Negli Usa si discute della proposta della famiglia reale del Qatar, che vuole regalare al presidente un Boeing 747-8 dal valore di 400 milioni di dollari che sostituirebbe l’Air Force One. Servirebbe il consenso del Congresso, ma il tycoon sembra voler ignorare la Costituzione. Negli anni, molti suoi predecessori si sono trovati nella sua stessa situazione. Ma non sempre i doni sono stati rispediti al mittente, compreso uno arrivato dalla regina Vittoria e che ancora oggi si trova nello Studio Ovale
«L’offerta del Qatar è un bellissimo gesto e sarei stupido a non accettare gratuitamente un aereo così bello. Potrei dire no, voglio pagarvi 400 milioni di dollari. O potrei dire sì, grazie mille». Donald Trump ne fa una questione di convenienza, quasi di educazione. Ma la vicenda del Boeing 747-8 che la famiglia qatarina Al Thani vorrebbe regalargli - per trasformarlo nel nuovo Air Force One e sostituire così quello attuale, vecchio di quarant’anni, con l’idea di farlo diventare poi proprietà del tycoon una volta terminato il mandato, sebbene lui neghi di volerselo tenere - è soprattutto una questione politica.
Per Costituzione (art.1, sezione 9, clausola 8) al presidente, vicepresidente e alle loro famiglie è vietato ricevere “regali, emolumenti, cariche o titoli di alcun genere da qualsiasi re, principe o Stato straniero” senza l’approvazione del Congresso. Ci sono eccezioni, legate al basso costo di un dono o alla sua simbolicità o, ancora, al fatto che un rifiuto «potrebbe causare offesa o imbarazzo o incidere in altro modo negativamente sulle relazioni estere degli Stati Uniti, come si legge in un memorandum che ricorda gli obblighi del Foreign Gifts and Decorations Act del 1966.
Non è questo il caso. Anzitutto, manca il consenso dei parlamentari. E subito dopo, quello in arrivo dal Qatar sarebbe il regalo più costoso della storia mai fatto a un presidente americano, tutt’altro che simbolico.
Magari Trump avrebbe potuto seguire l’esempio di un suo predecessore, Martin Van Buren, ottavo presidente nella storia degli Stati Uniti. Quando nel 1839 il sultano del Marocco si era presentato al consolato statunitense di Tangeri con due leoni vivi al seguito, mentre il sultano dell’Oman voleva spedirgli cavalli, perle e altri beni di valore, Van Buren aveva scritto al Congresso affinché prendesse «le disposizioni che riterrà opportune».
La risposta fu che non poteva accettarli: i cavalli vennero venduti, i leoni rinchiusi in uno zoo e le perle portate alla Smithsonian Institution.
Una lunga tradizione di regali (spesso riconsegnati)
Diversi anni prima, nel 1785, Luigi XIV aveva consegnato un suo ritratto contornato da oltre 400 diamanti all’ambasciatore americano in Francia Benjamin Franklin, in occasione della sua partenza. Il futuro presidente fu colto da un grande imbarazzo, visto che la regola era di non accettare alcun favore per spegnere sul nascere qualsiasi tentativo di corruzione. Ma il Congresso gliela lasciò tenere.
Non andò così ad Andrew Jackson, quando aveva chiesto ai parlamentari come avrebbe dovuto comportarsi con la medaglia d’oro dal presidente colombiano Simón Bolívar. Non poteva accettarla, per cui fu costretto a consegnarla al Dipartimento di Stato.
Trent’anni dopo, anche Abraham Lincoln dovette portare al Dipartimento degli Interni la spada, le due zanne di elefante e i ritratti che il re del Siam, Mongkut, gli aveva dato.
Diverso il discorso legato alla Resolute Desk, regalata nel 1880 dalla regina Vittoria all’allora presidente Rutherford Hayes: la scrivania, realizzata con il legno di quercia della nave britannica HMS Resolute rimasta incagliata nei ghiacci artici qualche anno prima, è ancora oggi presente nello Studio Ovale.
Un presidente americano è pur sempre l’uomo più importante del mondo, da ingraziarsi attraverso piccoli quanto significativi doni. Come un tappeto. A dire il vero, quello che nel 1997 il presidente dell’Azerbaijan Heydar Aliyev aveva portato con sé per incontrare Bill e Hillary Clinton era tutt’altro che piccolo. Lungo 1,80 metri e largo 1,50 metri, raffigurava la faccia del presidente democratico e della First Lady, tessuto da dodici donne che hanno lavorato ininterrottamente giorno e notte con turni da 8 ore. La ragione di questo regalo erano gli investimenti da milioni di dollari che la Casa Bianca aveva sottoscritto con le varie compagnie petrolifere azere. Per cui Aliyev voleva sdebitarsi con qualcosa di originale, oltre che bello e rappresentativo del suo paese.
Dietro un regalo c’è sempre una spiegazione. Siccome George W. Bush non poteva più fare jogging a causa dei problemi a un ginocchio, nel 2008 il primo ministro israeliano Ehud Olmert gli aveva fatto trovare una bicicletta, così che potesse continuare con i suoi esercizi di cardio.
Niente da fare invece per il cucciolo di cane donato dal governo della Bulgaria al leader conservatore, successivamente affidato in adozione, così come per i 136 kg di agnello vivo spediti a Washington dall’Argentina. Sono invece oltre 5.000 i beni regalati alla famiglia di Barack Obama da enti privati o organizzazioni, accettati dalla legge e conservati nella libreria privata dell’ex presidente.
Se un bene piace particolarmente, può infatti essere tenuto a condizione che si paghi il giusto prezzo di mercato. Ovviamente vanno prima denunciati. Cosa che Trump non aveva fatto durante il suo primo mandato. Sarebbero oltre cento i regali tenuti segreti, per un valore complessivo di 250.000 dollari, comprese mazze da golf giapponesi, un pugnale da 24.000 dollari, dei gemelli, alcuni vasi e persino un ritratto a grandezza naturale donatogli dal presidente di El Salvador.
Oggetti sicuramente più semplici da nascondere rispetto a un Boeing.
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