Mentre gli Usa spingono per passare alla fase due del piano Trump, nella Striscia sono iniziati i colloqui su come costruire le strutture che dovranno sostenere la governance di Gaza. Intanto il ministro alla Difesa israeliano Katz torna all’attacco contro i miliziani jihadisti: «Li distruggeremo senza alcuna limitazione»
Mentre a Gaza l’Idf ancora compie alcune operazioni militari, sul piano internazionale i mediatori cercano di andare avanti con il piano di pace. In particolare, sono gli Stati Uniti a spingere affinché si avvii il prima possibile la fase due dell’accordo. Uno dei delegati statunitensi ha presentato al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite un progetto a sostegno del piano di Donald Trump. Il testo prevede l’istituzione da parte dell’Onu di una forza di stabilizzazione internazionale, già definita Isf, che possa operare nella Striscia a sostegno del governo provvisorio. Più che di un governo, in realtà, negli accordi si parla di un coordinamento misto che dovrebbe, tra le altre cose, addestrare la futura polizia di Gaza.
Uno dei leader di Hamas ha confermato che in effetti se ne sta discutendo. È stato, nello specifico, Moussa Abu Marzouk, a raccontare che ci sono già colloqui con l'Autorità nazionale palestinese (Anp) con cui sarebbe addirittura già stato trovato un accordo di massima proprio sulla creazione del coordinamento gestirà Gaza. «Non sappiamo quanto gli Stati Uniti approveranno questo comitato - ci spiega una fonte anonima che sta seguendo le trattative - perché non approveranno che Hamas continui ad avere mano libera e una qualche forma di supervisione su Gaza».
Il problema, però, è che i punti successivi al 2 del piano pace sono ancora molto fumosi, a partire proprio dalla questione disarmo del gruppo jihadista. «L’Idf per mandato degli Usa stanno già smantellando le infrastrutture militari e offensive - racconta ancora la fonte - compresi gli impianti di produzione di armi, ma il processo di smilitarizzazione è complesso e sarà, soprattutto molto lungo». Proprio mercoledì, il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha detto che Israele sta lavorando in tal senso. «L'Idf sta lavorando per distruggere i tunnel ed eliminare i terroristi di Hamas senza alcuna limitazione», ha detto Katz. «Proprio mercoledì - ha aggiunto il ministro - due terroristi sono stati identificati mentre attraversavano la linea gialla che delimita le aree militari e dopo la loro identificazione, le truppe li hanno eliminati».
Intanto, a Gaza la Croce Rossa ha riportato altri 15 corpi di palestinesi che erano detenuti da Israele. Finora sono stati riconsegnati 285 salme, di queste, però, ne sono state identificate solo 84. «Quando i corpi arrivano in obitorio - racconta Atef Al Hout, direttore del complesso medico Nasser – iniziamo le procedure e i protocolli medici per fare esami e preparare delle documentazioni da consegnare, eventualmente alle famiglie». Ma succede di rado.
Ogni volta che a Gaza si diffonde la notizia che Isrele sta per consegnare dei corpi di progionieri, davanti alla piccola saletta dell’obitorio si affollano centinaia di persone. «Arrivano anche in cento per un solo corpo», dice ancora Atef Al Hout nella speranza che quei resti martoriati appartengano al proprio caro. «Ma spesso l’identificazione non avviene mentre per altri corpi non arriva nessuno, perché non c’è rimasto nessuno in vita».
È stato invece identificato in Itay Chen il corpo restituito da Hamas martedì sera. Benjamin Netanyahu ha telefonato alla famiglia confermato che continuerà a lavorare per il ritorno di tutte le salme degli ostaggi morti. «Per 760 giorni, il nostro amato figlio Itay è stato tenuto prigioniero da Hamas», ha detto il padre di Itay, Ruby Chen. «E ora abbiamo ricevuto la notizia agrodolce del suo ritorno a casa, ricordiamo che ci sono ancora sette ostaggi che devono essere riportati indietro», ha aggiunto.
Il Forum degli ostaggi e delle famiglie, dunque, non vuole mollare e continua a spingere il governo affinché non allenti la pressione su Hamas. Prima di avviare la fase due del piano, dunque, è fondamentale che tutti gli ostaggi morti vengano riconsegnati, checché ne pensi Trump. Su questo, le fonti israeliane dicono che Netanyahu non voglia transigere, se non altro perché ne andrebbe di mezzo la tenuta del suo governo oltre che la reputazione internazionale. Bibi, insomma, vuole far credere che non sia Trump ad avere le carte in mano, anche se, in realtà, almeno sulla questione Gaza, è del tutto vero.
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