Ci sono contrattempi che hanno un tempismo perfetto. Certo, non era previsto che la morte di Silvio Berlusconi capitasse proprio nel pieno degli imbarazzi del governo Meloni. E no, non si può dire che fosse una fuga con premeditazione, quella di Ursula von der Leyen in America Latina. Eppure proprio mentre i piani tunisini gonfiati in tandem da Meloni e von der Leyen si sgonfiano come un soufflé cucinato male, e proprio quando l’Europarlamento vuol chiederne conto alla Commissione, ops!, capitano infinità di contrattempi. Sarà forse questa la fantomatica window of opportunity, la finestra di opportunità annunciata a Tunisi dai leader italiana, europea e olandese nella loro conferenza stampa senza stampa?

La finestra di opportunità per fuggire dalle critiche è in effetti adesso. Von der Leyen ha alle calcagna eurodeputati come Sophie in’t Veld, che a Domani annuncia battaglia: «Se la presidente si aspetta che le baceremo i piedi, si sbaglia». Giorgia Meloni non ha neppure bisogno che l’opposizione si svegli, visto che è lo stesso fronte amico a sbeffeggiarla: il dittatore tunisino la sconfessa pur di ottenere condizioni migliori, e gli alleati polacchi si preparano a farle guerra al vertice europeo.

Il ricatto e l’effetto soufflé

«Sono passati solo cinque giorni dalla mia visita a Tunisi ed è già stato ottenuto un obiettivo importante». E ancora: «Questo incontro con von der Leyen e Rutte è arrivato grazie al lavoro diplomatico del governo italiano». E poi, l’immancabile «sono molto soddisfatta». Così domenica a Tunisi la premier Meloni si è presa tutti i meriti della missione tunisina.

Ma quali meriti, esattamente? Meloni, in tandem con la famiglia popolare europea guidata da Manfred Weber e alla quale appartiene von der Leyen, vuole replicare con il Nord Africa il modello Turchia. L’intenzione sarebbe quella di versare soldi dei contribuenti europei nella speranza di trattenere così i flussi migratori. Ma l’unico schema che per ora Roma e Bruxelles hanno replicato con successo è quello dei ricatti alla Erdogan: in precedenza il presidente turco ha utilizzato le pressioni migratorie come pressioni politiche per estorcere condizioni migliori e fondi all’Ue; il dittatore tunisino ha imparato dal predecessore e tira la corda per ottenere di più. Dopo che von der Leyen, Meloni e Rutte hanno fatto il loro annuncio – senza giornalisti e senza domande – ventilando per Tunisi un’assistenza finanziaria da circa un miliardo, il presidente tunisino si è preso gioco di loro in pubblico: «La soluzione che alcuni chiedono in segreto, quella di ospitare i migranti in cambio di somme di denaro, è una soluzione che non è né umana né accettabile», parole di Kais Saied.

E dire che, fosse stato per il governo italiano, in queste ore il ministro degli Esteri Antonio Tajani avrebbe utilizzato la sua visita a Washington anche per aiutare Saied a sbloccare i due miliardi di prestiti del Fondo monetario internazionale. La morte di Berlusconi ha fatto saltare l’incontro con la direttrice dell’Fmi, Kristalina Georgieva, e il viaggio è stato ridimensionato al solo incontro col Segretario di stato Usa Antony Blinken.

«Non baceremo piedi»

Nel frattempo dall’Europarlamento è partita la controffensiva europea al tandem Meloni-von der Leyen. La plenaria vuole il dibattito sul patto per le migrazioni e sulla Tunisia; peccato che la presidente della Commissione Ue sia in America Latina. «Ma se si aspetta che siccome siamo nella “maggioranza Ursula” le baceremo i piedi e staremo zitti si sbaglia», dice a Domani l’eurodeputata liberale olandese Sophie in’t Veld, che ha tra i temi forti lo stato di diritto in Europa. «L’Europarlamento non è un cagnolino: deve sottoporre a scrutinio von der Leyen».

In’t Veld smonta dalle basi la missione tunisina: anzitutto, quel che von der Leyen, Meloni e Rutte stanno concordando «somiglia alla “dichiarazione turca” che ha lo stesso valore legale di un sottobicchiere per la birra e che pure è stata usata per trasferire ad Ankara sei miliardi». E poi, a che titolo i tre erano a Tunisi? «Il “team Europe” come lo chiama von der Leyen, che status ha, che mandato ha per concludere accordi con paesi terzi? Viste le derive autoritarie di Saied quali garanzie sui diritti umani sono state concordate?». Sono tutte questioni che in’t Veld ha anzitutto trasmesso al suo capogruppo di Renew, il macroniano Stéphane Séjourné, e che scateneranno il dibattito.

La controffensiva dell’Europarlamento riguarda anche il patto sui migranti: la versione concordata dai ministri la scorsa settimana è ben distante dalle intenzioni dell’aula. «È sbagliato vendere come un accordo concluso un testo che è ancora da negoziare», precisa in’t Veld. Ed è un’altra stoccata a Meloni. Ma va detto che alla premier le frecciate arrivano anche dai suoi alleati: il partito al governo in Polonia è suo compagno di famiglia politica, eppure proprio la Polonia – che assieme all’Ungheria si è espressa contro il patto per le migrazioni – sta organizzando il fronte di governi che vogliono dare battaglia.

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