Essere cattolici vuol dire non aver paura dell’altro, sentirsi parte di un popolo grande, di un mondo senza confini, capace di accogliere tutte le etnie. È questo uno dei messaggi più significativi contenuti nell’omelia della messa conclusiva della 77esima assemblea dei vescovi italiani, celebrata la mattina di giovedì 25 maggio dal cardinale Matteo Zuppi nella basilica di San Pietro.

Il presidente della Conferenza episcopale ha deciso di entrare lateralmente nel dibattito sulla presunta etnia italiana che ha scosso il paese nei giorni scorsi e, pur non facendo riferimenti politici espliciti, ma anzi partendo dall’episodio evangelico dei due di Emmaus, ha voluto spiegare, dal suo punto di vista, il significato dell’appartenenza alla comunità cristiana.

Sullo sfondo delle parole pronunciate dall’arcivescovo di Bologna, gli interventi del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida che, in due diverse occasioni, aveva parlato prima di “sostituzione etnica”, poi di “etnia italiana”. Questa seconda espressione era stata usata nel corso degli Stati generali della natalità, iniziativa alla quale avevano preso parte sia la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sia il Ppapa. «Non esiste una razza italiana esiste però una cultura, un'etnia italiana, che immagino che in questo convegno si tenda a tutelare» aveva detto il ministro.

La persona prima dell’etnia

Lo scorso 22 maggio, poi, in occasione delle celebrazioni per i 150 anni della morte di Alessandro Manzoni, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, ripercorrendo il pensiero cattolico e «eminentemente democratico» dell’autore dei «Promessi sposi», aveva osservato: «Nella sua visione è la persona, in quanto figlia di Dio, e non la stirpe, l’appartenenza a un gruppo etnico o a una comunità nazionale, a essere destinataria di diritti universali, di tutela e protezione. È l’uomo in quanto tale, non solo in quanto appartenente a una nazione, in quanto cittadino, a essere portatore di dignità e di diritti».

Parole che costringevano Lollobrigida, a un ulteriore intervento di precisazione con il quale affermava che il capo dello Stato non ce l’aveva con lui, quindi rilevava: «Io ascolto sempre con deferenza le parole del presidente della Repubblica, come quelle del Papa. Non penso che vadano interpretate. Altrimenti rischieremmo di strumentalizzarle».

Nell’omelia pronunciata in San Pietro, Zuppi, a sua volta, osservava: «Come i due di Emmaus anche noi troviamo è Pietro che conferma la nostra fede. Troviamo un popolo grande, che accoglie tutte le etnie perché popolo santo di Dio. Un popolo ma sempre una famiglia che ci chiede di vivere con lo stile e i sentimenti della famiglia, non da funzionari anonimi, anche zelanti ma con il cuore e gli affetti da un’altra parte o ridotti solo al proprio protagonismo o ruolo».

«Questa è la casa di un Padre aggiungeva - che ricorda sempre che tutto quello che è suo è nostro, e anche viceversa, che tutto ciò che hai diventa davvero tuo proprio perché insieme. Solo un cuore largo e cattolico ci aiuta da misure avare e paurose e a scoprire e riscoprire il mondo senza confini. Il mondo inizia sempre da ogni persona, da un incontro, scoprendola nella sua grandezza e unicità, amandola perché non è un’isola e non lo sia». Nelle parole di Zuppi era possibile rintracciare la tradizionale assonanza di toni e sensibilità che da tempo caratterizza i rapporti fra Chiesa e Quirinale.  

Il messaggio della Chiesa ucraina

Quindi, nel corso della conferenza stampa conclusiva dell’assemblea della Cei, il cardinale rispetto al maltempo che ha colpito l’Emilia Romagna, rilevava: «Mi auguro che gli stanziamenti previsti dal governo arrivino subito, è fondamentale che si lavori insieme e nella maniera migliore. È una questione di buon senso, si metta da parte ogni lettura ideologizzata». Infine il presidente dei vescovi italiani, ha ribadito il suo impegno personale a lavorare per la pace in Ucraina in forza dell’incarico di inviato speciale nel conflitto ricevuto dal papa.

A tal proposito va sottolineato come il capo della Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, l’arcivescovo maggiore di Kiev, Sviatoslav Shevchuk, abbia mandato un messaggio alla Cei - letto nel corso dei lavori da mons. Maksym Ryabukha, vescovo ausiliare di Donetsk – con il quale da una parte si esprimeva gratitudine alle strutture caritative della chiesa italiana per gli aiti forniti ai profughi e alla popolazione, dall’altra si invitava «una delegazione della Conferenza episcopale italiana a visitare il nostro paese e vedere con i propri occhi la tragedia della guerra in corso per condividere il nostro dolore». Sembra quasi che i primi che Zuppi dovrà convincere della bontà della propria missione, siano i cattolici dell’Ucraina.

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