Le proteste di venerdì 14, con alcuni momenti di tensione tra manifestanti e polizia, insieme agli scioperi generali convocati per il 28 novembre e il 12 dicembre per contestare la nuova legge di bilancio, confermano che la mobilitazione per Gaza non si ferma.

Accanto ai cortei degli studenti, non si ferma lo sciopero della fame portato avanti dal personale sanitario e non si ferma l’azione di protesta dei sindacati di base, in cui le istanze dei lavoratori si saldano alla causa palestinese.

«Basta tasse per la guerra, no al riarmo, vogliamo servizi, salute e sicurezza sul lavoro: scioperiamo per tutti i popoli oppressi, blocchiamo il genocidio» recita il SI Cobas, tra i sindacati che hanno coordinato le azioni di blocco delle aziende della logistica da nord a sud del paese.

«In tutte le professioni c’è un tentativo di utilizzare il proprio lavoro per esprimere solidarietà alla popolazione palestinese e protestare contro il genocidio, ovvero contro la complicità del governo italiano e dell’Unione europea», spiega a Domani Donatella Della Porta, professoressa di Scienza Politica alla Scuola Normale Superiore a Firenze, esperta di movimenti sociali e partecipazione politica. «Questa mobilitazione ha aperto una riflessione su cosa vuol dire fare il proprio lavoro, dal portuale al professore universitario, in una maniera etica che non contribuisca a ingiustizie e massacri, ma che piuttosto si ponga al servizio del bene comune».

Concluse le grandi manifestazioni del 22 settembre e del 3 ottobre, frutto di un processo di formazione e coordinamento trasversale in corso da alcuni anni, i collettivi dei lavoratori, gli studenti e i sindacati hanno continuato a riunirsi in assemblea e a organizzare il dissenso.

«La nostra gente dopo aver dato tanto, tutto quello che poteva, è rientrata nella vita di tutti i giorni, ma ci è rientrata a testa alta, con tanta consapevolezza in più. Nessuno ha smobilitato, ci riorganizziamo, stiamo attenti a quello che ci accade attorno. I nostri obiettivi rimangono il boicottaggio delle merci da e per Israele, e l’osservatorio permanente sul rispetto della legge 185/90 al contrasto ai traffici di armi nei porti» scrive il Collettivo Autonomo dei Lavoratori Portuali di Genova.

Convergenza di lotte

Durante gli scioperi e le azioni di boicottaggio, condotte soprattutto nel settore della logistica con i blocchi della distribuzione delle merci via terra e via mare, i lavoratori hanno spesso unito alla protesta a sostegno di Gaza la critica a un modello di lavoro precario. Lo racconta Daniele Mallamaci, portavoce del sindacato SI Cobas Torino, dove lo sciopero generale del 3 ottobre ha fermato anche l’attività del deposito Amazon, alle porte della città: «Multinazionali come questa sostengono l’economia di guerra e al contempo sfruttano i lavoratori con salari insufficienti rispetto al carovita».

Amazon è stata al centro di polemiche perché compare tra le 48 aziende che hanno contribuito all’“economia del genocidio” secondo il rapporto pubblicato dalla relatrice speciale delle Nazioni Unite nei territori palestinesi occupati, Francesca Albanese. «Molti dei lavoratori sfruttati che aderiscono al sindacato - prosegue Mallamaci - sono immigrati. Tanti di loro provengono da paesi arabi e si sentono particolarmente solidali alla popolazione palestinese. Anche per questo sono tra coloro che, fin dal 2023, hanno dato una grossa spinta agli scioperi». Secondo Della Porta, la mobilitazione per Gaza da parte di chi affronta discriminazioni e razzismo in condizioni di maggiore insicurezza lavorativa ha contribuito a una riflessione più ampia su come si concepisce lo sfruttamento sul posto di lavoro.

Non è un caso che lo sciopero generale del prossimo 28 novembre riguardi anche il tema della sicurezza sul lavoro. «Solo nel porto di Salerno negli ultimi tre anni si sono verificati due morti, ma gli infortuni sono sistematici e dovuti a problemi che denunciamo da tempo», dice Giuseppe D’Alesio, coordinatore SI Cobas dei lavoratori del porto di Salerno, dove dal 2023 si sono susseguite varie azioni di blocco del trasporto navale verso Israele. «Sciopereremo ancora per chiedere il rispetto delle norme a tutela della salute dei lavoratori e per il blocco commerciale allo scopo di fermare il genocidio in corso» aggiunge.

Svolgere il proprio lavoro mentre a Gaza le bombe devastano ogni cosa è diventato insostenibile anche per gli oltre 34 mila professionisti sanitari che il 2 ottobre si sono uniti nella veglia Luci per la Palestina, indetta dalla rete nazionale #DigiunoGaza. Nata pochi mesi fa, la rete è indipendente da partiti e sigle sindacali, e si è allargata in fretta. «Andare a lavorare pensando che a poche ore di volo le persone vengono uccise e muoiono di fame, mentre un sistema sanitario viene deliberatamente distrutto, fa perdere di senso il nostro lavoro - dice il medico Moreno Festuccia, tra i coordinatori della rete - Per questo motivo, da agosto, ogni giovedì continuiamo a fare una staffetta di digiuno in segno di protesta collettiva».

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