colloqui tra Iran e Stati Uniti sul nucleare.
Negoziati indiretti, perché le due delegazioni – quella americana guidata dall’inviato di Donald Trump, Steve Witkoff, e quella iraniana dal ministro degli Esteri di Teheran Abbas Araghchi – si sono parlate tramite il ministro degli Esteri dell'Oman, Badr bin Hamad Al Busaidi.
Il cappello del governo
Il colloquio è durato circa quattro ore, in un clima che i media iraniani si sono subito affrettati a definire «costruttivo». Nessun risultato concreto, ma Teheran ha parlato di «negoziati utili» e di una «migliore intesa su una serie di principi e obiettivi».
I contatti continueranno nei prossimi giorni a livello tecnico, mentre sabato avverrà un nuovo incontro in Oman. Lì dove una settimana fa si era svolto il primo round. Poi la scelta di cambiare luogo, anche per via della scomodità per i rappresentanti statunitensi nel raggiungere Muscat. L’Italia è emersa come sede potenziale.
L’asse con gli Usa, come confermato dalla visita di Giorgia Meloni alla Casa Bianca e il viaggio di JD Vance a Roma, è saldo. E i casi di Cecilia Sala e Mohammad Abedini hanno in qualche modo reso più affidabili i rapporti tra le diplomazie di Italia e Iran.
Certo, Roma voleva ospitare i colloqui in una struttura italiana, per prendersi la totale paternità dell’evento. Ma dopo contatti, indiscrezioni e parziali retromarce, le parti hanno optato per la sede diplomatica dell’Oman. Nessun problema, sono in Italia, avranno pensato i membri del governo Meloni pronti a sfruttare comunque l’assist per evidenziare la centralità assunta dal paese.
«Roma diventa Capitale di pace e dialogo», ha affermato Antonio Tajani, che nelle ore precedenti aveva incontrato Abbas Araghchi. Per Guido Crosetto, ministro della Difesa, è un «riconoscimento che va aldilà dei nostri confini di un ruolo che l’Italia sta portando avanti in questi anni».
Il governo ha incassato anche i complimenti per «il ruolo costruttivo e sempre più rilevante dell’Italia a sostegno della pace» da parte del direttore generale dell’Aiea Rafael Mariano Grossi, che ha incontrato sia Tajani sia Witkoff.
Sanzioni e nucleare
Ad ogni modo, le negoziazioni hanno registrato passi avanti sul dossier del nucleare. Nonostante le poche aspettative e i messaggi controversi della vigilia. L’obiettivo del viaggio della delegazione iraniana era «un accordo equilibrato», non certo una resa, ci ha tenuto a specificare Teheran.
La richiesta iraniana è stata la revoca delle sanzioni, mentre gli Usa hanno premuto sul loro obiettivo: evitare che l’Iran abbia capacità militari nucleari. Di mezzo alcune questioni tecniche: l’arricchimento dell’uranio in Iran, il monitoraggio e il meccanismo di garanzia affinché Washington non possa ritirarsi unilateralmente da un eventuale accordo, come successo con il Jcpoa.
Sul nucleare il coordinamento tra Usa e Israele è stato massimo. Witkoff il giorno prima di arrivare in Italia ha interloquito a Parigi con il governo israeliano e il capo del Mossad. Un dialogo che potrebbe essere continuato anche a Roma perché Ron Dermer, ministro degli Affari strategici di Tel Aviv è stato nella capitale italiana ieri, casualmente nello stesso hotel di Witkoff.
Trump ha detto a più riprese che Teheran «non può avere armi nucleari», lasciando aperta la possibilità di iniziative militari. Tuttavia, eventuali attacchi israeliani contro impianti iraniani, che Tel Aviv – come riporta Reuters – non ha ancora escluso, non avranno il sostegno di Washington. Secondo ricostruzioni di media americani, infatti, Trump starebbe temporeggiando davanti alle pressioni dei falchi in Usa e in Israele.
La tregua pasquale in Ucraina
Intanto, l’ultimatum dato venerdì dalla Casa Bianca – con Trump e Marco Rubio che hanno minacciato di sfilarsi dai colloqui di pace per l’Ucraina se non ci fossero stati progressi – ha raggiunto un primo risultato. Tutto da valutare. Vladimir Putin ha infatti annunciato una tregua per il giorno di Pasqua, ordinando la cessazione di tutte le azioni militari da ieri pomeriggio fino alla mezzanotte di domenica, e invitando Kiev a fare altrettanto. Un vero ramoscello d’ulivo? Una farsa e una trappola per Kiev? O un segnale inviato a Washington?
Un messaggio a Trump, Putin lo ha indirizzato chiaramente, dicendo che la Russia è pronta a negoziati di pace, accogliendo «con favore» gli sforzi di pace del presidente Usa. Ma i ringraziamenti del Cremlino hanno riguardato anche la Cina di Xi Jinping e i paesi Brics. Tuttavia, a ridosso dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, la difesa aerea ucraina ha abbattuto diversi droni russi lanciati contro la capitale. Un attacco che dimostra il «vero atteggiamento» di Putin, ha dichiarato Volodymyr Zelensky.
L’Ucraina non si fida. Difficile farlo dopo questi tre anni. E l’ipotesi di una pausa dai combattimenti per sole 30 ore non scalda i cuori a Kiev, che vuole valutare i fatti e non le parole di Putin.
A ribadire la posizione «coerente» dell’Ucraina è stato il ministro degli Esteri, Andrii Sybiha: «L'11 marzo a Gedda abbiamo accettato incondizionatamente la proposta degli Stati Uniti di un cessate il fuoco completo per 30 giorni. La Russia ha rifiutato e il rifiuto agli Stati Uniti dura già da 39 giorni». Il punto su cui preme Sybiha è proprio questo: «La Russia può accettare in qualsiasi momento la proposta di un cessate il fuoco completo e incondizionato di 30 giorni». Altrimenti, sono solo parole. E toccherà a Trump capire se fidarsi o meno.
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